Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5347 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5347 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SANT’ANTIMO il DATA_NASCITA
NOME nato a CASORIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/03/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO ssa NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 10 marzo 2023 la Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di giustizia, avendoli ritenuti responsabili, il primo, del delitto di furto aggravato in abitazione di cui al capo A) e, il primo e il secondo, in concorso con NOME COGNOME del delitto di furto aggravato in abitazione di cui al capo B).
Nell’interesse degli imputati NOME e NOME COGNOME sono stati proposti ricorsi per cassazione, affidati ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiest dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso COGNOME
3.1. Con il primo motivo si lamenta nullità del decreto di citazione a giudizio per mancato rispetto del termine a comparire di quaranta giorni previsto dall’art. 601, comma 5, cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, destinato a trovare applicazione nel presente processo, poiché il decreto di citazione era stato emesso il 1° febbraio 2023. Osserva il difensore che l’ultrattività della disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020 riguarda le modalità del rito cartolare ma non incide sull’allungamento del termine a comparire.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, alla luce dell’assenza di certezze in ordine alla riconducibilità al COGNOME delle utenze alle quali si erano riferiti gli accertamenti della polizia giudiziaria.
4. Ricorso COGNOME
4.1. Con il primo motivo si sviluppano censure sovrapponibili a quelle esposte nel primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE.
4.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla efficacia probatoria dei tabulati telefonici, tenuto conto che non erano emersi elementi dimostrativi dell’utilizzo, da parte del ricorrente, dell’utenza valorizzata in sentenza e, in ogni caso, del carattere isolato dell’indizio rappresentato dall’aggancio di una cella situata nei pressi dell’abitazione nella quale il furto era avvenuto: in realtà, la refurtiva era stata rinvenuta presso NOME COGNOME e non presso il ricorrente.
4.3. Con il terzo motivo si lamentano violazione di legge, per avere la sentenza impugnata posto a carico dell’imputato l’onere di dimostrare elementi significativi della sua innocenza, attribuendo rilevanza al silenzio dello stesso, al fine di giungere ad una decisione di condanna.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’utilizzo della violenza sulle cose dovendo questa ritenersi elemento implicito del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen.
2.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione alla graduazione della pena e al bilanciamento delle circostanze, tenuto conto che la Corte territoriale aveva assegnato rilievo all’indimostrato valore delle cose sottratte e aveva equiparato la posizione del ricorrente a quella del COGNOME, sebbene soltanto a quest’ultimo fosse stato attribuito anche un altro delitto e fosse stata contestata e ritenuta la recidiva.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
Considerato in diritto
Il primo motivo di entrambi i ricorsi è infondato.
L’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 150 del 2022 ha ricalibrato le regole aventi ad oggetto l’introduzione e la celebrazione del giudizio di appello, riformulando il testo dell’art. 601 cod. proc. pen.
Per quanto ora rileva, l’art. 601 prevede che: se non ricorrano cause di inammissibilità dell’impugnazione, il presidente ordina senza ritardo la citazione (comma 1); quando la Corte, anteriormente alla citazione, dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione delle parti, ne è fatta menzione nel decreto di citazione (comma 2); il decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti previsti dall’articolo 429, comma 1, lett. a), d-bis), f), g), nonché l’indicazione del giudice competente e, fuori dal caso previsto dal comma 2, l’avviso che si procederà con udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, salvo che l’appellante o, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore chiedano di partecipare nel termine perentorio di quindici giorni dalla notifica del decreto. Il decreto contiene altresì l’avviso che la richiesta di partecipazione può essere presentata dalla parte privata esclusivamente a mezzo del difensore. Il termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni (comma 3); almeno quaranta giorni prima della data fissata per il giudizio di appello, è notificato avviso ai difensori (comma 4).
D’altro canto, l’art. 598-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 34-bis, comma 1, lett. c), del d. Igs. n. 150 del 2022, detta una articolata disciplina delle decisioni in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, che rappresenta, in difetto di una richiesta di parte ai sensi del comma 2 dello stesso art. 598-bis o di una contraria determinazione officiosa del giudice di secondo grado, ai sensi del successivo comma 3, il modello processuale ordinario (“salvo che sia diversamente stabilito: comma 1 dell’art. 598-bis)
La struttura della disciplina introdotta dall’art. 34 del d. Igs. n. 150 del 2022 articola in termini innovativi e unitari le previsioni del cd. rito emergenziale.
In relazione a quest’ultimo, si osserva che la proroga di operatività delle disposizioni di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (proroga originariamente destinata ad operare per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023: art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2022), è ulteriormente slittata al 30 giugno 2024 per effetto dell’art. 11, comma 7, del dl. 30 dicembre 2023, n. 215.
