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Termine a comparire appello: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, cogliendo l’occasione per chiarire l’ambito di applicazione temporale del nuovo termine a comparire appello di 40 giorni introdotto dalla Riforma Cartabia. La sentenza stabilisce che tale termine si applica solo agli appelli proposti dal 1° luglio 2024, confermando la condanna per un imputato per indebito utilizzo di strumenti di pagamento.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine a Comparire in Appello: La Cassazione Fa Chiarezza sulla Riforma Cartabia

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante delucidazione sull’applicazione di una delle novità introdotte dalla Riforma Cartabia: l’estensione del termine a comparire in appello. La pronuncia, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato condannato per l’indebito utilizzo di strumenti di pagamento, ha stabilito un preciso spartiacque temporale per l’applicazione del nuovo termine di 40 giorni, risolvendo i dubbi interpretativi sorti in materia.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, pronunciata prima dal Tribunale e poi confermata dalla Corte d’Appello, per il reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento, aggravato dalla minorata difesa. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione di secondo grado, ha proposto ricorso per Cassazione, affidando la sua difesa a diversi motivi di doglianza, principalmente di natura procedurale.

I Motivi del Ricorso e il termine a comparire appello

La difesa ha lamentato diversi vizi della sentenza d’appello. Il punto centrale del ricorso riguardava la presunta nullità della vocatio in ius (la citazione in giudizio) per il processo di secondo grado. Nello specifico, si contestava il mancato rispetto del nuovo termine a comparire in appello di 40 giorni, introdotto dalla Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), e una presunta irregolarità nelle modalità di notifica dell’atto.

Oltre a queste censure procedurali, il ricorrente contestava l’affermazione della sua responsabilità penale per assenza dell’elemento psicologico, nonché l’omessa motivazione sulla sussistenza dell’aggravante, sulla mancata concessione delle attenuanti generiche e sull’eccessività della pena inflitta.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile in ogni sua parte. Questa decisione ha comportato la condanna definitiva dell’imputato e il suo obbligo al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella dettagliata analisi delle questioni procedurali sollevate dalla difesa.

Per quanto riguarda il termine a comparire appello, la Cassazione ha richiamato una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 42124 del 2024). Questo pronunciamento ha stabilito con chiarezza che la nuova disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., che fissa in quaranta giorni il termine minimo, si applica esclusivamente agli atti di impugnazione proposti a partire dal 1° luglio 2024. Poiché nel caso di specie l’appello era stato depositato a febbraio 2024, il nuovo termine non era applicabile, rendendo la doglianza infondata.

In merito all’irregolarità della notifica, la Corte ha osservato che la Cancelleria aveva notificato l’atto sia presso il domicilio eletto dall’imputato sia, con un approccio ‘cautelativo’, al suo difensore. Pur riconoscendo che questa seconda notifica potesse rappresentare una modalità non corretta, i giudici hanno sottolineato come tale irregolarità non fosse sanzionata con la nullità. Soprattutto, è stato evidenziato che non era stato arrecato alcun concreto pregiudizio al diritto di difesa, tanto che l’imputato era comparso regolarmente in udienza. Di conseguenza, il motivo è stato ritenuto inammissibile.

Infine, la Corte ha respinto anche gli altri motivi. Le critiche sulla responsabilità penale sono state ritenute generiche, mentre la richiesta di concessione delle attenuanti generiche è stata negata in assenza di elementi positivi da valutare e in presenza di un significativo precedente criminale a carico dell’imputato. La pena, inoltre, è stata giudicata congrua in quanto già prossima al minimo edittale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza in commento riveste una notevole importanza pratica per tutti gli operatori del diritto. In primo luogo, essa fissa un punto fermo sull’applicazione temporale del nuovo termine a comparire in appello, stabilendo che la disciplina più favorevole dei 40 giorni vale solo per gli appelli successivi al 1° luglio 2024. In secondo luogo, ribadisce un principio cardine del diritto processuale: non ogni irregolarità formale conduce alla nullità di un atto. Affinché ciò avvenga, è necessario che la nullità sia espressamente prevista dalla legge o che l’irregolarità abbia causato un concreto e dimostrabile pregiudizio al diritto di difesa, principio che in questo caso non è stato violato.

Il nuovo termine di 40 giorni per comparire in appello si applica a tutti i processi?
No. Secondo la sentenza, che richiama una decisione delle Sezioni Unite, la nuova disciplina introdotta dalla Riforma Cartabia si applica esclusivamente agli atti di impugnazione proposti a far data dal 1° luglio 2024.

Un’irregolarità nella notifica dell’atto di citazione rende sempre nullo il processo d’appello?
Non necessariamente. La Corte ha chiarito che una modalità di notifica non corretta, se non è espressamente sanzionata con la nullità dalla legge e, soprattutto, se non causa un concreto pregiudizio al diritto di difesa dell’imputato, si risolve in una mera irregolarità che non invalida l’atto.

Perché non sono state concesse le attenuanti generiche all’imputato in questo caso?
La Corte non ha concesso le attenuanti generiche a causa dell’assenza di elementi valutabili positivamente e della presenza di un significativo pregresso criminale dell’imputato. Inoltre, la pena inflitta era già stata determinata in una misura prossima al minimo previsto dalla legge per quel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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