Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9940 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/05/2023 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, la quale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata, anche con riguardo alle statuizioni civili, e la condanna degli imputati alla rifusione delle spese sostenute dalla suddetta parte civile, come da nota che allega;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 08/05/2023, la Corte d’appello di Torino, per quanto qui ancora interessa, confermava la sentenza del 28/10/2021 del Tribunale di Torino
di condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per il reato di denuncia di un sinistro non accaduto in concorso (anche con NOME COGNOME; artt. 110 e 642, secondo comma, cod. pen.), commesso ai danni di RAGIONE_SOCIALE
Avverso l’indicata sentenza del 08/05/2023 della Corte d’appello di Torino, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 124 cod. pen. e dell’art. 148 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (recante il “Codice delle RAGIONE_SOCIALE private”) con riguardo alla tardività della querela.
Nel contestare la motivazione con la quale la Corte d’appello di Torino ha rigettato la sua eccezione di tardività della querela, il ricorrente deduce che il testimone del pubblico ministero NOME COGNOME, funzionario dell’Ufficio antifrode di RAGIONE_SOCIALE, esaminato nel corso dell’udienza del 21/09/2021, riferì che, dopo che erano pervenute le richieste di risarcimento dei danni (da parte di NOME COGNOME e di NOME COGNOME), non avendo ricevuto comunicazione di conferma del sinistro da parte del proprio assicurato RAGIONE_SOCIALE (il cui legale rappresentante era NOME COGNOMECOGNOME, veniva deciso di dare incarico alla società di investigazioni RAGIONE_SOCIALE, la quale «il 11/04/2018 ci restituiv una relazione sostanzialmente interlocutoria», sicché «provvedevamo a mandare le reiezioni sia per NOME COGNOME , sia per COGNOME NOME, in quanto i mezzi non erano stati messi a disposizione».
Ciò posto, il ricorrente deduce che, poiché, pertanto, la RAGIONE_SOCIALE comunicò ai danneggiati, ai sensi dell’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005, la propria decisione di non volere fare l’offerta di risarcimento nell’aprile del 2018, il termine di tre mesi per la presentazione della querela «decorreva dallo spirare dei trenta giorni da quella comunicazione», con la conseguenza che la querela, essendo stata proposta solo il 28/01/2019, si doveva ritenere tardiva.
Il ricorrente evidenzia che l’ingegner NOME COGNOME non era il consulente tecnico della parte civile nella causa civile che si tenne davanti al Giudice di pace di Barra ma il consulente tecnico d’ufficio che era stato nominato dallo stesso Giudice di pace, sicché «la sua relazione non può essere presa in considerazione per la sospensione dei termini ex art. 148 Codice delle RAGIONE_SOCIALE».
Il ricorrente rappresenta poi che RAGIONE_SOCIALE «non ha mai comunicato alle parti coinvolte nel sinistro stradale le sue “determinazioni conclusive” ex art. 148 Cod. Assi.ni, dal quale far decorrere i termini, essendosi limitata soltanto a comunicare, ad aprile 2018, la decisione di non voler risarcire
il danno, allo stato degli atti». Da ciò il ricorrente fa discendere che «i trenta gior per la proposizione della querela dovevano decorrere da quella data».
L’COGNOME deduce ancora che, se anche vi fosse stata la suddetta comunicazione delle «determinazioni conclusive», «anche se i termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 148 Cod. Ass.ni si sarebbero sospesi, in ogni caso, il termine per la presentazione della querela sarebbe decorso dallo spirare dei 30 giorni entro il quale l’impresa comunica al danneggiato le predette determinazioni conclusive, con la conseguenza che, anche in tal caso, la querela deve considerarsi tardiva».
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’inosservanza degli artt. 192, 238 e 238-bis cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto è stato ritenuto dalla Corte d’appello di Torino, la relazione del menzionato consulente tecnico ingegner COGNOME, assunta nel giudizio civile davanti al Giudice di pace di Barra, non avrebbe potuto essere acquisita e utilizzata nell’ambito del processo penale, «perché svolta nell’ambito del giudizio civile al quale non aveva partecipato il difensore dell’imputato COGNOME NOME».
