Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1817 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1817 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 29/04/1979 a MILANO COGNOME NOME nata il 11/10/1994 a CHIAVENNA COGNOME nata il 25/01/1973 a CHIAVENNA avverso l’ordinanza in data 17/09/2024 del TRIBUNALE DI SONDRIO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
a seguito di trattazione in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1 bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, per il tramite del comune difensore e con ricorsi congiunti, impugnano l’ordinanza in data 17/09/2024 del Tribunale di Sondrio che -a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 32599 del 02/07/2024- ha confermato il decreto in data 06/03/2024 del G.i.p. del Tribunale di Sondrio, che aveva
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disposto il sequestro preventivo diretto e per equivalente dei saldi attivi di alcuni conti correnti e di taluni beni immobili intestati a COGNOME NOME e a COGNOME NOME, in relazione a una serie di ipotesi di reati fiscali previsti dagli artt. 2 (capo A), 4 (capi B, I, 3, K) 5 (capo C), 10 (capo D) del decreto legislativo n. 74 del 10.03.2000, nonché per il reato di cui all’art. 329 del decreto legislativo n. 14 del 12/01/2019 (capi E, F e G) e per il reato di cui all’art. 648 bis cod. pen..
Deducono:
Violazione di legge in relazione agli artt. 324, 325, 311, 309 c.p.p.. Inefficacia del provvedimento.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta l’inefficacia dell’ordinanza impugnata in quanto emessa oltre il termine perentorio di dieci giorni previsto dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen..
A tale proposito si osserva che, a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, il tribunale, in data 21/08/2024, emetteva il decreto di fissazione dell’udienza di trattazione, che veniva indicata nel giorno 17/09/2024, ben oltre il termine di dieci giorni stabilito dagli artt. 324 comma 7 e 309 commi 9 e 10, cod. proc. pen..
Segnala che davanti al tribunale era stata eccepita la tardività della decisione, ma che l’eccezione veniva rigettata dai giudici del riesame.
I ricorrenti dichiarano di conoscere l’orientamento di questa Corte secondo cui il termine in questione non è perentorio, ma tuttavia ritengono che questo orientamento possa essere superato alla luce dei principi espressi in motivazione dalle sezioni unite nella sentenza n. 27104 del 29 settembre 2020 (ric. COGNOME), di cui vengono illustrati i contenuti, osservando che seppur vero che tale sentenza veniva pronunciata in relazione alle misure cautelari personali, è anche vero che pure nel sequestro vengono in evidenza questioni preliminari che incidono in maniera determinante nella vita delle persone.
Violazione di legge in relazione agli artt. 21 e 27 cod. proc. pen.. Incompetenza per territorio.
Secondo i ricorrenti il tribunale ha erroneamente ritenuto che il G.i.p. per mero refuso avesse indicato il delitto di autoriciclaggio quale titolo cautelare, mentre in realtà il delitto per cui è stato disposto il sequestro è il delitto di riciclaggio
Si assume che il tribunale non affronta la questione della corretta qualificazione giuridica del reato e che -ove si dovesse ritenere configurato il delitto di autoriciclaggio- verrebbe a modificarsi la competenza territoriale, in favore del Tribunale di Brescia, perché i delitti più gravi sarebbero quelli contestati ai capi E) ed F).
Violazione di legge per omessa motivazione in relazione al fumus commissi delicti e al periculum in mora nel decreto del G.i.p. e nell’ordinanza del tribunale.
I ricorrenti sostengono che la motivazione svolta dal g.i,p. nel decreto di sequestro sia inidonea a rappresentare l’iter logico giuridico posto a base della decisione.
Denunciano, quindi, l’apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, che si risolve in un mero richiamo acritico al provvedimento del G.i.p. e alle risultanze investigative, senza alcuna rivalutazione critica delle questioni sollevate con l’istanza di riesame.
In tal senso la censura viene specificata in relazione al capo G) e al ruolo attribuito alla COGNOME, che viene indicata dai giudici quale amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE
Secondo la difesa, invece, tale qualifica deve essere “più profondamente valutata e motivata”, alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali.
Precisa che la delega a operare rilasciata dal marito alla moglie non ha valore indiziario, in quanto dettata dalla necessità di consentire delle operazioni in caso di impedimento dell’amministratore.
Anche con riguardo al periculum in mora si denuncia l’apparenza della motivazione, che si risolve in un’astratta affermazione, meramente ipotetica, priva di alcun ancoraggio concreto alla situazione fattuale posta a fondamento del sequestro.
Da qui la denuncia di omessa motivazione per apoditticità.
