Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15172 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15172 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NUORO il 10/01/1980
avverso la sentenza del 14/11/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della decisione del Tribunale di Palmi – che ha riconosciuto NOME COGNOME colpevole di due episodi di minaccia grave, con le statuizioni risarcitorie in favore delle costituite parti civili – ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione per entrambi i fatti contestati, confermando le statuizioni civili della sentenza di primo grado.
Il ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo, è denunciata nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 108 e dell’art. 178 lett. c) cod. proc. pen.. Premette il ricorrente di avere nominato il difensore costituito in data 08 novembre 2024, revocando ogni precedente nomina, con dichiarazione depositata con p.e.c. in pari data, unitamente alla quale era inoltrata anche una richiesta di concessione di un termine a difesa ai sensi dell’art. 108 cod. proc. pen., rappresentando che il difensore non possedeva copia degli atti del procedimento, e si trovava, quindi, nell’impossibilità di articolare la memoria di replica ai sensi dell’art. 598-bis cod. proc. pen., nel giudizio di appello svoltosi a trattazione scritta. Ritenendo non ravvisabile una mera tattica dilatoria, sussistendo, invece, una legittima esigenza difensiva, il rigetto della Corte di appello, in spregio a richiamati principi giurisprudenziali, ha menomato il diritto di difesa dell’imputato, con conseguente nullità della sentenza, tempestivamente eccepita.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia erronea applicazione di legge e correlati vizi della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della responsabilità per i reati di minaccia e per la conseguente condanna al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
Si duole, in particolare, il difensore della mancanza di adeguata motivazione sulla ritenuta attendibilità di tali parti civili, essendo emersi preesistenti contrasti con l’imputato, di cui ha dato atto la sentenza di primo grado, e che minerebbero la genuinità delle dichiarazioni.
La sentenza impugnata risulta anche illogica nella valutazione della efficacia intimidatoria delle frasi contestate al ricorrente, avendo omesso di valutare la concreta realizzabilità dell’evento minacciato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato. 1.11 primo motivo non è fondato.
1.1. Come premesso, il ricorrente denuncia che il proprio difensore, nominato in prossimità della celebrazione del giudizio di appello, non aveva, né
poteva avere, copia degli atti, essendosi, quindi, trovato nell’impossibilità di redigere la memoria di replica nei termini dettati dall’art. 598-bis cod.proc.pen., in ciò ravvisandosi una violazione del diritto di difesa dell’imputato.
1.2. Giova ricordare che, nel caso di specie, la nomina del nuovo difensore è avvenuta 1’8/11/2024, rispetto all’udienza cartolare celebrata il 14/11/2024.
1.3. La Corte di appello – in corretta applicazione di risalente orientamento giurisprudenziale in materia di interpretazione dell’art. 108 cod.proc.pen. – ha giustificato il diniego del termine tenendo conto della trattazione cartolare dell’appello e della natura dei motivi di gravame, ritenendo che il termine di sei giorni a disposizione della difesa fosse, nella specie, congruo.
1.4. Il principio al quale fare riferimento è quello, ripetutamente affermato, secondo cui il termine a difesa di cui all’art. 108 cod. proc. pen. è funzionale ad assicurare una difesa effettiva e non determina il diritto dell’imputato ad ottenere il rinvio dell’udienza in ogni caso di nomina tardiva, dovendo il diritto di difesa essere bilanciato con il principio della ragionevole durata del processo ed esercitato senza trasformare le nomine e le revoche dei difensori in un sistema di controllo delle scansioni e dei tempi del processo. (Sez. 6, n. 47533 del 14/11/2013, Rv. 257390, conf., da ultimo, Sez. 4, n. 4928 del 27/10/2022, dep. 2023, Rv. 284094)
1.5. Si tratta di orientamento consolidato sin dalle Sezioni Unite ‘Rossi ed altri’, ove si è osservato che “Il diniego di termini a difesa, ovvero la concessione di termini ridotti rispetto a quelli previsti dall’art. 108, comma primo, cod. proc. pen., non possono dar luogo ad alcuna nullità quando la relativa richiesta non risponda ad alcuna reale esigenza difensiva e l’effettivo esercizio del diritto alla difesa tecnica dell’imputato non abbia subito alcuna lesione o menomazione” (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 10/01/2012, COGNOME e altri, Rv. 251497).
1.6. In applicazione di tale principio, in una fattispecie analoga a quella in scrutinio -afferente cioè a un caso di revoca e nomina di nuovo difensore di fiducia intervenute cinque giorni prima dell’udienza fissata per la celebrazione di un processo di modesta complessità – questa Corte ha affermato che “Il difensore non ha diritto al rinvio dell’udienza motivato sul presupposto che non ha potuto accedere agli atti per tardività della nomina, in quanto la facoltà riconosciuta all’imputato di nominare l’avvocato in qualsiasi momento del processo va bilanciata con il principio di ragionevole durata ed esercitata in modo da non trasformare le nomine e le revoche dei difensori in un sistema per controllare le scansioni ed i tempi del processo.”, ritenendo corretta la decisione del giudice di merito di non concedere termine a difesa, (Sez. 5, n. 32135 del 07/03/2016, Rv. 267804).