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen. e la contraddittorietà e apparenza della motivazione con riguardo al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente deduce che la motivazione al riguardo, nel non rispondere al relativo motivo di appello – con il quale era stata contestata la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado per avere il Tribunale di Torino valutato gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. positivamente ai fini del determinazione della misura della pena e negativamente ai fini della valutazione della richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche – sarebbe «priva di una valutazione personale dei fatti e degli elementi necessari a giustificare il diniego, richiamando, in modo superficiale, la decisione del primo giudice» e valorizzerebbe una presunta «capacità delinquenziale» (pag. 9 della sentenza impugnata) nonostante egli non fosse gravato da precedenti penali.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e l’apparenza della motivazione con riguardo alla mancata esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Torino avrebbe «ome di dare una sua precisa valutazione sul perché del diniego, limitandosi a richiamare, in modo superficiale ed apparente, la valutazione fatta dal giudice di primo grado», trascurando, in particolare, di considerare «la mancanza di danno cagionato alla persona offesa, non essendo mai stato liquidato il sinistro per cui è processo».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a quattro motivi, i quali sono preceduti da un’esposizione degli «antefatti della causa», delle «conclusioni del
CTU riportate nella sentenza civile» e delle motivazioni del Giudice di pace di Barra del rigetto della domanda degli attori NOME COGNOME e NOME COGNOME e della trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 124 cod. pen. e dell’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005.
Dopo avere affermato che «la RAGIONE_SOCIALE, fatti i primi accertamenti, ha l’obbligo di comunicare all’interessato della decisione di effettuare ulteriori accertamenti o approfondimenti in seguito ai quali valutare di presentare la querela» e avere evidenziato come la Corte d’appello di Torino avesse rilevato che «la richiesta di risarcimento da parte di COGNOME reca la data del 27/04/2017 e l’atto di citazione avanti al Gdp è del 28/7/2017» (pag. 8 della sentenza impugnata), il ricorrente deduce che «l’incarico degli accertamenti effettuati dall’investigatore privato della RAGIONE_SOCIALE si è concluso solo in data 11.4.2018, ovvero dopo circa un anno dalla predetta comunicazione del danneggiato (termine oltremodo superiore a quello previsto dalle predette norme per la formalizzazione della querela)».
Il COGNOME contesta poi l’affermazione della Corte d’appello di Torino secondo cui «la piena conoscenza della falsità dell’illecito si ebbe solo in sede di conferimento dell’incarico al CTU COGNOME e di espletamento della relazione» (pag. 8 della sentenza impugnata). Ciò in quanto, «facendo decorrere il termine dal deposito della CTU», la stessa Corte d’appello avrebbe erroneamente «valuta l’elaborato peritale del consulente di ufficio dell’ing. COGNOME, come “notitia criminis”, ritenendo che la perizia contenga il presupposto della notizia di reato di falso incidente», laddove, nella stessa perizia, «non è stato negato l’evento o che fosse questo di diversa dinamica», atteso che il suddetto consulente tecnico di ufficio avrebbe solo affermato «che non ha avuto la possibilità di ricostruire la dinamica, la corrispondenza e la compatibilità dei danni secondo gli elementi (foto) versati in atti» (così il ricorso), ma non avrebbe «mai denunciato o reso inverosimile il sinistro del 5.7.2015 ma si è limitato solo a ritenere insufficienti gli elementi posti a fondamento del giudizio». Pertanto, la menzionata consulenza tecnica non costituirebbe «una notizia di reato e deve ritenersi oltremodo irrituale il procedimento penale per assenza di querela e/o decaduta la presunta parte offesa dal formulare la denuncia».
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte d’appello di Torino «ritenuto accusatori la relazione del AVV_NOTAIO».
