Tenuità del fatto: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia processuale: la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere sollevata durante il giudizio di merito e non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità. Questa decisione offre importanti spunti sulla strategia difensiva e sui limiti del ricorso in Cassazione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza del Giudice di Pace che condannava un individuo alla pena di 10.000 euro di multa per il reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), relativo alla permanenza illegale nel territorio dello Stato.
Contro questa decisione, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso in Cassazione basandolo su tre motivi principali:
1. La richiesta di un’integrazione istruttoria per dimostrare la breve durata della sua permanenza illecita.
2. La lamentela per la mancata assoluzione per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 274/2000.
3. La contestazione dell’eccessività della pena inflitta.
La Decisione della Corte sulla tenuità del fatto
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, respingendo ogni doglianza. La motivazione centrale, e di maggior interesse giuridico, riguarda proprio l’istituto della particolare tenuità del fatto.
Gli Ermellini hanno chiarito che, per l’applicazione di questa causa di esclusione della punibilità, è necessaria una richiesta esplicita da parte dell’imputato o, quantomeno, la sua non opposizione. Nel caso specifico, non risultava che tale richiesta fosse mai stata avanzata durante il giudizio davanti al Giudice di Pace. Di conseguenza, la questione non poteva essere sollevata per la prima volta dinanzi alla Corte di Cassazione. Questo principio si fonda sulla natura stessa dell’istituto, che richiede una partecipazione dell’imputato non compatibile con una pronuncia d’ufficio in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso con argomentazioni precise.
In primo luogo, la richiesta di integrazione istruttoria è stata ritenuta inammissibile in quanto la Corte di Cassazione opera come giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare i fatti o acquisire nuove prove, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. Tale richiesta, pertanto, esulava completamente dalle sue competenze.
In secondo luogo, e come già anticipato, la censura relativa all’omesso proscioglimento per tenuità del fatto è stata dichiarata inammissibile per la sua tardività. Citando un proprio precedente (Sez. 1, n. 49171/2016), la Corte ha ribadito che la doglianza è proponibile solo se l’istituto è stato oggetto di discussione nel giudizio di merito. In assenza di una specifica deduzione difensiva in quella sede, la questione non può essere introdotta ex novo in Cassazione.
Infine, anche il motivo relativo all’eccessività della pena è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che la doglianza era generica e che la pena-base applicata non superava la media edittale, non richiedendo quindi una motivazione particolarmente dettagliata da parte del giudice di merito. La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice e può essere sindacata in Cassazione solo in caso di manifesta illogicità, qui non riscontrata.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame conferma un orientamento consolidato e offre una lezione chiara: le strategie difensive devono essere articolate e complete fin dal primo grado di giudizio. La particolare tenuità del fatto è uno strumento potente a disposizione della difesa, ma la sua applicazione è subordinata a precise regole procedurali. Attendere il giudizio di Cassazione per sollevare questioni che dovevano essere trattate in precedenza si traduce non solo nel rigetto del ricorso, ma anche in conseguenze economiche per l’imputato. La declaratoria di inammissibilità, infatti, comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata quantificata in 3.000 euro.
È possibile chiedere l’assoluzione per particolare tenuità del fatto per la prima volta in Cassazione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta di proscioglimento per particolare tenuità del fatto deve essere avanzata nel corso del giudizio di merito. Non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità, in quanto richiede una deduzione specifica della difesa e la non opposizione dell’imputato.
Perché la Corte di Cassazione non può valutare nuove prove?
La Corte di Cassazione è un “giudice di legittimità”, il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi inferiori, non riesaminare i fatti del caso o ammettere nuove prove. Le richieste di integrazione istruttoria sono quindi inammissibili.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo quanto stabilito nel provvedimento, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (nel caso specifico, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, a meno che non dimostri di non aver agito con colpa nel determinare la causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31211 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31211 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2024 del GIUDICE DI PACE di ALBA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
e
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, ha proposto appello, qualificato come ricorso in cassazione, contro la sentenza emessa in data 22 febbraio 2024 con cui il Giudice di pace di Alba lo ha condannato alla pena di euro 10.000 di multa per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n.286/1998;
rilevato che il ricorrente richiede una integrazione istruttoria ai sensi dell’art 603 cod.proc.pen., diretta a provare la breve durata della illiceità della permanenza nel territorio nazionale, e lamenta l’omessa concessione del proscioglimento ai sensi dell’art. 34 d.P.R. n. 274/2000 nonostante la palese tenuità del fatto, nonché l’eccessività della pena inflitta;
ritenuto il ricorso inammissibile, quanto alla richiesta di integrazione istruttoria e di rivalutazione del fatto, trattandosi di motivi non deducibili davan al giudice di legittimità;
ritenuto il ricorso inammissibile, quanto alla censura per l’omesso proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, perché per l’applicazione del proscioglimento ai sensi dell’art. 34 d.P.R. n. 274/2000 è necessaria la richiesta da parte dell’imputato, o quanto meno la sua esplicita non opposizione, mentre nel presente caso non risulta che la concessione dell’istituto sia stata richiesta nel corso del giudizio, con la conseguenza che «la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, in assenza di deduzione specifica della difesa, richiedendosi ai fini del decisum di improcedibilità la mancata opposizione dell’imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa; ne deriva che la doglianza relativa all’improcedibilità per particolare tenuità del fatto non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità» (Sez. 1, n.49171 del 28/09/2016, Rv. 268458);
ritenuto, infine, che il ricorso sia inammissibile anche con riferimento alla lamentata eccessività della pena, stante la genericità del motivo e la oggettiva non eccessività della pena-base applicata, in quanto determinata in una quantità non superiore alla media edittale, che rende non necessaria una motivazione specifica e dettagliata (vedi Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, I2v. 276288);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 01 luglio 2024
Il Consigliere estensore
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Il Pr sidente