1.7. Nel caso specifico, la valutazione con la quale la Corte di appello ha negato il termine risulta coerente con tali coordinate ermeneutiche, giacchè, nel bilanciamento sotteso alla prerogativa di cui all’art. 108 cod. proc. pen., l’evidente minima complessità della vicenda processuale consentiva lo studio degli atti nel termine – affatto breve – di sei giorni prima dell’udienza, anche al fine di verificare la sussistenza e tempestività della querela.
Non ha pregio il secondo motivo, che è infondato, al limite dell’inammissibilità. Come detto, le deduzioni del ricorrente si incentrano sulla sussistenza della responsabilità per i reati di minacce e della conseguente condanna al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. Si duole, in particolare, la difesa del positivo scrutinio di attendibilità della persona offesa formulato nelle conformi decisioni di merito, nonostante la genuinità delle deposizioni risulti inquinata dai preesistenti contrasti con l’imputato, di cui, pure, ha dato atto la sentenza di primo grado, nonché del giudizio espresso in merito alla affermata efficacia intimidatoria delle frasi pronunciate.
2.1. Quanto al primo profilo, il giudice di primo grado ha tenuto conto dell’esistenza di una controversia civile tra le parti, circostanza non celata dalle persone offese, le quali, al contrario, hanno riferito della ostilità del ricorrente dovuta proprio a tali controversie civili, tutt’ora in corso e nelle quali, afferma la parte civile, il ricorrente è rimasto soccombente. Condotta che, all’evidenza, i giudici di merito hanno ritenuto riflettersi positivamente sul giudizio di attendibilità del dichiarante.
2.1.1. La sentenza impugnata, d’altronde, ha specificamente vagliato il profilo di censura qui reiterato e – pur sottolineando come la deduzione dell’appellante si manifestasse come apodittica e inesplicata – ha, ciononostante, ritenuto, alla luce del richiamo alle condivise valutazioni del primo giudice, le persone offese credibili, per la coerenza del racconto e per il riscontro costituito dal teste di polizia giudiziaria, che ha potuto constatare lo stato di agitazione delle pp.00. dopo gli episodi contestati.
2.1.2. Invero, va ricordato che si è di fronte ad una doppia condanna conforme, e cioè a due pronunzie, di primo e di secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, in considerazione del fatto che entrambe le pronunzie hanno offerto una congrua e ragionevole giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del ricorrente. In presenza di una “doppia conforme”, infatti, la sentenza impugnata e quella di primo grado si integrano tra loro (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep.
05/12/1997, COGNOME, Rv. 209145), cosicchè, la motivazione deve essere apprezzata congiuntamente ( Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
2.1.3. A fronte, quindi, di un congruo corredo argomentativo, che non denuncia evidenti illogicità, le critiche del ricorrente all’uso del detto materiale
probatorio, si risolvono in una censura alla ricostruzione di fatto che, invece, i giudici del merito hanno operato rispettando i parametri della razionalità e
completezza. E giova ricordare che è la valutazione resa dal giudice del merito sul materiale probatorio che – se immune da evidenti fratture logiche – deve
rimanere ferma, non essendo consentito alla difesa prospettare le ricostruzioni alternative derivanti dal materiale probatorio.
2.2. Del tutto generico è, poi, l’assunto dell’inesistenza di una efficacia intimidatoria delle frasi pronunciate, che non si confronta con l’ampia
argomentazione svolta dal primo giudice su tale tema, con puntuali richiami giurisprudenziali, a tenore dei quali, con l’espressione ” minaccia grave”
contenuta nel comma 2 dell’art. 612 cod.pen., il legislatore ha inteso dare rilievo al turbamento psichico che l’atto intimidatorio può cagionare nel soggetto
passivo, e che, ai fini della valutazione della gravità della minaccia, i criteri che debbono orientare il giudice di merito nel suo prudente apprezzamento sono costituiti dal tenore delle espressioni verbali profferite e dal contesto in cui esse vengono pronunciate, con valutazione suscettibile di controllo da parte del Giudice di legittimità sotto il profilo della logicità e completezza della motivazione. Valutazione che il giudice di merito deve compiere, dunque, al fine di verificare se e in quale grado le minacce abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa. (Cass. sez. 5 n. 43380 del 26/09/2008, COGNOME, Rv. 242188; sez. 1 , n. 9314 del 05/04/1990, Monteleone, Rv. 184724.).
2.2.1. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno dato conto della reiterazione di inquietanti minacce di morte accompagnate da espressioni del tipo “non sai chi sono io”, e del grave turbamento psichico prodottosi nella p.o., preda di timori e ansia ogni volta che usciva di casa.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 7 marzo 2025 Il Consigliere estensore