Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2052 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2052 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Chiavari (Ge) il 6 agosto 1951;
avverso la sentenza n. 2845 della Corte di appello di Genova del 9 ottobre 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Genova, con sentenza del 9 ottobre 2023 ha solo in parte confermato la sentenza di I grado emessa dal Tribunale di Genova il precedente 21 giugno 2022 e con la quale COGNOME NOME, imputato del reato di cui agli artt. 81, cpv, cod. pen. e 5 del dlgs n. 74 del 2000 per avere, qualità di titolare di una ditta individuale operante nel settore del compravendita di automobili usate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, omesso, al fine di evadere le imposte, di presentare la dichiarazione dei redditi e la dichiarazione Iva relative all’anno di imposta 2014, in tale modo evadendo le imposte dirette per un ammontare pari ad euri 109.954,24 e l’Iva per un ammontare pari ad euri 92.060,42, era stato riconosciuto responsabile del reato a lui contestato limitatamente alla evasione dell’Iva e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, era stato, pertanto, condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre accessori.
Con la sentenza emessa a seguito del gravame presentato dal prevenuto, la Corte di appello aveva ridotto l’ammontare dell’Iva evasa ed ha escluso la recidiva, rideterminando, pertanto, la pena inflitta in anni 1 d reclusione, riducendo, altresì, l’importo della somma confiscata, conformemente alla ritenuta minore entità della imposta evasa, postandolo ad euri 55.875,08, salvo il resto.
Ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto formulando un solo motivo di impugnazione con il quale ha lamentato la contraddittorietà della sentenza impugnata nella quale per un verso si è ritenuto applicabile il regime fiscale cosiddetto “del margine”, sottoponendo, perciò, a tassazione la sola differenza fra quanto percepito dal ricorrente dalla vendita di determinati beni e quanto da lui spese per acquistarli, ma poi, per altro verso, non essendo stati riconosciuti determinati costi, si è comunque ritenuta superata la soglia di punibilità prevista per il reato contestato.
Il ricorrente ha, anche, lamentato la contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui la Corte di appello, che pure ha escluso la aggravante della recidiva, ha tuttavia negato la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., allegando il fatto che, dati i precedenti ricorrente, la sua condotta poteva considerarsi abituale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendo risultato manifestamente infondato il motivo posto a suo sostegno, deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Esaminando il primo dei due profili di doglianza contenuti nell’unico motivo di ricorso presentato dalla ricorrente difesa, rileva il Collegio che non è ravvisabile alcun vizio nella motivazione della sentenza della Corte di appello nella quale – pur riconosciuta la applicabilità della tassazione del solo margine di profitto conseguito dallo COGNOME calcolando la somma algebrica fra il prezzo di vendita del veicolo ed il prezzo da lui precedentemente versato per acquistarlo – è stata ritenuta superata, quanto all’Iva la soglia di punibili con motivazione invero ineccepibile, infatti, i giudici del merito sono giunti a calcolare l’importo dell’Iva evasa dal prevenuto, applicando correttamente il cosiddetto regime del margine, ma portando in detrazione, ai fini del calcolo della imposta in questione i soli costi sostenuti, appunto, per l’acquisto dell autovetture, poi oggetto di rivendita e di relativa fatturazione, mentre ha correttamente escluso dall’ambito del calcolo del “margine” su cui, appunto, calcolare l’Iva a debito, una serie di costi, per un importo pari ad olt 59.000,00 euri, dei quali il ricorrente non ha saputo documentare né la inerenza con l’attività di compravendita di autoveicoli da lui svolta né la loro soggezione al regime dell’Iva.
A tali argomenti, di per sé esaurienti, il ricorrente non ha saputo obbiettare altro che una generica contestazione delle conclusioni cui è pervenuta la Corte di merito, avendo questa osservato che la corretta applicazione del regime del margine ha, comunque, condotto alla rilevazione di un ammontare dell’evasione Iva in tale modo realizzata superiore, sia pure in misura inferiore rispetto a quanto calcolato in primo grado, al limite costituito dalla soglia di punibilità.
Il ricorrente si è, infatti, limitato a contestare genericamente per un verso la circostanza che – mentre in tema di imposta sul reddito il ricalcolo dei redditi effettivi aveva condotto a ritenere non superata la soglia dì punibilità in tema di Iva, anche operato il ricalcolo, la soglia di punibilità era risulta comunque, superata (ma siffatta apparente distonia appare di per sé non ingiustificata dato il diverso imponibile rilevante per il calcolo della du diverse imposte – in un caso il reddito, nell’altro il fatturato), e, per a verso, a segnalare la, da lui ritenuta, incertezza, cagionata dalla modestia dell’importo di tale esubero, dell’avvenuto superamento della soglia di punibilità; di tale incertezza, tuttavia, egli non è stato in grado di fornire ragioni – considerata la non decisività del solo dato relativo alla modestia
quantitativa GLYPH dell’avvenuto superamento della soglia GLYPH – GLYPH a fronte dell’argomentata motivazione della sentenza pronunziata in sede di gravame nella quale, invece, si dà ampiamente dimostrazione di detto, ancorché contenuto, superamento.