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Il COGNOME ribadisce che, nella suddetta relazione, espletata nel giudizio civile che si era svolto davanti al Giudice di pace di Barra, come sarebbe stato affermato anche da tale Giudice, il consulente tecnico d’ufficio ingegner COGNOME affermò solo di non avere avuto gli elementi per accertare adeguatamente il fatto – in particolare, «che non è stato possibile rilevare la coerenza dei danni sulla base degli elementi posti a disposizione dalle parti» (così il ricorso) – ma non lo aveva escluso né negato. Aveva, insomma, ritenuto la mancata prova del fatto, con il conseguente rigetto della domanda civile, ma non la prova che l’incidente non era accaduto; mancata prova che, nel processo penale, comporta l’assoluzione dell’imputato ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce poi che: a) «el processo penale non è stato acquisito né data prova del contenuto preventivo del veicolo Fiat Multipla. Non sappiamo, quindi, quali siano i danni preventivati tanto meno quali di essi siano stati contestati, richiesti o ricondotti al sinistro in questione dal COGNOME nel giudizi civile»; b) «non sono stati acquisiti, né vi è prova, di tutti i documenti presenti ne fascicoli di parte del giudizio civile, ivi comprese le probabili foto della Multipla la richiesta del signor COGNOME»; c) «anca il riconoscimento da parte del teste oculare delle foto riproducenti i danni dei veicoli in questione»; d) «NI CTU ha soffermato le sue analisi solo su alcune foto, peraltro prive di riconducibilità all auto, senza spiegare se vi erano altri rilievi fotografici dei veicoli. In ordine a riconducibilità, le foto non ritraggono la targa della Multipla»; e) «N’assenza di tali elementi rendono insufficiente la ratio accusatoria perché non rilevano quali danni sono riconducibili al sinistro per cui è causa e quali a quello precedente».
Nel rappresentare che l’ingegner COGNOME, nella propria consulenza, sarebbe «partito dall’errato presupposto o convincimento che la dinamica del sinistro avrebbe dovuto “portare un danno laterale obliquo” mentre i danni che sono riprodotti nelle fotografie sono “dovuti ad un urto radente”», il COGNOME deduce che «e il CTU non si fosse soffermato solo alla lettura dell’atto introduttivo ma avesse letto anche le dichiarazioni dei testi escussi nel processo civile, avrebbe potuto prendere atto che la dinamica dei fatti la descrivono i testimoni non l’atto di citazione». Il suddetto consulente tecnico avrebbe invece «ritenuto di negare l’evento così come riportato in citazione».
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, dopo avere premesso che le disposizioni che prevedono l’istituto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono entrate in vigore dopo la sentenza impugnata, afferma di «formalizza con la presente domanda di voler beneficiare della stessa procedura di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e intende partecipare alla stessa osservando il programma di misure che l’Autorità Giudiziaria disporrà per l’espletamento».
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Il COGNOME deduce di essere indigente, tanto che beneficia del patrocinio a spese dello Stato, ma che «potrà avere un aiuto economico limitato dai genitori, entrambi pensionati, nel seguire la procedura di riparazione presso il Distretto della Corte di Appello di Torino, ragion per cui potrebbe partecipare agli incontri di mediazione direttamente o da remoto».
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione «sulla commisurazione della pena riconoscimento delle attenuanti quanto meno nella applicazione della pena base minore».
Il ricorrente rappresenta che: a) egli «non è stata parte attiva dell’evento sinistroso, se non quello di partecipare al diritto risarcitorio, essendo stato investito dal messaggio», sicché «non può essere condannato ad una pena così severa»; b) egli «ha sempre precisato le ragioni della sua partecipazione solo per il messaggio lasciatogli»; c) «gli episodi per cui risponde sono di minima rilevanza, peraltro di un soggetto incensurato e ha provato nel giudizio la sua buona fede»; d) chiede, quindi, «una pena base ridotta e applicazione delle attenuanti generiche per intero o prevalenti. Appare, comunque, sproporzionata ed eccessivamente gravosa la scelta di non applicare con prevalenza le attenuanti generiche».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Il primo motivo non è fondato.
Il comma 2-bis dell’art. 148 del Codice delle RAGIONE_SOCIALE private (d.lgs. n. 209 del 2005) stabilisce che: a) l’impresa di assicurazione possa comunicare al danneggiato (e all’IVASS) la propria decisione di non fare offerta di risarcimento, motivando tale decisione con la necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro (primo e secondo periodo); b) la stessa impresa debba poi, entro trenta giorni dalla comunicazione di tale decisione, comunicare al danneggiato le sue determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento (terzo periodo); c) all’esito dei menzionati approfondimenti, l’impresa di assicurazione può non formulare l’offerta di risarcimento qualora, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della decisione di effettuare gli stessi approfondimenti, decida di presentare querela, nelle ipotesi in cui è prevista, informandone l’assicurato nella comunicazione delle sue determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento (quarto periodo, prima parte); d) «in tal caso», il termine per la presentazione della querela, di cui all’art. 124, primo comma, cod. pen., decorre dallo spirare del termine di trenta giorni entro il quale
l’impresa di assicurazione comunica al danneggiato le sue determinazioni conclusive (quarto periodo, seconda parte).
