Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29220 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29220 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 28/03/1966
avverso la sentenza del 25/11/2024 del TRIBUNALE di MATERA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 25/11/2024 il Tribunale di Matera ha condannato COGNOME NOME alla pena di euro 300,00 di ammenda ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 54 e 1162 codice della navigazione per aver occupato abusivamente una superficie di mq. 250,00 di proprietà del demanio marittimo mediante posizionamento di n. 34 ombrelloni a servizio dello stabilimento balneare Lido Galapagos.
Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 131 bis cod. pen. per aver ritenuto il Tribunale che l’annotazione sul certificato del
casellario giudiziario di una assoluzione per la particolare tenuità del fatto costituisse una condizione ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità. Si deduce che la norma esclude l’operatività dell’esimente quando l’imputato abbia violato “più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi”.
2.1 Con il secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione rilevando che il precedente valorizzato dal Tribunale era relativo ai reati di cui all’art. 44 lett. c d.P.R. 380/01 e 181 d.lgs. 42/2004 per cui si era in presenza di norme che non avevano “caratteristiche comuni” rispetto a quella in valutazione, essendo le prime strumentali al controllo del territorio e dell’ambiente, e l’art. 1161 del cod. della nav. “relativo all’occupazione di una proprietà”. Illogico sarebbe, inoltre, secondo la difesa, il rilievo dato al luogo di commissione dei reati in valutazione, risultando irrilevante che tutti i reati fossero stati commessi nel medesimo ambito territoriale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è inammissibile risultando i motivi manifestamente infondati.
Tralasciando l’errore di diritto cui è incorso il Tribunale, che ha applicato la causa estintiva di cui all’art. 181 comma 1-quinquies d.lgs. 42/2004 anche alla contravvenzione urbanistica contestata al capo a), non emendabile per l’inerzia dell’organo dell’accusa, va osservato che la sentenza giustifica il rigetto della richiesta di applicazione della causa di non punibilità invocata dalla difesa nei termini di seguito riportati : “…dal certificato del casellario risulta una annotazion di assoluzione per particolare tenuità del fatto relativamente ad una violazione edilizia e paesaggistica…commessa sino al 20/6/2016 in Metaponto-lido, il che denota la tendenza dell’imputato a non rispettare le norme in materia nello stesso ambito territoriale rispetto a quello relativo ai fatti oggetto del presente giudizio”.
Questa Corte ha precisato che il comportamento abituale quale presupposto preclusivo dell’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione della particolare tenuità.
Non è controverso che, nel caso di specie, ricorra il numero minimo di illeciti necessario per l’integrare l’abitualità del comportamento.
La nozione di identità di indole deve, invece, ricercarsi nella previsione di cui all’art. 101 cod. pen. per cui “agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri
fondamentali comuni, desunti – anche a prescindere dall’identità del bene protetto – dalle modalità di esecuzione o dai moventi economici del reo ( Cass. pen., Sez. III, 20/09/2019, n. 49717).
Si è sostenuto che più reati possono considerarsi omogenei “per la rilevata comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali essi sono stati posti in essere ovvero quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione degli altrui diritti rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa ( Sez. 3, n. 11954 del 16/12/2010, L.F., Rv. 249744).
A tali principi il Tribunale si è attenuto allorquando ha desunto la sussistenza di un rapporto di seriazione, fra la condotta in valutazione e i reati di cui all’annotazione del certificato del casellario, dalla comunanza degli impulsi psichici che li hanno determinati, risultando tutte le contravvenzioni in valutazione espressione della volontà di aumentare la redditività dello stabilimento balneare senza alcuna considerazione per i limiti imposti dalla legge o dai provvedimenti che permettevano la gestione del lido.
Il giudizio di omogeneità dei reati in valutazione è, quindi, fondato sull’affinità dei moventi delittuosi che hanno generato i reati, risultando i medesimi riconducibili a una unitaria strategia imprenditoriale volte a privilegiare l’interesse personale rispetto agli interessi pubblicistici tutelati dalle norme violate, siano essi afferenti al controllo dell’attività edilizia o alla salvaguardia del territorio o all’ collettivo del bene demaniale.
La sentenza impugnata dà, quindi, una motivazione in ordine alla ritenuta omogeneità tra fatti pregressi e reato giudicando che, in quanto priva di profili di manifesta illogicità, si sottrae al sindacato di questa Corte.
A ciò si aggiunga che l’applicabilità della causa di non punibilità confligge con la valutazione espressa dal Tribunale in relazione alla gravità della condotta, quale disvelata dall’entità della pena irrogata, che si discosta in maniera significativa dal minimo edittale, e dal giudizio di non concedibilità della sospensione condizionale della pena.
Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la
facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il.
massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità
del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende
Così deciso il 2/7/2025