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Termine a difesa: quando il giudice può negarlo?

Un imputato, condannato per possesso di arma clandestina, ha contestato in Cassazione il diniego del termine a difesa richiesto dal suo nuovo avvocato, nominato il giorno stesso dell’udienza d’appello. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la richiesta di rinvio può essere legittimamente respinta se, nel contesto di un processo a trattazione scritta, non corrisponde a una reale esigenza difensiva e non lede concretamente il diritto di difesa.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine a difesa: quando non è un diritto assoluto

Il termine a difesa, previsto dall’articolo 108 del codice di procedura penale, rappresenta una garanzia fondamentale per l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Consente al nuovo avvocato di un imputato di ottenere un rinvio per studiare gli atti e prepararsi. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9656/2024) chiarisce che questo diritto non è assoluto e può essere negato in determinate circostanze, specialmente nell’ambito dei processi a trattazione scritta. Analizziamo insieme il caso per capire i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Nomina del Difensore e Diniego del Rinvio

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per reati legati al possesso di un fucile con matricola abrasa. Il giorno stesso dell’udienza davanti alla Corte d’Appello, l’imputato nomina un nuovo difensore di fiducia, revocando il precedente. Il nuovo avvocato, presente in cancelleria per la nomina, chiede immediatamente la concessione di un termine a difesa per poter esaminare il fascicolo e approntare una difesa adeguata. La Corte d’Appello, tuttavia, rigetta la richiesta e procede alla decisione, confermando la condanna.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ricorre in Cassazione lamentando principalmente due vizi della sentenza d’appello.

La Violazione del Diritto di Difesa per il Mancato Termine a Difesa

Il primo motivo si concentra sulla violazione dell’art. 108 c.p.p. La difesa sostiene che il diniego del rinvio abbia integrato una nullità, impedendo l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Si sottolinea come il tempo a disposizione fosse necessario non solo per studiare gli atti, ma anche per valutare opzioni alternative, come la richiesta di un “concordato in appello” (una sorta di patteggiamento in secondo grado).

Il Vizio di Motivazione sulle Attenuanti Generiche

Con il secondo motivo, si contesta la decisione della Corte d’Appello di negare le circostanze attenuanti generiche, basandosi unicamente sui precedenti penali dell’imputato e sulla gravità del fatto, senza una valutazione più approfondita.

La Decisione della Corte: il Diniego del termine a difesa è legittimo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure. La parte più significativa della sentenza riguarda proprio la questione del termine a difesa.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici della Suprema Corte hanno spiegato che il diniego del termine a difesa non costituisce automaticamente una nullità. Citando un principio consolidato delle Sezioni Unite (sent. Rossi, n. 155/2011), hanno ribadito che la richiesta di rinvio deve rispondere a una “effettiva esigenza difensiva”.

Nel caso specifico, il processo d’appello si svolgeva con il rito della “trattazione cartolare”, una procedura scritta introdotta dalla legislazione emergenziale. I termini per richiedere un’udienza orale erano già scaduti. Di conseguenza, l’intervento del nuovo difensore era ormai limitato al deposito di memorie scritte, attività che non era stata preclusa.

La Corte ha osservato che la difesa non aveva specificato quali concrete attività difensive fossero state impedite dal mancato rinvio. La possibilità di un “concordato in appello”, menzionata solo nel ricorso per cassazione, è stata ritenuta un’ipotesi puramente astratta e tardiva. In sostanza, poiché il contraddittorio era ormai confinato allo scambio di scritti e non vi era alcuna reale possibilità di incidere diversamente sull’esito del processo, la richiesta di rinvio è stata considerata priva di un reale fondamento difensivo.

Per quanto riguarda le attenuanti generiche, la Corte ha ritenuto la censura inammissibile in quanto la valutazione sulla concessione di tale beneficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, e la motivazione fornita dalla Corte d’Appello (basata su gravità del reato, modalità dell’azione e personalità dell’imputato) è stata giudicata adeguata e non illogica.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso: il termine a difesa non è un meccanismo automatico attivabile con la semplice nomina di un nuovo legale. La sua concessione è subordinata alla dimostrazione di una concreta e obiettiva esigenza difensiva. Nei procedimenti a trattazione scritta, dove le possibilità di intervento del difensore sono intrinsecamente limitate, diventa ancora più difficile sostenere la necessità di un rinvio. La decisione sottolinea l’importanza per i difensori di specificare nel dettaglio le ragioni della richiesta, indicando quali attività difensive verrebbero altrimenti pregiudicate, per evitare che la richiesta venga respinta come meramente dilatoria o priva di scopo.

È sempre obbligatorio per il giudice concedere il termine a difesa quando viene nominato un nuovo avvocato?
No, non è sempre obbligatorio. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diniego è legittimo quando la richiesta non risponde a una reale ed effettiva esigenza difensiva e quando il diritto alla difesa tecnica dell’imputato non subisce alcuna lesione o menomazione concreta.

La modalità di trattazione scritta (cartolare) del processo influisce sulla concessione del termine a difesa?
Sì, influisce notevolmente. In un processo a trattazione scritta, dove i termini per richiedere un’udienza orale sono già scaduti e l’intervento del difensore è limitato, la Corte ritiene che la richiesta di un rinvio possa non corrispondere a un’effettiva esigenza difensiva, rendendo legittimo il diniego.

Per quale motivo il riferimento a un possibile “concordato in appello” non ha giustificato la concessione del termine a difesa?
Perché tale possibilità è stata menzionata dalla difesa per la prima volta solo nel ricorso per cassazione. La Corte l’ha considerata un’argomentazione meramente ipotetica e tardiva, non rappresentata al giudice d’appello come una concreta esigenza difensiva al momento della richiesta di rinvio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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