Parimenti manifestamente infondato è il profilo impugnatorio concernente la pretesa contraddittorietà della sentenza emessa in grado di appello laddove in essa, pur essendo stata esclusa la ricorrenza a carico del prevenuto della aggravante della recidiva, tuttavia è stata anche esclusa la possibilità di qualificare il fatto nell’ambito della particolare tenuità del fatto
Invero, la Corte ligure ha, coerentemente, osservato sul punto che, da una parte, la risalenza nel tempo dei reati in passato commessi dallo COGNOME non era tale da legittimare quel giudizio di maggiore pericolosità del fatto tale da destare quel particolare allarme sociale che giustifica la attribuzione al prevenuto della qualifica normativa di recidivo, mentre, da altra parte, ha osservato che la presenza dei medesimi precedenti costituiva fattore ostativo alla ravvisabilità, quanto al reato commesso, della speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
In tale argomento non è dato ravvisare, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, alcuna contraddittorietà.
Come è, infatti, noto, la condizione soggettiva propria del soggetto nei cui confronti è ravvisabile la ricorrenza della aggravante inerente alla persona del colpevole denominata recidiva, nelle sue sottocategorie previste dall’art. 99 cod. pen., non è, semplicemente riferibile, allo status dell’individuo che già sia, secondo il termine invalso nella prassi, anche, giudiziaria, “pregiudicato”, abbia cioè commesso in precedenza altri reati per i quali egli abbia già riportato delle condanne; infatti, al di là della circostanza che la recidiva, senso tecnico, riguarda, in astratto, solamente soggetti che abbiano riportato condanne per delitti (e, pertanto, non anche per contravvenzioni) non colposi, deve, altresì, ribadirsi che la rilevazione della recidiva, intesa quale sintomo d un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza a suo carico di precedenti penali per delitto, impone che la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma deve esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del
reato sub iudice (Corte di cassazione, Sezione II penale, 14 marzo 2023, n. 10988, rv 284425; Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 luglio 2017, n. 33299, rv 270419); da tale indicazione giurisprudenziale emerge, pertanto, la chiara connotazione soggettiva della recidiva, in quanto condizione in cui si trovi chi – mostrando una perdurante inclinazione al delitto, evidenziata dalla rilevazione degli indici summenzionati – necessita di un trattamento sanzionatorio aggravato, dovendosi ritenere che nei suoi confronti il processo rieducativo presenti delle complessità tali da richiedere un tempo più dilatato di sviluppo rispetto a quello che sarebbe stato ordinariamente necessario.
Per ciò che attiene, invece, alla individuazione dei requisiti indispensabili ai fini della astratta applicabilità della causa di non punibilità di cui all 131-bis cod. pen., si rileva che fra essi vi è, oltre alla “particolare tenui dell’offesa inferta al bene-interesse tutelato dalla norma che si assume violata anche la necessità che il comportamento tenuto dall’agente deve “risulta(re) non abituale”: e tale è, per quanto ora interessa, il comportamento – secondo il chiaro tenore del successivo comma quarto dell’art. 131-bis cod. pen. anche nel testo ora vigente, sul punto non variato rispetto al precedente – di chi i precedenza “abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascuna fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuta”.
Deve, pertanto, considerarsi che la condizione ostativa costituita dalla abitualità del comportamento, oltre a riferirsi genericamente al concetto di reato – comprensivo, pertanto, a differenza di quello che si verifica per la recidiva, anche delle contravvenzioni e dei delitti di carattere colposo – è fattore di carattere oggettivo, di per sé impediente, ove ricorrente, l applicazione della ipotesi di non punibilità del fatto.
Ora, sebbene sia vero che, laddove il legislatore abbia previsto per un determinato reato l’esistenza di una soglia di punibilità (come infatti, s verifica nella presente fattispecie), non è condizione sufficiente per la inoperatività della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. fatto che la soglia di punibilità sia stata valicata, posto che quest’ultima segn il livello minimo di disvalore penalmenté rilevante, di tal che, qualora il giudice accerti la minima offensività del fatto sulla base degli indicatori rappresentati dalle modalità della condotta, dalla esiguità del danno o del pericolo da essa derivante e dal grado di colpevolezza dimostrato dall’agente, la possibilità di applicare la causa di non punibilità di cui si tratta va valutata non in rapport all’intero ammontare dell’imposta evasa, ma con riferimento alla sola eccedenza dello stesso rispetto alla soglia di legge (Corte di cassazione,
Sezione III penale, 28 dicembre 2018, n. 58442, rv 275458), nel caso in esame non vi è necessità di verificare se lo “sforamento” dell’ammontare della imposta evasa, pari nell’occasione a circa 5.875,00 euri (cioè, poco meno del 12% rispetto alla soglia di punibilità; ed al riguardo si segnala, pe completezza di informazione, come questa Corte abbia ritenuto esulante rispetto alla ipotesi di particolare tenuità uno “sforamento” rispetto alla soglia di punibilità di circa 111°/0: Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 giugno 2020, n. 16599, rv 278946), sia o meno tale da rientrare nell’ambito della “particolare tenuità”, essendo, nell’occasione, una siffatta verifica resa non necessaria dalla rilevata e non contestata esistenza di “plurime condanne” per reati che, per essere connessi alla attività imprenditoriale del prevenuto condividono con quello ora in esame la medesinnezza dell’indole, costituendo, pertanto, senza che ciò, per come dianzi dimostrato, rappresenti un profilo di contraddittorietà della sentenza che ha escluso la sussistenza della aggravante della recidiva a carico dello COGNOME, fattore ostativo all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 515 cod. proc. pen. va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Preside re