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Termine per la difesa: DASPO annullato per vizio orario

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di convalida di un DASPO con obbligo di presentazione alla polizia. La decisione si fonda sulla violazione del termine per la difesa di 48 ore concesso all’interessato. L’ordinanza di convalida, infatti, era stata depositata senza l’indicazione dell’orario, rendendo impossibile verificare se fosse stata emessa prima della scadenza del termine. Questa incertezza, secondo la Corte, lede il diritto di difesa e comporta la caducazione della misura limitativa della libertà personale.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine per la difesa: la Cassazione annulla un DASPO per incertezza sull’orario di convalida

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34020/2024) ribadisce un principio fondamentale a tutela del diritto di difesa: il rispetto rigoroso del termine per la difesa di 48 ore previsto per la convalida delle misure di prevenzione come il DASPO. La mancanza di certezza sull’orario di deposito del provvedimento di convalida, tale da non poter escludere che sia intervenuto prima della scadenza del termine, ne determina l’illegittimità.

I Fatti del Caso

Al ricorrente era stato notificato un decreto del Questore che gli imponeva, per quattro anni, il divieto di accedere a tutti gli impianti sportivi (DASPO) e l’obbligo di presentarsi presso gli uffici di polizia durante le partite della sua squadra. Il Tribunale competente aveva successivamente convalidato questo decreto.

Tuttavia, l’ordinanza di convalida era stata depositata in cancelleria il giorno della scadenza del termine di 48 ore dalla notifica, ma senza specificare l’orario. L’interessato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando proprio la violazione del suo diritto di difesa, poiché non era possibile verificare con certezza che il termine a sua disposizione per presentare memorie fosse stato rispettato.

Il Ricorso e la violazione del termine per la difesa

Il ricorso si basava su due motivi principali, ma la Corte si è concentrata su quello decisivo e logicamente prioritario: la violazione del termine per la difesa. La legge prevede che, dalla notifica del decreto del Questore, l’interessato ha 48 ore di tempo per presentare memorie e deduzioni al Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.), che a sua volta deve decidere sulla convalida.

Questo intervallo di tempo è definito ‘dilatorio’ e serve a garantire un ‘contraddittorio cartolare’, ovvero la possibilità per la persona colpita dal provvedimento di esporre le proprie ragioni per iscritto. Un provvedimento di convalida emesso prima che queste 48 ore siano completamente trascorse è considerato illegittimo.

L’incertezza sull’orario e le sue conseguenze

Nel caso specifico, il decreto era stato notificato alle ore 10:50 dell’11 ottobre. Il termine per la difesa scadeva quindi alle 10:50 del 13 ottobre. L’ordinanza di convalida riportava la data del 13 ottobre, ma senza l’ora. Questa omissione ha creato un’incertezza insuperabile: il giudice aveva convalidato il provvedimento prima o dopo le 10:50?

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, richiamando un principio consolidato, espresso anche dalle Sezioni Unite: in materia di libertà personale e di provvedimenti restrittivi, non sono ammesse presunzioni sulla legittimità e regolarità degli atti giudiziari. L’incertezza sull’effettivo rispetto del termine per la difesa non può essere risolta a danno del cittadino.

L’omessa attestazione dell’orario di deposito ha reso impossibile verificare il rispetto di una norma posta a garanzia del diritto di difesa. Di conseguenza, questa incertezza ha comportato la ‘caducazione’ della misura di prevenzione, ma con una precisazione importante.

Le Conclusioni

La Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata e ha dichiarato cessata l’efficacia del provvedimento del Questore, ma solo per la parte relativa all’obbligo di presentazione alla polizia. Questa parte della misura, infatti, incide sulla libertà personale e richiede obbligatoriamente la convalida del giudice.

Il divieto di accedere agli stadi (il DASPO vero e proprio), invece, è considerato una misura interdittiva di competenza esclusiva dell’Autorità di Pubblica Sicurezza e, pertanto, non è travolto dall’annullamento della convalida. La sentenza, quindi, insegna che la forma è sostanza quando sono in gioco i diritti fondamentali, e la scansione dei tempi processuali, specialmente il termine per la difesa, deve essere documentata con certezza assoluta.

Perché la convalida del DASPO è stata annullata?
La convalida è stata annullata perché l’ordinanza del Tribunale è stata depositata senza l’indicazione dell’orario. Questa omissione ha reso impossibile verificare con certezza il rispetto del termine dilatorio di 48 ore concesso all’interessato per esercitare il proprio diritto di difesa.

Cosa comporta l’incertezza sul rispetto del termine per la difesa?
L’incertezza sulla tempestività della convalida, non risolvibile in altro modo, comporta la caducazione della misura di prevenzione che limita la libertà personale. Secondo la Corte, in questo ambito non si possono applicare presunzioni di regolarità formale degli atti giudiziari.

L’annullamento della convalida ha fatto decadere l’intero provvedimento del Questore?
No. L’annullamento ha effetto solo sull’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in quanto misura che incide sulla libertà personale e necessita di convalida giudiziaria. Il divieto di accesso agli impianti sportivi (DASPO), essendo una misura di competenza esclusiva dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, è rimasto efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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