Così brevemente ricostruita la disciplina dettata dal comma 2-bis dell’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005, il Collegio reputa che, per ritenere applicabile tale decorrenza del termine di presentazione della querela – termine che è quello ordinario di tre mesi stabilito dal primo comma dell’art. 124 cod. pen. (Sez. 2, n. 11144 del 18/12/2020, dep. 2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280993-01) – è necessario non solo che sia stata attivata la procedura prevista dal suddetto art. 148 (Sez. 2, n. 36942 del 27/04/2018, COGNOME, Rv. 273517-01), ma anche che l’impresa di assicurazione abbia comunicato al danneggiato le sue determinazioni conclusive di non procedere al risarcimento, informandolo della propria decisione di presentare querela.
Tale conclusione si deve infatti ritenere discendere: sia dalla lettera della norma, la quale prevede la suddetta comunicazione al danneggiato, nei termini indicati, come il presupposto per la decorrenza del termine (ordinario) di presentazione della querela («in tal caso»); sia dalla ratio della stessa norma, la quale ragionevolmente riconnette quella che risulta essere una presunzione di conoscenza della frode assicurativa al fatto che l’impresa di assicurazione, all’esito degli approfondimenti condotti, abbia deciso di non procedere al risarcimento e di presentare querela.
Nel caso in esame, è lo stesso ricorrente, nel proprio ricorso, ad affermare che RAGIONE_SOCIALE «non ha mai comunicato alle parti coinvolte nel sinistro stradale le sue “determinazioni conclusive” ex art. 148 Cod. Assi.ni, dal quale far decorrere i termini, essendosi limitata soltanto a comunicare, ad aprile 2018, la decisione di non voler risarcire il danno, allo stato degli atti». Cioè si deve ritenere, a comunicare la decisione di cui al primo e secondo periodo del comma 2-bis dell’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005, la cui comunicazione non è idonea a fare decorrere il termine per la proposizione della querela; il quale poteva iniziare a decorrere, come si è detto, soltanto qualora l’impresa di assicurazione avesse comunicato le sue determinazioni conclusive di non procedere al risarcimento, informando il danneggiato della propria decisione di presentare querela. Né la comunicazione delle stesse determinazioni conclusive risulta dalle invocate dichiarazioni del testimone NOME COGNOME, atteso che tali dichiarazioni appaiono fare chiaramente riferimento a una comunicazione interlocutoria, giustificata dalla necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro.
Ne discende che correttamente la Corte d’appello di Torino ha escluso che la data dell’aprile del 2018, in cui fu comunicata la decisione di cui al primo e secondo periodo del comma 2-bis dell’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005, potesse essere
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assunta quale riferimento per determinare il dies a quo per la proposizione della querela e ha individuato lo stesso termine facendo ricorso all’ordinaria disciplina codicistica del primo comma dell’art. 124 cod. pen., la quale àncora il dies a quo per proporre la querela alla conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fattoreato, nella sua dimensione oggettiva e soggettiva. Conoscenza che può essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi, liberamente determinarsi, con la conseguenza che, nel caso in cui siano svolti accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all’art. 124 cod. pen. decorre non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, né da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall’esito di tali indagini (Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, Lezzi, Rv. 261018-01; Sez. 5, n. 33466 del 09/07/2008, Ladogana, Rv. 241395-01; Sez. 5, n. 14660 del 01/10/1999, Carniato, Rv. 215188-01).
Ciò posto, si deve rilevare come la Corte d’appello di Torino abbia evidenziato come la richiesta di risarcimento e l’atto di citazione davanti al Giudice di pace di Barra del COGNOME fossero di circa due anni successivi rispetto al sinistro, come l’incarico che era stato conferito all’investigatore privato, depositato il 11/04/2018, si concludesse con l’indicazione della necessità di ulteriori approfondimenti e come tale approfondimenti, tali da consentire di «acquisire la consapevolezza della illiceità penale del fatto», fossero stati conseguiti soltanto in seguit all’espletamento della consulenza tecnica che era stata affidata all’ingegner COGNOME nell’ambito del giudizio civile davanti al Giudice di pace di Barra, con la conseguenza che la querela di RAGIONE_SOCIALE si doveva ritenere essere stata tempestivamente presentata nel termine di tre mesi dall’espletamento di tale consulenza tecnica.
