Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11841 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11841 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 12/09/2023 della Corte d’appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato in questa sede la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato l’inammissibilità, per tardività, dell’impugnazione proposta avverso il decreto del Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 10 febbraio 2023, che aveva rigettato la richiesta di revoca ex art. 7 I. 1423/1956 della confisca dei beni disposta nel procedimento di prevenzione patrimoniale nei confronti di COGNOME NOME.
Ha proposto ricorso la difesa del proposto deducendo con il primo motivo violazione di legge, in relazione agli artt. 10, 11 e 27 d. Igs. 159/2011; 127, 585 e 680, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all’individuazione del termine per impugnare il decreto di rigetto dell’istanza di revoca della confisca.
Premesso il differente regime delle impugnazioni relative ai provvedimenti di applicazione delle misure di prevenzione personali, rispetto a quelle a carattere patrimoniale, secondo il disposto degli artt. 10 e 27 d. Igs. 159/2011, il ricorrente mette in rilievo come nessuna disposizione regoli l’impugnazione del provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca della confisca; ciò comporta l’applicazione della disciplina generale ex art. 680 cod. proc. pen. e, quindi, delle regole generali in tema di impugnazione, dovendosi fare rinvio agli artt. 127 e 585 cod. proc. pen. che prevedono per i provvedimenti deliberati in camera di consiglio, il termine di 15 giorni per la relativa impugnazione.
Nel merito, era comunque errata la valutazione circa l’infondatezza dell’atto di appello proposto, considerato il contenuto specifico della sentenza che aveva escluso la circostanza aggravante dell’art. 7 I. 203/91.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Va premesso, al fine di individuare la disciplina applicabile al procedimento instaurato con la richiesta di revoca della confisca formulata dalla parte istante, che la proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, da cui è poi scaturito il provvedimento definitivo di confisca, era stata avanzata dall’Ufficio del P.m. in data 9 aprile 2008.
Da ciò deriva, ai sensi dell’art. 117 d. Igs. 159/2011, l’applicazione al procedimento di revoca della misura delle norme anteriormente vigenti rispetto all’introduzione del codice antimafia; per tale ragione il rimedio della revocazione, previsto dall’art. 28 d. Igs. 159/2011, non poteva trovare applicazione alle misure di prevenzione patrimoniali adottate prima del 13 ottobre 2011 (Sez. 1, n. 2945 del 17/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258599 – 01; Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020, COGNOME, Rv. 279283 – 01) dovendosi continuare ad applicare ad esse l’istituto della revoca di cui all’art. 7 I. 1423/1956, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite (n. 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955 – 01).
Di qui l’errato richiamo da parte del ricorrente alla disciplina del d. Igs 159/2011 per individuare il regime dell’impugnazione del provvedimento di dinego emesso dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
1.2. Il provvedimento emesso dal Tribunale, sull’istanza di revoca della parte destinataria del provvedimento di confisca, era pacificamente impugnabile con
l’appello – e non con il ricorso per cassazione – in quanto mancando una specifica disciplina nell’art. 7 I. n. 1423/1956, doveva farsi riferimento, per ragion sistematiche, alla disciplina dettata dalla legge n. 1423/1956 con riguardo alle impugnazioni del provvedimento impositivo della misura di prevenzione (Sez. 5, n. 26996 del 26/05/2009, COGNOME, Rv. 244484 – 01; Sez. 5, n. 43995 del 15/10/2009, COGNOME, Rv. 245095 – 01; Sez. 5, n. 16421 del 14/04/2011, COGNOME, Rv. 250176 – 01; Sez. 1, n. 37311 del 09/06/2015, COGNOME, Rv. 264618 – 01).
Il regime dell’appello avverso i provvedimenti in materia di misure di prevenzione, nella disciplina previgente, era regolato dall’art. 4, comma 9 e 10, I. 1423/1956: il decreto emesso in primo grado dal Tribunale era soggetto a “ricorso in appello”, che doveva “essere proposto entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento”.
1.3. Il richiamo alle norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all’applicazione delle misure di sicurezza, per la proposizione e la decisione dei ricorsi in materia di misure di prevenzione, aveva carattere residuale, come attestato dalla clausola di riserva (“Salvo quanto è stabilito nella presente legge “) contenuta nell’art. 4, comma 12 I. 1423/56; per questa ragione si è da sempre affermato che i termini di impugnazione relativi ai ricorsi in materia di applicazione di misure di prevenzione, in mancanza di qualsiasi rinvio alle norme generali, erano fissati in dieci giorni, decorrenti, sia per il proposto, sia per il difensore, dall’ultima delle comunicazioni effettuate (Sez. 1, n. 840 del 11/02/1998, COGNOME, Rv. 211016 – 01; Sez. 1, n. 20933 del 04/04/2003, COGNOME, Rv. 224422 – 01; Sez. 2, n. 40773 del 06/10/2005, COGNOME, Rv. 232598 – 01; Sez. 1, n. 38397 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 244836 – 01).
La Corte territoriale ha fatto corretto governo delle norme che regolano l’impugnazione dei provvedimenti in materia di misure di prevenzione, relativamente ai procedimenti instaurati prima dell’entrata in vigore del d. Igs. 159/2011; mentre il ricorrente finisce per confondere le discipline del nuovo codice antimafia (non applicabili, per le ragioni su ricordate) e del codice di rito, ex art 680 e ss., senza confrontarsi con la puntuale motivazione del decreto impugnato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilit emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/1/2024