Violazione di legge in relazione agli artt. 321, 322-ter e 125 comma 3 cod. proc. pen..
Secondo i ricorrenti il sequestro disposto nei confronti di COGNOME risulta ictu ocull sproporzionato, in quanto a fronte di un profitto ingiusto stimato in euro 254.516,00 viene apposto il vincolo a beni per un valore complessivo pari a 1.100.000,00 euro.
Osservano che il tribunale ha erroneamente ritenuto che non gli spettasse stimare il valore dei beni, là dove questa stima non era stata messa in discussione, visto che l’eccezione riguardava il diverso tema del rispetto del principio della proporzione, che il tribunale era tenuto a verificare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. GLYPH Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente sostiene che il termine di dieci giorni previsto per la decisione sull’istanza di riesame di un provvedimento cautelare reale, a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, è perentorio.
La questione è stata già affrontata da questa Corte, che ha escluso la perentorietà di detto termine per le ragioni così illustrate nella sentenza n. 12772 del 28/02/2022 (Sez. 1, ric. COGNOME, non nnassimata): «Il termine di dieci
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giorni per la decisione sulla richiesta di riesame non trova applicazione per i giudizi in materia di misure cautelari reali e di sequestro probatorio che facciano seguito all’annullamento con rinvio. Il termine di dieci giorni è previsto per le decisioni cautelari in sede di rinvio dall’art. 311, comnna 5-bis, cod. proc. pen., che fa però espresso ed esclusivo richiamo all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., e quindi ai procedimenti aventi ad oggetto ordinanze relative a misure cautelari personali.
Quelli che, di contro, hanno ad oggetto provvedimenti di cautela reale e provvedimenti di sequestro sono sottratti a questa stringente cadenza temporale, come ha chiarito Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Rv. 266790. Hanno stabilito le Sezioni unite che l’inedito comma 5-bis, aggiunto nell’art. 311 cod. proc. pen. dalla novella apportata dalla legge n. 47 del 2015, che contiene una stretta sui tempi del giudice del rinvio chiamato a rendere la propria decisione in tema di misura coercitiva, non attiene alla procedura di riesame delle misure reali. E ciò perché “l’art. 311, comma 5-bis, non essendo richiamato, a differenza dei propri commi 3 e 4, dall’art. 325 cod. proc. pen. – cioè dalla norma che disciplina il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse nelle procedure della impugnazione, nell’incidente cautelare reale – non opera in relazione a queste”.
Il principio è stato ribadito più volte nella giurisprudenza di legittimità: in termini si sono espresse Sez. 1, n. 39259 del 15/06/2017, Rv. 270752, secondo cui “il termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti – entro il quale, ai sens dell’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 13 della legge 16 aprile 2015, n. 47, deve intervenire la decisione del tribunale del riesame nel caso di annullamento con rinvio, da parte della Corte di cassazione, di un provvedimento applicativo o confermativo di misura cautelare – si applica esclusivamente alle misure cautelari personali e non anche a quelle reali”; e Sez. 4, n. 51345 del 09/10/2018 Rv. 274007, che ha fissato identico principio di diritto» (nello stesso senso, non massimate, Sez. 4, n. 7859 del 11/11/2021 C.C., depositato il 2022, Ferrara; Sez. 2, n. 20989 del 13/04/2021, COGNOME).
Sulla base di tali condivise argomentazioni, va ribadito il seguente principio di diritto: «in tema di procedimento cautelare, il termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti – entro il quale, ai sensi dell’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 13 della legge 16 aprile 2015, n. 47, deve intervenire la decisione del tribunale del riesame nel caso di annullamento con rinvio, da parte della Corte di cassazione, di un provvedimento applicativo o confermativo di misura cautelare – si applica esclusivamente alle misure cautelari personali e non anche a quelle reali. (La S.C. ha precisato che la disposizione contenuta nell’art. 311, comnna 5-bis, cod. proc. pen., da considerarsi di stretta interpretazione, fa espresso riferimento all’annullamento con rinvio di un’ordinanza che ha applicato o confermato una misura coercitiva personale ex art. 309, comma nono, cod. proc.
pen., mentre l’art. 324 cod. proc. pen., che disciplina il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti riguardanti misure cautelari reali, richiama i commi 3 e 4, ma non anche il comma 5-bis, del citato articolo)» (Sez. 1, n. 39259 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 270752 – 01; Sez. 4, n. 51345 del 09/10/2018, S., Rv. 274007 – 01).
