Tenuità del Fatto: Quando la Motivazione Implicita Rende il Ricorso Inammissibile
L’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale, è spesso al centro di dibattiti nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce un importante chiarimento su come i giudici di merito debbano motivare il rigetto di tale istituto e su quali basi un ricorso possa essere considerato inammissibile. Il caso analizzato riguarda una condanna per tentata violenza privata, confermata in appello e giunta fino al vaglio della Suprema Corte.
I Fatti del Caso: Dalla Condanna alla Cassazione
Il percorso giudiziario ha inizio con la condanna di un imputato da parte del Tribunale di Lecce. La Corte d’Appello, pur confermando la responsabilità penale, ha riqualificato il reato come tentata violenza privata, ai sensi degli articoli 56 e 610 del codice penale. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali: l’errata valutazione delle prove e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
I Motivi del Ricorso e la Tenuità del Fatto
Il ricorrente ha presentato due argomentazioni centrali per contestare la sentenza d’appello:
1. Errata qualificazione giuridica: Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel qualificare la sua condotta come violenza privata, sostenendo che si trattasse di una semplice reazione al comportamento altrui e non di un’azione violenta finalizzata a costringere altri a fare, tollerare o omettere qualcosa. Questo motivo, tuttavia, si concentrava su una diversa interpretazione delle prove e dei fatti.
2. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Il secondo motivo, di cruciale importanza, lamentava un vizio di motivazione. La difesa sosteneva che i giudici d’appello non avessero spiegato perché non fosse applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, nonostante fosse stata una richiesta specifica nei motivi d’appello.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando entrambi i motivi con argomentazioni precise.
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudizio di cassazione non è una terza istanza di merito. Le critiche relative alla valutazione delle prove, definite come “mere doglianze in punto di fatto”, non possono trovare spazio in sede di legittimità. I giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione logica e corretta per la sua decisione, e non spettava alla Cassazione riesaminare i fatti.
Sul secondo motivo, quello relativo alla tenuità del fatto, la Corte ha offerto una spiegazione ancora più significativa. Ha stabilito che il motivo era manifestamente infondato perché, sebbene la Corte d’Appello non avesse risposto esplicitamente alla richiesta, il suo rigetto era chiaramente “implicito” nella struttura argomentativa della sentenza. I giudici di secondo grado avevano infatti sottolineato “l’obiettiva gravità del fatto”, specificando che la situazione non era degenerata solo grazie al “comportamento prudente della persona offesa”. Questa valutazione sulla gravità della condotta è stata considerata incompatibile con il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, rendendo superflua una motivazione esplicita sul punto. A sostegno di questa tesi, la Corte ha richiamato un proprio precedente (Cass. n. 5396/2022), secondo cui una sentenza non è censurabile se il rigetto di una specifica deduzione emerge chiaramente dalla motivazione complessiva.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza consolida un importante principio processuale: la motivazione di una sentenza può essere anche implicita, purché sia logicamente desumibile dal complesso delle argomentazioni del giudice. Per gli avvocati e gli imputati, ciò significa che non è sufficiente lamentare l’assenza di una risposta puntuale a ogni singola richiesta se la decisione contraria emerge in modo inequivocabile dal ragionamento del giudice. In particolare, quando si invoca la tenuità del fatto, una dettagliata descrizione della gravità della condotta da parte del giudice di merito può essere sufficiente a escluderne l’applicazione, anche senza una menzione esplicita. La decisione rafforza inoltre il ruolo della Cassazione come giudice della sola legittimità, chiudendo le porte a ricorsi che cercano di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché il primo motivo rappresentava una semplice critica alla ricostruzione dei fatti, non consentita in Cassazione, e il secondo motivo era infondato, poiché la decisione del giudice d’appello era implicitamente motivata.
Cosa significa che la motivazione del giudice era “implicita” riguardo alla tenuità del fatto?
Significa che, pur non avendo dedicato un paragrafo specifico a negare l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., il giudice d’appello ha di fatto risposto sottolineando l’oggettiva gravità del comportamento, rendendo così evidente e logico il rigetto della richiesta. La Corte di Cassazione ha ritenuto sufficiente questa motivazione desumibile dalla struttura complessiva della sentenza.
Si può chiedere in Cassazione di rivalutare le prove del processo?
No, in base a questa ordinanza, non è possibile. La Corte di Cassazione non è un terzo grado di merito e non può riesaminare le prove o la ricostruzione dei fatti. Può solo valutare se la legge è stata applicata correttamente e se la motivazione della sentenza è logica e non contraddittoria. Le critiche su come sono state valutate le prove (“doglianze in punto di fatto”) sono considerate inammissibili.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 356 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 356 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MAGLIE il 16/12/1975
avverso la sentenza del 11/12/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce che, riqualificato il fatto contestato nella fattispecie di cui a artt. 56 e 610 cod. pen., ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Lecce ha affermato la penale responsabilità dell’imputato;
Considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in relazione all’errata valutazione delle prove in relazione alla riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 610 cod. pen inammissibile in quanto, oltre a rappresentare mere doglianze in punto di fatto, è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice del merito, il quale, con motivazione logica e corretta, ha evidenziato come la condotta violenta fosse stata determinata, piuttosto che dal farsi giustizia da sé, dalla volontà di reagire al comportamento altrui;
Considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in relazione all’omessa esclusione della punibilità dell’imputato ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., è manifestamente infondato, in quanto asserisce un difetto di motivazione che non si rinviebi l e nel provvedimento impugnato. Invero, la corte territoriale, sia pur in forma implicita, ha risposto al motivo articolato nell’atto d’appello sottolineando l’obiettiva gravità del fatto, non degenerato solo grazie al comportamento prudente della persona offesa. Del resto, nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio d diritto secondo cui «Non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza» (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, COGNOME, Rv. 284096);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09 ottobre 2024
Il consigliere estensore
Il Presidente