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Tenuità del fatto: quando i precedenti la escludono

Un imprenditore del settore auto usate, condannato per evasione IVA, si è visto respingere il ricorso in Cassazione. La Corte ha stabilito che i precedenti penali, pur se non integrano l’aggravante della recidiva, costituiscono ‘condotta abituale’ e precludono l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, chiarendo la distinzione tra valutazione soggettiva della pericolosità e presupposto oggettivo della norma.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del Fatto: Quando i Precedenti Penali Bloccano l’Assoluzione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha fornito un’importante chiarimento sulla differenza tra l’aggravante della recidiva e la ‘condotta abituale’ che esclude la non punibilità per tenuità del fatto. Il caso, che ha coinvolto il titolare di una ditta di compravendita di auto usate accusato di evasione IVA, dimostra come la presenza di precedenti penali possa avere conseguenze diverse a seconda dell’istituto giuridico considerato.

I Fatti di Causa: L’Evasione IVA nel Settore delle Auto Usate

Un imprenditore è stato processato per aver omesso la presentazione della dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 2014, evadendo un importo significativo. Inizialmente condannato, in appello otteneva una riduzione della pena: i giudici escludevano l’aggravante della recidiva, ma rideterminavano l’imposta evasa in un ammontare che, seppur inferiore, superava comunque la soglia di punibilità prevista dalla legge.

L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su due principali motivi:
1. Contraddittorietà nel calcolo dell’IVA: si lamentava che la Corte d’Appello, pur applicando il corretto ‘regime del margine’, non avesse riconosciuto la deducibilità di alcuni costi, portando a un superamento della soglia di punibilità ritenuto incerto.
2. Contraddittorietà sulla valutazione dei precedenti: si sosteneva che fosse illogico escludere l’aggravante della recidiva e, allo stesso tempo, negare la causa di non punibilità per tenuità del fatto proprio a causa dei medesimi precedenti penali, considerati indice di ‘condotta abituale’.

La Decisione della Cassazione: Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondati entrambi i motivi. La sentenza si sofferma in particolare sulla distinzione concettuale tra recidiva e condotta abituale, offrendo una lettura chiara e rigorosa delle norme coinvolte.

Le Motivazioni: la distinzione tra recidiva e tenuità del fatto

I giudici di legittimità hanno smontato le argomentazioni difensive con un ragionamento lineare.

Il Calcolo dell’IVA e il Regime del Margine

Sul primo punto, la Corte ha osservato che i giudici di merito avevano correttamente applicato il regime del margine, portando in detrazione solo i costi di acquisto delle autovetture. Altri costi, per un importo di oltre 59.000 euro, erano stati giustamente esclusi perché l’imputato non era riuscito a documentarne né l’inerenza all’attività di impresa né la loro soggezione ad IVA. Di conseguenza, il calcolo dell’imposta evasa era corretto e il superamento della soglia di punibilità, seppur contenuto, era stato ampiamente dimostrato.

Recidiva vs. Condotta Abituale: Una Distinzione Cruciale per la Tenuità del Fatto

Il cuore della sentenza risiede nella spiegazione della differenza tra i due istituti. La Cassazione ha chiarito che non vi è alcuna contraddizione nella decisione della Corte d’Appello.
La Recidiva (art. 99 c.p.): è un’aggravante che richiede una valutazione soggettiva*. Il giudice deve accertare in concreto se i precedenti reati e quello nuovo indichino un’accentuata e perdurante inclinazione al delitto. La lontananza nel tempo dei precedenti può portare il giudice a escludere questa maggiore pericolosità sociale, e quindi a non applicare l’aggravante.
La Condotta Abituale (art. 131-bis c.p.): è un presupposto oggettivo* che osta all’applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto. La norma stessa considera ‘non abituale’ il comportamento di chi non ha commesso reati della stessa indole. La presenza di precedenti specifici, quindi, integra di per sé la ‘condotta abituale’, impedendo al giudice di dichiarare la non punibilità, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla pericolosità attuale del soggetto.

In sintesi, mentre la recidiva è una circostanza da valutare nel merito, la condotta abituale è una ‘barriera’ normativa che blocca l’accesso al beneficio della tenuità del fatto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia consolida un principio fondamentale: gli istituti della recidiva e della non punibilità per tenuità del fatto operano su piani diversi. La decisione di un giudice di non riconoscere l’aggravante della recidiva, magari perché i precedenti sono datati, non implica automaticamente che l’imputato possa beneficiare della non punibilità. La sola esistenza di condanne passate per reati della stessa indole è sufficiente a qualificare la condotta come ‘abituale’, rendendo inapplicabile l’art. 131-bis c.p. Questo orientamento impone una chiara distinzione tra la valutazione della pericolosità sociale ai fini della pena e la verifica dei presupposti oggettivi per l’applicazione di cause di non punibilità.

Può essere esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto se l’imputato ha precedenti penali?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la presenza di precedenti condanne per reati della stessa indole integra la ‘condotta abituale’, un presupposto oggettivo che osta all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

Escludere l’aggravante della recidiva ma negare la tenuità del fatto per i precedenti è una contraddizione?
No. La Corte ha chiarito che non c’è contraddizione. La recidiva richiede una valutazione soggettiva sulla maggiore pericolosità sociale dell’imputato, che può essere esclusa se i precedenti sono risalenti. La ‘condotta abituale’, invece, è un ostacolo oggettivo basato sulla mera esistenza di tali precedenti, a prescindere da una valutazione sulla pericolosità.

Nel ‘regime del margine’, quali costi si possono dedurre per calcolare l’IVA evasa?
Ai fini del calcolo dell’imponibile, possono essere detratti solo i costi di cui l’imprenditore è in grado di documentare pienamente sia l’inerenza con l’attività svolta, sia la loro soggezione al regime IVA. In assenza di tale prova, i costi non sono deducibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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