Tale conclusione, in quanto frutto di un accertamento in fatto, non è sindacabile in questa sede di legittimità.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Secondo la giurisprudenza largamente maggioritaria della Corte di cassazione, la consulenza tecnica d’ufficio resa nel giudizio civile – quale era quella redatta dall’ingegner COGNOME nel giudizio civile che si era svolto davanti al Giudice di pace di Barra – può essere legittimamente acquisita nel processo penale, anche quando il suddetto giudizio civile non sia statonsussi ancora definito con sentenza passata in giudicato, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. Secondo la normativa processualcivilistica, infatti, la stessa consulenza tecnica non appartiene alla categoria dei mezzi di prova, sicché essa deve essere considerata quale documento, per essere stata formata fuori del procedimento penale e per essere rappresentativa di situazioni e di cose; con la conseguenza che la sua
acquisizione nel giudizio penale non avviene secondo la disciplina dell’art. 238 cod. proc. pen. – là dove si riferisce ai verbali di prove assunte nel giudizio civile – ma può legittimamente avvenire secondo le regole previste per l’acquisizione della prova documentale (Sez. 3, n. 15431 del 07/11/2017, dep. 2018, B., Rv. 27255101; Sez. 3, n. 5863 del 23/11/2011, dep. 2012, G., Rv. 252127-01; Sez. 2, n. 7916 del 05/02/2008, Ross, Rv. 239546-01; Sez. 3, n. 22821 del 25/02/2003, COGNOME, Rv. 225229-01; Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, COGNOME, Rv. 20587101).
Secondo un’isolata pronuncia (Sez. 3, n. 22265 del 23/04/2008, Magri, Rv. 240491-01), peraltro, la consulenza tecnica d’ufficio disposta in un giudizio civile potrebbe essere acquisita, ai sensi del comma 2 dell’art. 238 cod. proc. pen. – che tale pronuncia, diversamente da quelle sopra citate, ritiene applicabile alla fattispecie – soltanto se il giudizio civile sia stato definito con sentenza passata i giudicato. In proposito, si deve osservare che tale condizione era comunque sussistente nel caso di specie, atteso che, come risulta dalla sentenza di primo grado, il giudizio civile davanti al Giudice di pace di Barra era stato «definito con sentenza irrevocabile» (pag. 5).
Da ciò discende che, quale che sia l’orientamento che si intenda privilegiare, la consulenza tecnica d’ufficio resa nel menzionato giudizio civile dall’ingegner COGNOME si deve ritenere legittimamente acquisita e, quindi, utilizzabile ai fini della decisione (art. 526, comma 1, cod. proc. pen.).
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del
beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Torino ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l’elemento della capacità delinquenziale dell’COGNOME, quale risultava non – come mostra di ritenere il ricorrente – dai suoi (effettivamente insussistenti) precedenti penali ma dalle stesse modalità del fatto, in quanto questo si era sostanziato nell’architettare una frode connotata da ingegnosità.
Si deve altresì rilevare come il Tribunale di Torino avesse evidenziato l’assenza di elementi che potessero deporre in senso favorevole alla concessione delle suddette circostanze attenuanti (non essendo lo stato di incensuratezza di per sé sufficiente, a norma dell’art. 62-bis, terzo comma, cod. pen., ai fini della stessa concessione); elementi che, in vero, non sono stati evidenziati neppure nel ricorso.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, la motivazione della Corte d’appello di Torino si deve pertanto ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sul tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Torino ha ritenuto che le concrete modalità di estrinsecazione del fatto – che, come si è detto, aveva ritenuto essersi sostanziato nell’architettare una frode connotata da ingegnosità – fossero state tali da generare un pericolo non inquadrabile in termini di esiguità.
