Tenuità del Fatto nello Spaccio: No se l’Attività è Sistematica
L’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale, è uno dei temi più dibattuti nella giurisprudenza penale, specialmente in materia di stupefacenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 38028/2024) offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione di questo istituto, stabilendo che la sistematicità della condotta, anche se di lieve entità, ne preclude il riconoscimento.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un giovane condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Palermo per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, secondo l’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La violazione dell’art. 131-bis c.p., sostenendo che i fatti avrebbero dovuto essere considerati non punibili per la loro particolare tenuità.
2. Un vizio di motivazione riguardo alla mancata concessione dell’attenuante del danno di speciale tenuità, previsto dall’art. 62, n. 4, c.p.
In sostanza, la difesa mirava a ottenere un trattamento sanzionatorio più mite, o addirittura l’archiviazione, facendo leva sulla modesta entità dell’attività illecita contestata.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha ritenuto che l’apparato argomentativo della sentenza impugnata fosse solido e immune da censure. Ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro.
Le Motivazioni della Sentenza
La decisione della Corte si fonda su argomentazioni precise e coerenti con l’orientamento giurisprudenziale consolidato. Vediamo nel dettaglio i punti chiave.
Esclusione della tenuità del fatto: disvalore e dolo
Il primo motivo di ricorso, relativo alla tenuità del fatto, è stato respinto con fermezza. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente escluso l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. sulla base di due elementi cruciali:
* Il disvalore oggettivo della condotta: Nonostante si trattasse di spaccio di ‘lieve entità’, l’imputato aveva effettuato ben quattro cessioni di droga nel giro di poche ore. Questa serialità, seppur concentrata in un breve lasso di tempo, è stata interpretata come un indicatore di un’attività non occasionale ma organizzata.
* L’intensità del dolo: Durante l’interrogatorio, l’imputato aveva ammesso che il commercio di droga rappresentava per lui e per la sua famiglia l’unica fonte di sostentamento. Questa ammissione ha rivelato un’intenzione criminale radicata e non estemporanea, incompatibile con il concetto di ‘particolare tenuità’ richiesto dalla norma.
La Corte ha quindi ribadito che la valutazione sulla tenuità non può limitarsi alla quantità di sostanza ceduta, ma deve considerare il contesto complessivo della condotta e l’atteggiamento psicologico dell’agente.
Inammissibilità delle censure sull’attenuante
Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla mancata concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), la Cassazione lo ha ritenuto inammissibile. I giudici hanno chiarito che tale doglianza si risolveva in una mera richiesta di rivalutazione del fatto, operazione preclusa in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva già logicamente motivato il diniego, deducendo che il lucro conseguito e il danno cagionato da un’attività che costituiva l’unica fonte di reddito non potevano essere considerati di entità ‘irrisoria’, come invece richiesto dalla giurisprudenza per l’applicazione di tale attenuante.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: la non punibilità per tenuità del fatto non è un automatismo applicabile a tutti i reati di modesta entità. La valutazione del giudice deve essere complessiva e deve tener conto di tutti gli indici previsti dalla norma, tra cui le modalità della condotta e l’intensità del dolo.
Questa pronuncia serve da monito: anche lo spaccio qualificato come ‘lieve’ dal Testo Unico sugli Stupefacenti può essere considerato grave al punto da escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., qualora emergano elementi che ne rivelino la sistematicità e la non occasionalità, come la ripetizione di episodi in breve tempo o il fatto che l’attività illecita sia una vera e propria fonte di reddito. La decisione riafferma la distinzione tra un episodio isolato e un’attività criminale, seppur di basso profilo, che merita una risposta sanzionatoria.
Perché è stata negata la non punibilità per tenuità del fatto in questo caso di spaccio?
La tenuità del fatto è stata esclusa perché, nonostante si trattasse di spaccio di lieve entità, la condotta non era occasionale. L’imputato aveva effettuato quattro cessioni in poche ore e aveva ammesso che lo spaccio era la sua unica fonte di reddito, dimostrando un’intensità del dolo e un disvalore della condotta non trascurabili.
La ripetizione di più episodi di spaccio in poco tempo preclude l’applicazione della tenuità del fatto?
Sì, secondo la Corte, la serialità delle cessioni, anche se avvenute in un breve arco temporale, è un indice della non occasionalità del comportamento e può portare all’esclusione della causa di non punibilità per tenuità del fatto.
Perché il motivo di ricorso sulla mancata concessione dell’attenuante del danno lieve è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché sollevava questioni di merito, chiedendo alla Corte di Cassazione una nuova valutazione dei fatti, cosa non consentita in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva già adeguatamente motivato il diniego, spiegando che il profitto derivante da un’attività che è l’unica fonte di sostentamento non può essere considerato ‘irrisorio’.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38028 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38028 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto, a mezzo del difensore, da COGNOME NOME, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
Rilevato che, a motivi di ricorso, la difesa lamenta: 1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 131 bis cod. pen.; 2. Vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
Ritenuto che la sentenza impugnata è sorretta da conferente apparato argomentativo sotto ogni profilo dedotto dalla difesa.
Considerato che la causa di non punibilità di cui all’art 131-bis cod. pen. è stata validamente esclusa in sentenza alla luce del rilevato disvalore oggettivo della condotta accertata e dell’intensità del dolo riscontrato, elementi apprezzati con argomentare immune da incongruenze logiche e coerente con le risultanze istruttorie, tale da portare la decisione adottata in parte qua al riparo da censure prospettabili in sede di legittimità.
Ritenuto che i rilievi riguardanti la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto, riproduttive di profili censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corrette argomentazioni giuridiche (si veda, in particolare, quanto argomentato dalla Corte territoriale nel motivare il diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., laddove evidenzi come il ricorrente, nel giro di poche ore aveva effettuato quattro cessioni, ammettendo in interrogatorio che il commercio della droga costituisse unico strumento di sostentamento per lui e la famigli, così logicamente deducendo che il lucro conseguito ed il danno cagionato non potesse essere valutati di entità irrisoria come richiesto dalla costante giurisprudenza di legittimità ai fin dell’applicazione della invocata attenuante).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 settembre 2024
Il Consigliere estensore