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Tenuità del fatto: no se la condotta è pericolosa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38344/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata a cui era stata negata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione si fonda sulla valutazione della pericolosità della condotta, consistente nella guida senza patente in un centro cittadino trafficato, e sull’assenza di un comportamento collaborativo. La Corte ha ribadito che per negare la tenuità del fatto è sufficiente valorizzare gli aspetti più rilevanti della fattispecie concreta che ne escludono la lieve entità.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del fatto: quando la pericolosità della condotta esclude il beneficio

L’istituto della tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di escludere la punibilità per reati di minima entità. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta di tutte le circostanze del caso concreto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 38344/2024) offre spunti cruciali per comprendere i limiti di questo beneficio, in particolare quando la condotta, seppur astrattamente lieve, manifesta una concreta pericolosità.

Il caso: guida senza patente in centro città

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una persona condannata per aver guidato senza patente. L’imputata, tramite il suo difensore, aveva presentato ricorso in Cassazione lamentando un vizio di motivazione nella sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il nucleo della difesa si concentrava sulla presunta inadeguatezza delle argomentazioni dei giudici di merito nel giustificare il diniego del beneficio. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto tale tesi, dichiarando il ricorso inammissibile.

La decisione della Cassazione e la tenuità del fatto

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per diverse ragioni. In primo luogo, ha evidenziato come i motivi presentati fossero una mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte nei gradi di merito, senza una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza impugnata. Questo approccio, secondo la giurisprudenza consolidata, non è consentito in sede di legittimità.

Nel merito, la Cassazione ha confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale, sottolineando come il diniego del beneficio fosse stato logicamente e adeguatamente motivato.

Le motivazioni: perché è stata negata la tenuità del fatto

La Corte di Cassazione ha validato il ragionamento dei giudici di merito, che avevano escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis sulla base di elementi concreti e decisivi. La valutazione non si è soffermata solo sulla natura del reato, ma ha abbracciato l’intera fattispecie storica.

La valutazione complessiva della fattispecie

Richiamando l’insegnamento delle Sezioni Unite (sentenza Tushaj, n. 13681/2016), la Corte ha ribadito che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità del caso. Ai sensi dell’art. 133 del codice penale, il giudice deve considerare:

* Le modalità della condotta;
* Il grado di colpevolezza;
* L’entità del danno o del pericolo.

Non si tratta di analizzare il fatto legale in astratto, ma il fatto storico, cioè la situazione reale e irripetibile costituita da tutti gli elementi concretamente realizzati dall’agente.

Pericolosità e assenza di collaborazione

Nel caso specifico, due elementi sono stati determinanti per negare il beneficio:

1. L’intrinseca pericolosità della condotta: La guida senza patente è avvenuta nel pieno centro di una grande e trafficata città come Napoli. Tale circostanza ha elevato il livello di pericolo per la sicurezza pubblica, impedendo di considerare l’offesa come ‘tenue’.
2. L’assenza di una condotta collaborativa: Il comportamento successivo dell’imputata è stato valutato negativamente, contribuendo a delineare un quadro complessivo non meritevole del beneficio di legge.

La Corte ha anche precisato che non è necessaria una disamina analitica di tutti i criteri previsti dall’art. 133 c.p., essendo sufficiente indicare quelli ritenuti più rilevanti per la decisione.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: la tenuità del fatto non è un automatismo legato al titolo di reato, ma il risultato di un’analisi ponderata del fatto nella sua interezza. La pericolosità concreta della condotta, anche in assenza di un danno effettivo, può essere un fattore decisivo per escludere il beneficio. Per i professionisti del diritto e per i cittadini, emerge chiaramente che il contesto in cui un reato viene commesso (luogo, tempo, modalità) e il comportamento successivo dell’autore sono elementi cruciali che il giudice deve e può valutare per decidere sulla punibilità. La decisione rafforza l’idea che la non punibilità per tenuità del fatto è riservata a quelle violazioni della legge penale che risultano marginali non solo in astratto, ma soprattutto nella loro concreta manifestazione.

Quando può essere esclusa l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Secondo questa ordinanza, può essere esclusa quando la condotta, analizzata nel suo contesto concreto, risulta particolarmente pericolosa (come guidare senza patente in un centro cittadino trafficato) e quando l’imputato non mostra un atteggiamento collaborativo.

È necessario che il giudice analizzi tutti i criteri dell’art. 133 c.p. per negare la tenuità del fatto?
No. La Corte di Cassazione ribadisce che non è necessaria una disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti dalla norma, essendo sufficiente che il giudice indichi quelli ritenuti rilevanti per giustificare la sua decisione di negare il beneficio.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non vi è assenza di colpa nel determinarne la causa, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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