D’altro canto, il fatto che gli imputati non fossero riusciti a conseguire il risarcimento che avevano richiesto non si può ritenere di per sé tale, contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, da poter fare ritenere l’offesa di particolare tenuità, atteso che, da un lato, il suddetto conseguimento integra in realtà un’aggravante del reato (a norma del secondo periodo del secondo comma dell’art. 642 cod. pen.) e che, dall’altro lato, il reato aveva comunque cagionato un danno alla persona offesa RAGIONE_SOCIALE, pregiudizio che il Tribunale di Torino, nel pronunciare condanna generica,
aveva ritenuto già provato nella misura, non esigua, di C 2.000,00, pari alla disposta condanna provvisionale.
Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo non è fondato.
Ciò per le stesse ragioni che si sono esposte nell’esaminare il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, là dove si è chiarito come la Corte d’appello di Torino abbia: da un lato, correttamente ritenuto l’inapplicabilità della decorrenza del termine di presentazione della querela di cui al comma 2-bis dell’art. 148 del d.lgs. n. 209 del 2005 e la conseguente necessità di individuare lo stesso termine facendo ricorso all’ordinaria disciplina codicistica del primo comma dell’art. 124 cod. pen., la quale àncora il dies a quo per proporre la querela alla conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato, nella sua dimensione oggettiva e soggettiva; dall’altro lato, ritenuto, con un accertamento in fatto che non è sindacabile in questa sede di legittimità, che la persona offesa RAGIONE_SOCIALE avesse avuto tale conoscenza certa, nei termini che si sono detti, soltanto in seguito all’espletamento della consulenza tecnica che era stata affidata all’ingegner COGNOME nell’ambito del giudizio civile davanti al Giudice di pace di Barra, con la conseguenza che la querela si doveva ritenere essere stata tempestivamente presentata nel termine di tre mesi dall’espletamento di tale consulenza tecnica.
Peraltro, la tesi del ricorrente secondo cui la Corte d’appello di Torino avrebbe erroneamente «valuta l’elaborato peritale del consulente di ufficio dell’ing. COGNOME, come “notitia criminis”, ritenendo che la perizia contenga il presupposto della notizia di reato di falso incidente» condurrebbe all’esito – che risulta opposto rispetto a quello sperato dallo stesso ricorrente – di “spostare” ancora più in là nel tempo il dies a quo per la proposizione della querela.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 25261501)
È parimenti consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio di travisamento della
prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155-01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018-01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837-01).
Costituisce, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione – e anch’esso, come i precedenti, condiviso dal Collegio – quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
Ribaditi tali principi, si deve osservare come le conformi sentenze dei giudici di merito abbiano evidenziato come dalla relazione tecnica che era stata effettuata dall’ingegner COGNOME e anche dalla deposizione che era stata resa nel corso del dibattimento dallo stesso COGNOME – il quale aveva analizzato le fotografie delle due autovetture asseritamente danneggiate (la Fiat Multipla di NOME COGNOME e la Ford Fusion di NOME COGNOME) e aveva effettuato una comparazione virtuale delle stesse autovetture nonché della Ford Fusion e della Volkswagen Tuareg in uso a NOME COGNOME che avrebbe cagionato il denunciato sinistro – fosse emerso come la Ford Fusion (che, secondo la denuncia di sinistro, avrebbe inizialmente urtato la Fiat Multipla, innescando l’incidente) non presentasse danni posteriori spiegabili con un urto da parte della Volkswagen Tuareg e come la stessa Ford Fusion non presentasse sul proprio paraurti danni corrispondenti a quelli che erano stati rilevati sulla Fiat Multipla (che la Ford Fusion, a causa dell’urto da parte della Volkswagen Tuareg, avrebbe successivamente a sua volta urtato). I giudici di merito hanno altresì evidenziato come il COGNOME, nel chiedere il risarcimento (e
nell’agire poi in sede civile) avesse sottaciuto il fatto che la propria autovettura Fiat Multipla presentava dei danni che derivavano da un sinistro precedente, danni che lo stesso COGNOME ricomprendeva tra quelli di cui chiedeva il risarcimento a RAGIONE_SOCIALE
Da tanto la conclusione dei giudici di merito – la quale, alla luce di quanto si è appena detto, appare del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste – che il sinistro denunciato non era realmente accaduto.
A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente appaiono sostanzialmente dirette a sollecitare una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire alle menzionate relazione tecnica e dichiarazioni di NOME COGNOME o a evidenziare ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti in ordine alla valenza probatoria degli stessi elementi di prova, il che non è possibile fare in sede di legittimità.
