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Tenuità del fatto: non basta la lieve entità del reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di cocaina. La Corte ha stabilito che la qualificazione del reato come ‘di lieve entità’ secondo la legge sugli stupefacenti non comporta automaticamente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). Quest’ultima richiede una valutazione più ampia che consideri le modalità della condotta, la colpevolezza e l’entità del danno, elementi che nel caso di specie non permettevano di considerare l’offesa come irrilevante.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del Fatto: Non Basta la Lieve Entità del Reato di Droga

L’applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto, introdotta dall’articolo 131-bis del codice penale, continua a essere un tema centrale nel dibattito giuridico, specialmente in materia di stupefacenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante precisazione, stabilendo che la qualificazione di un reato come ‘di lieve entità’ ai sensi della legge sulla droga non comporta automaticamente la non punibilità. Analizziamo la decisione per comprendere i criteri distintivi applicati dai giudici.

Il Caso in Analisi: I Fatti

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte d’Appello per detenzione di sostanze stupefacenti. Nello specifico, si trattava di poco più di 10 grammi di cocaina, una parte della quale era stata ceduta. L’imputato ha impugnato la sentenza di condanna davanti alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su tre motivi principali:
1. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
2. Il mancato riconoscimento della circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.).
3. L’eccessività della pena inflitta, non determinata nel minimo edittale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi proposti infondati e riproduttivi di censure già correttamente respinte nei gradi di merito. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa dei presupposti necessari per l’applicazione dei benefici invocati, distinguendo nettamente i concetti di ‘lieve entità’ e ‘particolare tenuità del fatto’.

Le Motivazioni: La Distinzione tra Lieve Entità e Tenuità del Fatto

Il cuore della pronuncia risiede nella chiara differenziazione tra la fattispecie di ‘lieve entità’ prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (D.P.R. 309/1990) e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. La Corte ha spiegato che i due istituti non sono sovrapponibili né strutturalmente né teleologicamente.

Per riconoscere la ‘lieve entità’, il giudice valuta i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, nonché la quantità e qualità della sostanza. Si tratta di una valutazione focalizzata sugli elementi oggettivi del reato di droga.

Al contrario, per applicare la tenuità del fatto, il giudice deve compiere una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, basandosi sui criteri dell’art. 133, comma 1, del codice penale. Questo significa considerare:
– Le modalità della condotta.
– Il grado di colpevolezza.
– L’entità del danno o del pericolo.
– Il carattere non abituale della condotta.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente negato la tenuità del fatto non solo per la quantità e la natura della sostanza (cocaina), ma anche per le modalità di svolgimento del reato. La Cassazione ha confermato che questa valutazione, immune da vizi logici, è insindacabile in sede di legittimità. Allo stesso modo, è stata respinta la richiesta dell’attenuante del danno di speciale tenuità, poiché il quantitativo di sostanza (pari a circa 50 dosi) e la sua tipologia escludevano che il lucro perseguito potesse essere considerato minimo.

Infine, riguardo alla dosimetria della pena, i giudici hanno ribadito il principio consolidato secondo cui la determinazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Se la pena è applicata in misura prossima al minimo e la motivazione fa riferimento a criteri di adeguatezza ed equità, essa non è censurabile in Cassazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: nel diritto penale, non esistono automatismi. La qualificazione di un reato di droga come ‘di lieve entità’ non esonera il giudice da una valutazione autonoma e approfondita per l’eventuale applicazione della non punibilità per tenuità del fatto. La decisione sottolinea l’importanza di analizzare il ‘fatto storico’ in tutta la sua complessità, andando oltre la mera qualificazione giuridica della condotta. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la difesa deve argomentare in modo specifico e dettagliato non solo sulla quantità di stupefacente, ma su tutti gli indici che possono dimostrare l’irrilevanza penale complessiva del comportamento tenuto dall’imputato.

Un reato di spaccio qualificato come ‘di lieve entità’ è automaticamente non punibile per ‘particolare tenuità del fatto’?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la fattispecie di lieve entità (art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90) e la causa di non punibilità per tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) sono concetti distinti che richiedono valutazioni separate e non sovrapponibili.

Cosa valuta il giudice per decidere sulla ‘tenuità del fatto’ in un caso di droga?
Il giudice deve effettuare una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità del caso concreto, considerando le modalità della condotta, il grado di colpevolezza, l’entità del danno o del pericolo e il carattere non abituale del comportamento, come previsto dall’art. 133 del codice penale.

Perché la Corte ha negato l’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.)?
L’attenuante è stata negata perché il quantitativo di sostanza (cocaina, pari a circa 50 dosi singole) e la sua natura non permettevano di considerare minimo il lucro perseguito o effettivamente conseguito, requisito essenziale per l’applicazione di tale circostanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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