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Tenuità del fatto: no se si demolisce l’abuso

La Corte di Cassazione ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere concessa basandosi unicamente sulla demolizione dell’opera abusiva. Se tale demolizione rappresenta un atto richiesto dalla legge, non può essere considerata una condotta riparatoria spontanea sufficiente a giustificare l’applicazione dell’esimente. Nel caso esaminato, due soggetti, condannati per una contravvenzione edilizia, hanno visto il loro ricorso respinto perché l’abuso era durato a lungo e la successiva rimozione era un obbligo normativo.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del Fatto: la Demolizione dell’Abuso non Garantisce l’Assoluzione

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 20354/2025 offre un importante chiarimento sull’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale, in materia di abusi edilizi. La Corte ha precisato che la condotta tenuta dall’imputato dopo la commissione del reato, come la demolizione dell’opera abusiva, non è di per sé sufficiente a far scattare l’esimente se tale condotta è un mero adempimento di un obbligo di legge.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due persone condannate dal Tribunale di Forlì per la contravvenzione prevista dall’art. 95 del d.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia). Ciascuno era stato condannato al pagamento di 300 euro di ammenda per aver realizzato opere edilizie senza le necessarie autorizzazioni. I lavori, pur essendo stati avviati sulla base di una SCIA presentata nel 2018, si erano protratti in maniera abusiva fino al settembre 2021, momento in cui era stata presentata una richiesta di sanatoria. Successivamente, le opere abusive erano state rimosse.

Il Ricorso in Cassazione e la Tesi sulla Tenuità del Fatto

Gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. A loro avviso, la sentenza non aveva adeguatamente considerato che la violazione era un episodio isolato e, soprattutto, che la successiva regolarizzazione tramite demolizione dimostrava la scarsa offensività della condotta. Invocavano, inoltre, una recente modifica legislativa (d.lgs. n. 150/2022) che avrebbe dato maggior peso alle condotte successive al reato.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno confermato la solidità della motivazione del Tribunale, sottolineando diversi punti cruciali. In primo luogo, la durata dell’abuso, protrattosi per un tempo ‘assai considerevole’ (dal 2018 al 2021), escludeva già di per sé una valutazione di particolare tenuità. Inoltre, gli imputati non avevano fornito alcuna prova del carattere marginale dell’intervento edilizio.

Il punto centrale della decisione, però, riguarda la valutazione della condotta successiva al reato. La Corte ha chiarito che la ‘regolarizzazione’ non era avvenuta tramite un’autorizzazione postuma, ma attraverso la rimozione delle opere. Tale rimozione, tuttavia, non è un atto volontario di riparazione del danno, bensì un ‘atto necessitato’ previsto espressamente dalla legge (art. 98, comma 3, d.P.R. n. 380/2001). Una condotta che è meramente ‘anticipatoria di un effetto necessitato dalla legge’ non può, da sola, giustificare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: per valutare la tenuità del fatto, la condotta successiva dell’imputato può essere considerata, ma solo come uno dei tanti criteri previsti dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere, etc.). Non può assumere un valore decisivo e autonomo, specialmente quando consiste nell’adempiere a un obbligo imposto dalla normativa per ripristinare la legalità violata. In conclusione, demolire un’opera abusiva è un dovere, non un gesto che automaticamente cancella la rilevanza penale del fatto. Il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere complessivo e basato su tutti gli elementi del caso concreto, inclusa la durata e la natura dell’abuso.

La demolizione di un’opera abusiva è sufficiente per ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No, la demolizione non è di per sé sufficiente. La Corte ha chiarito che se la rimozione delle opere è un atto necessitato dalla legge, come previsto dall’art. 98, d.P.R. 380/2001, non può da sola giustificare l’applicazione dell’esimente, ma può essere valutata solo come uno dei tanti criteri nel giudizio complessivo sull’entità dell’offesa.

Perché la Corte non ha applicato l’art. 131-bis c.p. in questo caso?
La Corte non ha applicato l’esimente perché l’abuso si era protratto per un tempo considerevole (dal 2018 al 2021), non era stata fornita prova del carattere marginale dell’intervento e la successiva demolizione era un atto dovuto per legge, non una condotta spontanea di riparazione.

Qual è il valore della condotta dell’imputato successiva al reato nel giudizio sulla tenuità del fatto?
Secondo la sentenza, la condotta successiva al reato, specialmente se consiste nell’adempimento di un obbligo di legge, non giustifica da sola l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Può essere valorizzata solo come ulteriore criterio, insieme a tutti quelli previsti dall’art. 133 c.p., per valutare la gravità complessiva dell’offesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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