Esplicitamente la relazione illustrativa del d.lgs. 150 del 2022 chiarisce che, considerata la dialettica anticipata e scritta imposta dal rito “non partecipato”, quale delineato dal menzionato art. 598-bis cod. proc. pen., è stato ampliato a quaranta giorni il termine dilatorio previsto per comparire e per la notifica dell’avviso d’udienza ai difensori, ai sensi dell’art. 601, commi 3 e 5, del codice di rito, confermando la necessità di una valutazione unitaria della nuova disciplina dettata da queste ultime previsioni e la sua alternatività rispetto al rito cd. emergenziale.
Tutto ciò è in linea con le modifiche apportate all’art. 598-bis cod. proc. pen. che prevede un termine di quindici giorni prima dell’udienza per la presentazione a) delle richieste del procuratore generale e b), per tutte le parti, dei motivi nuovi come pure delle memorie, laddove l’art. 23-bis, comma 2, sopra ricordato prevede la trasmissione delle conclusioni del p.m. entro il decimo giorno anteriore all’udienza e consente ai difensori delle altre parti di presentare, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, le conclusioni con atto scritto.
La stretta correlazione tra cessazione dell’efficacia del cd. rito pandemico e l’entrata in vigore delle previsioni che disciplinano l’introduzione e lo svolgimento del giudizio di appello (e identiche conclusioni valgono per la nuova disciplina dell’art. 611 cod. proc. pen., in tema di giudizio di legittimità, quale dettata dall’art. 35 d.lgs. n. 150 del 2022: v., esplicitamente in tal senso, Sez. 5, n. 47183 del 12/10/2023, K., in motivazione al punto 1.1. del Considerato in
diritto) è resa palese sia dall’interpretazione letterale che da quella sistematica e storica.
L’art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2022, nella sua originaria formulazione, prevedeva esplicitamente, per quanto ora rileva, che le disposizioni di cui all’art. 34, comma 1, lett. c) e g), n. 2, 3, 4 si applicassero a decorrere dalla scadenza del termine fissato dall’art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, conv. con I. 25 febbraio 2022, n. 15, ossia dalla scadenza del termine di efficacia – si ripete, sempre nei limiti della rilevanza ai fini della decisione – delle previsioni dettate dall’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7 del sopra ricordato d.l. n. 137 del 2020.
Quando è intervenuto a ricalibrare i termini di entrata in vigore della cd. riforma Cartabia, il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, poi convertito con modifiche con I. 30 dicembre 2022, n. 199, ha, per un verso, con l’art. 6, introdotto l’art. 99bis d.lgs. n. 150 del 2022 che fissa, in generale, al 30 dicembre 2022 l’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo e ha, per altro verso, rimodulato le disposizioni transitorie, specificando, quanto alla materia delle impugnazioni (art. 5-duodecies, comma 1, introdotto in sede di conversione, che riformula il comma 2 dell’art. 94), che le ricordate previsioni del rito cd. emergenziale continuassero ad essere applicate alle impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 (e ciò anche nel caso di successive impugnazioni proposte contro il medesimo provvedimento).
Non ignora il Collegio che questa Corte in altra occasione ha concluso diversamente (v., Sez. 4, n. 48056 del 16/11/2023, Toto, n.m.; Sez. 2, n. 49644 del 02/11/2023, COGNOME, n.m.; in senso contrario, è stata diffusa notizia di decisione della Seconda Sezione, in relazione al proc. n. 36240/2023).
In particolare, Sez. 4, n. 49644 del 2023 valorizza il fatto che l’art. 5duodecies del d.l. n. 162 del 2022, quale introdotto dalla legge di conversione, si occupi esclusivamente del cd. rito pandemico; esso, pertanto, non inciderebbe sui termini a comparire dettati dal novellato art. 601 cod. proc. pen., destinati a trovare applicazione, si conclude, a decorrere dalla scadenza del termine fissato nell’art. 16, comma 1, d.l. n. 228 del 2021, conv. con I. n. 15 del 2022.
La soluzione non è convincente.
Innanzi tutto, si osserva che, muovendo dalle premesse della decisione, il riferimento normativo destinato a governare l’entrata in vigore delle modifiche apportate dall’art. 34, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 150 del 2022, è rappresentato dall’art. 99-bis di quest’ultimo provvedimento normativo e non dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 228 del 2021, perché questo richiamo dovrebbe altrimenti confrontarsi con l’inequivoca scelta normativa di trasporre e ricalibrare
quest’ultimo termine – che appunto determina la cessazione di operatività del cd. rito pandemico – nel nuovo comma 2 dell’art. 94 del d.lgs. n. 150 del 2022.
Ma soprattutto, per quanto si è sopra detto, il significato di quest’ultima scelta normativa non è quello di frazionare artificiosamente la disciplina processuale applicata a seguito del diffondersi della pandemia, ma di includere in positivo, all’interno del testo del d.lgs. 150 del 2022, le regole destinate a garantire, oltre il 30 dicembre 2022, l’applicazione sino a quel momento sperimentata del cd. rito emergenziale, come innestato nelle disposizioni codicistiche, risolvendo esplicitamente il tema dell’atto al quale far riferimento per individuare la disciplina applicabile (il primo atto di impugnazione).