Il richiamo della difesa ai principi fissati dalle sezioni unite con la sentenza c.d. COGNOME risulta dunque non conferente, atteso che quelli -per come riconosciuto dagli stessi ricorrenti- si riferiscono alle misure cautelari personali, mentre sulla non perentorietà del termine di che trattasi con specifico riferimento al riesame in misura di misure cautelari reali si sono espresse le sezioni unite con la già citata sentenza n. 18954 del 2016.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti osservano che il GRAGIONE_SOCIALE. ha riqualificato il fatto contestato al capo H) in termini di autoriciclaggio, rispetto all’originaria contestazione di riciclaggio, così che i delitti più gravi erano da considerarsi quelli di bancarotta fraudolenta contestati ai capi E) ed F).
Secondo i ricorrenti il tribunale ha erroneamente disatteso l’eccezione difensiva ritenendo che vi fosse stato un mero refuso nel provvedimento del giudice e non una riqualificazione.
Il motivo risulta aspecifico, atteso che viene sostenuta una qualificazione giuridica in termini di autoriciclaggio, senza tuttavia indicare gli elementi fattuali che condurrebbero il fatto nel paradigma dell’art. 648-ter.1 cod. pen. piuttosto che al riciclaggio, per come ritenuto dal tribunale.
Vale la pena sottolineare come la qualificazione giuridica data dal giudice debba essere tratta dall’ordito argomentativo e non anche dalla mera indicazione della norma che, nel caso di specie, sulla base della motivazione del tribunale, risulta del tutto incoerente rispetto alle argomentazioni sviluppate nel decreto del g.i.p., richiamate dal tribunale.
Il Tribunale, peraltro, diversamente da quanto dedotto dalla difesa, ha esposto le ragioni per cui ha ritenuto che il fatto fosse qualificabile ai sensi dell’art. 648-bis cod. pen, spiegando che COGNOME NOME -cui il fatto viene contestatonon concorre nei delitti costituenti il presupposto del reato, stante l’assenza di prova in ordine a un eventuale ruolo all’interno della RAGIONE_SOCIALE
Ne discende che il motivo è manifestamente infondato là dove denuncia il vizio di omessa motivazione.
Il motivo è -peraltro- aspecifico, in quanto non indica le ragioni per cui la qualificazione giuridica ritenuta dal tribunale dovesse ritenersi errata, così risultando generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla
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base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
Non è fondato neanche il terzo motivo d’impugnazione, con il quale i ricorrenti denunciano il vizio di omessa motivazione con riguardo al fumus commissi delicti e al periculum in mora.
3.1. In relazione al fumus commissi delicti, il tribunale si è puntualmente occupato di ogni singolo delitto contestato agli indagati dalla pagine 11 alla pagina 21 dell’ordinanza impugnata, con motivazione che soddisfa i requisiti richiesti in sede di applicazione di un vincolo cautelare reale, così come enucleati da questa Corte che ha precisato che «in tema di misure cautelari reali, il giudice, nel valutare il fumus commissi delicti, presupposto del sequestro preventivo, non può limitarsi all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotesi di reato, ma è tenuto ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali» (Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, Balint, Rv. 286366 – 01).
Peraltro, non può che osservarsi come il motivo sia connotato da genericità, in quanto i ricorrenti espongono un’indeterminata censura di omessa motivazione che non trova riscontro nella lettura del provvedimento impugnato.
L’unica censura effettivamente sviluppata riguarda il ruolo attribuito alla RAGIONE_SOCIALE nell’ambito della RAGIONE_SOCIALE, che il tribunale ha ritenuto essere amministratrice di fatto, mentre i ricorrenti negano questa circostanza.
A tale riguardo non può che osservarsi come le argomentazioni sviluppate dalla difesa si rivolgano alla motivazione, così che esse sollevano questioni non deducibili in cassazione avverso un provvedimento adottato in tema di misure cautelari reali.
Sotto tale profilo, infatti, va ricordato che «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
Evenienze che non emergono dalla lettura dell’ordinanza impugnata, né -per il vero- vengono dedotte dai ricorrenti.