2.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Ai sensi della norma generale (relativamente alla fase di cognizione) di cui al “nuovo” art. 129-bis cod. proc. pen. (inserito dall’art. 7, comma 1, lett. c, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), l’autorità giudiziaria – alla quale spetta, nella pendenza di un procedimento penale, il vaglio sull’accesso ai programmi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -, in ogni stato e grado del procedimento, può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’indagato/imputato e della vittima del reato al RAGIONE_SOCIALE di riferimento per l’avvio, appunto, di un programma di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
In base alla disposizione transitoria del comma 2-bis dell’art. 92 del d.lgs. n. 150 del 2022 (comma aggiunto dall’art. 5-novies, comma 1, del di. 31 ottobre 2022, n. 162, conv. con modif. dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199) – la quale ha previsto che le disposizioni in materia di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in essa indicate sarebbero divenute applicabili decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 (e, quindi, decorsi sei mesi dal 30/12/2022) – il suddetto art. 129-bis cod. proc. pen. è ormai divenuto applicabile.
Pertanto, a fronte della richiesta che è stata presentata dal ricorrente (a mezzo di procuratore speciale) di invio a un RAGIONE_SOCIALE, occorre individuare l’autorità giudiziaria alla quale spetta la competenza a decidere al riguardo.
A ciò provvede l’art. 45-ter disp. att. cod. proc. pen. (anch’esso applicabile decorsi sei mesi dal 30/12/2022), il quale, per quanto qui interessa, stabilisce che, «durante la pendenza del ricorso per cassazione», la competenza a provvedere in ordine all’accesso alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spetta al «giudice che ha emesso il provvedimento impugnato» (ultima frase del secondo periodo dell’unico comma).
La ratio di tale previsione appare ravvisabile nel fatto che la decisione in ordine all’accesso a un programma di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE implica un giudizio di merito (si veda, in particolare, il comma 3 dell’art. 129-bis cod. proc. pen.) che è estraneo al giudizio di legittimità.
Da quanto si è detto consegue che, poiché la richiesta del COGNOME è stata da lui avanzata contestualmente alla presentazione del ricorso per cassazione, la quale determina la pendenza dello stesso ricorso, per il citato disposto dell’art. 45ter disp. att. cod. proc. pen., la medesima richiesta avrebbe dovuto essere presentata al giudice che ha emesso la sentenza impugnata e, quindi, alla Corte d’appello di Torino.
Da ciò consegue l’inammissibilità della stessa richiesta, in quanto presentata a un’autorità giudiziaria priva di competenza a decidere al riguardo.
2.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Sul punto, si deve anzitutto rilevare come il ricorrente appaia trascurare di considerare come il Tribunale di Torino, con la sentenza confermata dalla Corte d’appello di Torino, gli avesse irrogato la pena base di un anno di reclusione, cioè il minimo della pena edittale che è prevista per il reato di cui all’art. 642 cod. pen. (che è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni). Nessuna diminuzione di tale pena base era quindi possibile.
Tale pena base era stata poi diminuita di un quarto (da un anno di reclusione a nove mesi di reclusione) per le concesse circostanze attenuanti generiche. A tale proposito, si deve osservare che la graduazione della pena, anche in relazione alle diminuzioni previste per le circostanze attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01). Nel caso in esame, la diminuzione di un quarto della pena base risulta adeguatamente giustificata dal riferimento, operato dalla Corte d’appello di Torino, all’adeguatezza della pena rispetto alla condotta, alla stregua della capacità delinquenziale che era stata dimostrata dagli imputati nell’architettare una frode connotata dal carattere dell’ingegnosità.
Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In conformità al principio recentemente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, Sacchettino), il Collegio ritiene di rigettare la richiesta della parte civile RAGIONE_SOCIALE di condannare gli imputati alla rifusione delle spese processuali riferibili alla fase di
legittimità in favore della stessa parte civile, atteso che questa non ha fornito alcun utile contributo alla decisione, giacché si è limitata a chiedere la conferma della sentenza impugnata, comprese le statuizioni civili, e la menzionata condanna degli imputati alla rifusione delle spese, senza contrastare specificamente i motivi di ricorso da questi proposti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese del grado avanzata dalla parte civile. Così deciso il 16/02/2024.