Depongono nel senso della conclusione qui accolta, in altri termini, sia la correlazione dell’ampliamento del termine a comparire con la rimodulazione del giudizio di appello e, in particolare, del cd. rito non partecipato, sia la finalit dell’intervento normativo operato in sede di conversione del d.l. n. 162 del 2022, non destinato ad innovare i riferimenti temporali tracciati dall’art. 94, comma 2 nel testo previgente, ma ad includere il termine di cessazione della previgente disciplina – termine sino a quel momento collocato al di fuori del d.lgs. n. 150 del 2022, ossia nel corpo dell’art. 16, comma 1, dl. n. 228 del 2021, conv. con I. n. 15 del 2022 – all’interno del d.lgs. n. 150 del 2022 risolvendo anche la questione della rilevanza dell’actus al quale far riferimento: ciò sia in generale, sia con riguardo all’eventuale pluralità di atti di impugnazione.
Per pura completezza argomentativa deve aggiungersi che la conclusione qui raggiunta non può essere influenzata dal carattere di maggior favore per l’imputato del più ampio termine a comparire. E ciò sia perché in tema di successione di leggi processuali nel tempo, non opera il principio di retroattività della legge più favorevole (Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, P., Rv. 271207 01), sia perché, in generale, il principio non può mai condurre ad un’artificiosa combinazione di distinti frammenti normativi (v., già, Sez. 4, n. 47339 del 28/10/2005, COGNOME, Rv. 233176 – 0; più di recente, sulla stessa linea e, naturalmente, sempre sul versante del diritto penale sostanziale, Sez. 5 n. 201 del 13/09/2022, dep. 2023, Shabaj Rv. 283960 – 0).
2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME è privo di specificità. Invero, La mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’art. 591 comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 4,
29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
Ora, nella sostanza, il ricorso valorizza il fatto: a) che l’utenza non fosse intestata al COGNOME, il quale, sentito dai carabinieri, aveva indicato altro numero; b) che le utenze menzionate in sentenza non erano state trovare in possesso dell’imputato e che lo stesso giudice di primo grado si era espresso, quanto alla loro riconducibilità all’imputato, usando l’avverbio «presumibilmente».
E, tuttavia, la sentenza impugnata ha sviluppato, in relazione alla questione in oggetto, una serie di considerazioni del tutto trascurate dal motivo: a) l’utenza era intestata alla compagna convivente del ricorrente; b) il fatto – riferito dal teste COGNOME – che la riconducibilità delle utenze agli imputati era il frutto dello loro stesse dichiarazioni rese in altre vicende; c) il fatto che il ricorrente era stato visto dalla persona offesa poco prima del furto e che l’utenza della quale si discute era stata localizzata in tale luogo; d) che, in occasione di entrambi i furti, l’utenza si era spostata dai luoghi di commissione per poi “tornare” al luogo di residenza del COGNOME.
Ben s’intende, rispetto a tali dati, come i generici rilievi del ricorso siano privi di qualunque efficacia scardinante della tenuta logica delle conclusioni raggiunte.
Solo per completezza si osserva che le dichiarazioni del teste COGNOME alle quali si fa riferimento non sono riportate in ricorso, con la conseguenza che non è possibile verificare la base obiettiva della censura e la sua rilevanza.
Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’COGNOME è anch’esso privo di specificità.
Premesso che, come del resto rilevato dalla sentenza impugnata, la questione dell’utilizzazione dell’utenza da parte del ricorrente non ha costituito oggetto dell’appello, si osserva che la concludenza del dato non è basata sul mero aggancio di cella telefonica correlata al luogo di commissione del furto, ma anche su altri rilievi (l’aggancio sostanzialmente contestuale della medesima cella anche da parte dell’utenza del coimputato NOME COGNOME, presso il quale parte della refurtiva è stata trovata; l’aggancio sostanzialmente contestuale di cella riferibile alla medesima area la sera precedente da parte delle utenze del ricorrente e del COGNOME)
Il terzo motivo dello stesso ricorso è manifestamente infondato, poiché la Corte territoriale si è limitata ad osservare che l’univocità degli elementi valorizzati non era stata incrinata da alcun elemento di segno contrario fornito
dagli imputati. Non emerge, pertanto, alcuna inammissibile inversione dell’onere probatorio, ma la piana applicazione del principio in forza del quale il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, primo comma, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 03/04/2018, Troise, Rv. 272430.
Il quarto motivo dello stesso ricorso è manifestamente infondato, poiché la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 624-bis, primo comma, cod. pen. non individua affatto la violenza sulle cose come elemento costitutivo del reato.
Il quinto motivo dello stesso ricorso è privo di specificità, in quanto il giudizio di comparazione tra circostanze, con riguardo ad un imputato, non può restare influenzato, nella sua logicità, dalle conclusioni raggiunte in relazione alla posizione di un coimputato.
In ogni caso, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità quando, come nella specie, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, alla luce dei numerosi precedenti penali del ricorrente) tale dovendo ritenersi persino quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 02/02/2024.