3.2. Con riguardo al perículum in mora, le Sezioni Unite hanno chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca è consentito in presenza di due presupposti: anzitutto la confiscabilità dei beni, ossia la condizione che si tratti di cose di cui è consentita la confisca a tenore del codice penale o delle leggi speciali, tanto nei casi di confisca facoltativa quanto nei casi di confisca obbligatoria. A tale preliminare requisito va aggiunto che «il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio» (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01). Va precisato che la motivazione del periculum in mora non può esaurirsi nel prendere atto della confiscabilità del bene, pretendendosi l’esposizione delle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio (in tal senso, cfr. tra molte Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022 Cc., dep. il 2023, Beni, Rv. 284313 – 01; Sez. U, Sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01), per l’esistenza di elementi concreti che facciano ritenere sussistente il pericolo che, nelle more del giudizio, la cosa venga modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata. A tale ultimo proposito la sentenza delle Sezioni Unite c.d. Ellade ora citata ha spiegato che l’esigenza anticipatoria correlata alla confisca è «rapportata appunto alla ratio della misura cautelare volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo, di cui non si può non cogliere il parallelismo rispetto al sequestro conservativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen. che, analogamente, e con riferimento, tuttavia, alla necessità di garantire l’effettività delle statuizioni relativ al “pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato”, presenta le stesse caratteristiche di preservazione della operatività di dette statuizioni, anch’esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono. E proprio in relazione al sequestro conservativo deve allora ricordarsi come queste Sezioni Unite abbiano chiarito, risolvendo un contrasto giurisprudenziale sull’estensione del giudizio prognostico richiesto ai fini della valutazione di tale presupposto, che per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore, necessario solo a fronte di un patrimonio già di per sé adeguato (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, COGNOME Rv.261118; in termini conformi, da ultimo, Sez. 2, n. 51576 del 04/12/2019, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME, Rv.277813)». Proprio il richiamo ai requisiti richiesti in relazione al sequestro conservativo consente di riferire anche al sequestro preventivo i principi pure fissati in quella materia, quando oggetto dell’ablazione sia una somma di denaro. A tale proposito è stato spiegato che «ricorre il periculum in mora, presupposto del sequestro conservativo, se il rischio di perdita delle garanzie del credito sia apprezzabile in relazione a concreti e specifici elementi riguardanti, da un lato, l’entità del credito e la natura del bene oggetto del sequestro e, dall’altro, la situazione di possibile depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo. (Nella specie, la Corte ha ritenuto non potesse il “periculum in mora” essere giustificato sulla sola considerazione che la cosa sequestrata si identificasse in un’ingente somma di denaro, per sua natura suscettibile di pericolo di dispersione)» (Sez. 6, n. 20923 del 15/03/2012, COGNOME, Rv. 252865 – 01).
Anche in questo caso la motivazione dell’ordinanza impugnata è conforme ai principi fin qui illustrati, visto che il tribunale -richiamando la motivazione del g.i.p. e in coerenza con le molteplici condotte distrattive contestate agli indagati- ha rimarcato come la libera disponibilità dei beni avrebbe reso possibile la loro dispersione, impedendo la ricostruzione delle disponibilità economiche degli indagati e favorendo l’ulteriore protrazione e l’aggravamento delle conseguenze dei reati.
Ne discende l’infondatezza del motivo d’impugnazione.
Con il quarto motivo di ricorso la difesa, nell’interesse della sola COGNOME sostiene che il tribunale non ha verificato il requisito della proporzione tra profitto illecito e valore dei beni sottoposto a sequestro.
In tal senso sostengono che il tribunale ha male inteso l’eccezione, ritenendo che venisse richiesta la stima del valore dei beni che, invece, non era in contestazione, riconoscendosi quella effettuata dalla guardia di finanza ed eccependosi -piuttosto- il difetto del requisito della proporzione, così come emergente proprio da quella stima.
Sotto tale profilo si rileva che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, il tribunale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto a mente del quale «in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il tribunale del riesame, tranne i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni e l’ammontare del sequestro corrispondente al profitto del reato, non è titolare del potere di compiere mirati accertamenti per verificare il rispetto del principio di proporzionalità, con la conseguenza che il destinatario del provvedimento di coercizione reale può presentare apposita istanza di riduzione della garanzia al
pubblico ministero e, in caso di provvedimento negativo del giudice per le indagini preliminari, può impugnare l’eventuale decisione sfavorevole con l’appello cautelare» (Sez. 2, n. 26340 del 28/02/2018, COGNOME, Rv. 272882 – 01).
Il tribunale ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto che nel caso in esame non ricorresse il requisito dell’immediata evidenza richiesta come requisito per compiere mirati accertamenti in punto di proporzionalità già in sede di riesame e, a tale scopo, ha osservato che la stima degli immobili doveva ritenersi ancora incerta, così che non poteva costituire un sicuro parametro di riferimento ai fini della verifica della proporzionalità.
Il tribunale, dunque, ha dato una risposta coerente alla richiesta difensiva, con motivazione adeguata e conforme ai principi di diritto fissati sul tema, così risultando insindacabile in questa sede dove -come si è già già evidenziato- è possibile sollevare questioni riconducibili alla violazione di legge ma non anche afferenti ai vizi di motivazione.
Quanto esposto conduce al rigetto dei ricorsi e alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso il 17/12/2024