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Tenuità del fatto: quando è inammissibile in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione si fonda su due motivi principali: la richiesta è stata presentata per la prima volta in sede di legittimità, e l’imputato aveva commesso plurimi reati della stessa indole, configurando un’abitualità del comportamento che osta all’applicazione del beneficio.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del Fatto: Limiti e Inammissibilità in Cassazione

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale e di proporzionalità della sanzione penale. Tuttavia, il suo accesso è subordinato a precisi limiti, sia sostanziali che procedurali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre chiarimenti fondamentali su quando la richiesta di applicazione di tale beneficio non può essere accolta, delineando i confini tra ammissibilità e inammissibilità del ricorso.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza sollevato dinanzi alla Suprema Corte riguardava la presunta carenza di motivazione in merito alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. L’imputato, in sostanza, lamentava che i giudici di merito non avessero valutato la possibilità di escludere la sua punibilità in ragione della minima offensività della condotta.

La Questione della Tenuità del Fatto in Cassazione

La Corte di Cassazione ha immediatamente rilevato un vizio procedurale dirimente. La questione relativa all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio, in particolare come motivo di appello. I giudici di legittimità hanno richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in base all’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, una questione non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione se la norma di riferimento era già in vigore al momento della sentenza impugnata. Poiché l’istituto della tenuità del fatto era pienamente operativo, l’imputato avrebbe dovuto sollevare la questione davanti alla Corte d’Appello. Non avendolo fatto, la sua richiesta è stata considerata tardiva e, di conseguenza, inammissibile.

L’Abitualità del Comportamento come Causa Ostativa

Oltre al profilo procedurale, la Corte ha evidenziato una ragione sostanziale che avrebbe comunque impedito l’accoglimento del ricorso. Dagli atti processuali emergeva che l’imputato era responsabile di plurimi reati della stessa indole. Questa circostanza, sebbene non esplicitata in modo diretto nella sentenza d’appello, configurava implicitamente la condizione di ‘abitualità del comportamento’. Secondo il quarto comma dell’art. 131-bis c.p. e la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il comportamento abituale è una causa ostativa all’applicazione del beneficio della tenuità del fatto. La reiterazione di condotte illecite simili dimostra una tendenza a delinquere che è incompatibile con il giudizio di minima offensività richiesto dalla norma.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile sulla base di una duplice argomentazione. In primo luogo, ha sancito l’inammissibilità per novità della censura, poiché la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. era stata formulata per la prima volta in sede di legittimità, violando le preclusioni processuali. In secondo luogo, e in via assorbente, ha rilevato la manifesta infondatezza nel merito, evidenziando come la documentata presenza di reati della stessa indole integrasse la causa di esclusione dell’abitualità, rendendo comunque impossibile applicare il beneficio. La decisione si allinea perfettamente con precedenti pronunce, tra cui quella fondamentale delle Sezioni Unite (sent. Tushaj, 2016), che ha chiarito i contorni dell’abitualità come limite invalicabile per la non punibilità.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce due principi fondamentali per chi opera nel diritto penale. Primo: le strategie difensive devono essere articolate e complete fin dai primi gradi di giudizio; le questioni non sollevate in appello difficilmente troveranno ingresso in Cassazione. Secondo: la valutazione della tenuità del fatto non può prescindere da un’analisi complessiva della condotta dell’imputato. La presenza di precedenti specifici o di reati della stessa indole costituisce un segnale di ‘abitualità’ che la legge considera incompatibile con la concessione di un beneficio pensato per episodi criminosi del tutto sporadici e di minima gravità. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e a una sanzione pecuniaria.

È possibile chiedere l’applicazione della particolare tenuità del fatto per la prima volta in Cassazione?
No, la Corte ha stabilito che la questione non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione se la norma era già in vigore al momento della sentenza d’appello, in base all’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

La commissione di più reati dello stesso tipo impedisce di beneficiare della tenuità del fatto?
Sì, la Corte ha confermato che la commissione di plurimi reati della stessa indole configura un’abitualità del comportamento che, ai sensi dell’art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., preclude l’applicazione del beneficio della non punibilità.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, di una sanzione pecuniaria (nella specie, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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