Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23582 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23582 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MONTE SAN GIOVANNI CAMPANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’Appello di Roma confermava la pronuncia di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto emessa dal GUP del Tribunale di Frosinone nei confronti del ricorrente per i delitti di lesioni e minacce.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, con il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, affidandosi a tre motivi, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo l’imputato assume un contrasto tra l’art. 131-bis cod. pen., laddove non prevede il consenso espresso dall’imputato personalmente ai fini dell’emanazione della relativa pronuncia, che pure presuppone l’affermazione della sua responsabilità penale, in sede di udienza penale, senza avere la possibilità di provare la propria innocenza in dibattimento.
Secondo la prospettazione del ricorrente, invero, assente nel giudizio di merito e ivi rappresentato dal suo difensore di fiducia, la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 24, 2, 3, 111, commi 4 e 5 Cost. e 6 CEDU rispetto alla garanzia del contraddittorio, quale connotato indefettibile del giusto processo, non prevedendo alcun meccanismo idoneo a consentire all’imputato di opporsi all’applicazione della predetta disposizione.
E ciò a differenza di quanto ritenuto necessario dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 del 2013 con riferimento alla possibilità, nel processo minorile, di pronunciare, all’esito dell’udienza preliminare, sentenza di non luogo a procedere anche per irrilevanza del fatto.
2.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente lamenta l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. in luogo della sua assoluzione, non essendo stata dimostrata, sulla base degli elementi richiamati dalla pronuncia impugnata, la propria responsabilità penale, in quanto a tal fine non potrebbe acquisire rilevanza la sola querela e, del resto, non sarebbero senza alcuna ragione stati esaminati alcuni testi richiesti a discarico.
2.3. Lamenta infine il COGNOME violazione dell’art. 52 cod. pen. sussistendo, comunque, i presupposti della legittima difesa per avere egli comunque reagito all’aggressione determinata dall’illegittima introduzione della persona offesa nella sua abitazione, adducendo che si tratta di questione rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Quanto al primo motivo, è indubbio che l’art. 131-bis cod. pen. consente al giudice, ove ritenga il fatto di particolare tenuità ed in presenza dei relativ presupposti applicativi, di pronunciare d’ufficio sentenza di non doversi procedere senza che sia necessaria né una richiesta del difensore né, a fortiori, il consenso dell’imputato, espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel ricostruire la portata dell’istituto, hanno osservato che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., giudizio sulla tenuità, accertata la responsabilità penale dell’imputato, richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 – 01).
Nella motivazione dell’indicata decisione delle Sezioni Unite c.d. Tushaj, è stato posto in rilievo che lo stesso istituto è, invero, «esplicitamente, indiscutibilmente definito e discipliNOME come causa di non punibilità e costituisce dunque figura di diritto penale sostanziale. Esso persegue finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio; con effetti anche in tema di deflazione. Lo scopo primario è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo».
1.1.E, dunque, sotto un primo aspetto, con riguardo all’assunta violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa e, di qui, degli artt. 24, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, § 1, della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), la natura sostanziale dell’istituto in esame implica che il vaglio sulla ricorrenza dei presupposti applicativi della disposizione sia rimesso in via esclusiva al giudice che, in una situazione nella quale è già accertata la sussistenza della responsabilità penale dell’imputato, valuta – in una sorta di qualificazione giuridica di secondo livello – se il fatto è di lieve entità, in forza presupposti indicati dall’art. 131-bis cod. pen.
Pertanto, è semmai l’imputato, tramite il proprio difensore, in una situazione peculiare come quella dell’udienza preliminare, ad avere l’onere puntualizzare nelle proprie richieste che ha uno specifico interesse, in luogo di una pronuncia di non doversi procedere per tenuità del fatto ad essere rinviato a giudizio affinché, all’esito della formazione della prova nel contraddittorio dibattimentale, possa essere assolto.
Di qui la manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., con riferimento ai parametri sopra indicati.
1.2. Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., occorre invece ricordare che per costante giurisprudenza costituzionale, una violazione del principio di eguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex multis, Corte Cost. sentenze n. 67 del 2023, n. 270 del 2022, n. 165 del 2020, n. 155 del 2014, n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004).
E’ di qui evidente, in primo luogo, che la posizione dell’imputato minorenne non è in alcuna misura assimilabile, come attestato altresì dalla previsione di un rito ad hoc per lo stesso regolato dal d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Codice del processo minorile), a quella dell’imputato maggiorenne, ciò che sarebbe già sufficiente per ritenere giustificabile la differenza di disciplina tra i due istituti.
D’altra parte, è opportuno anche puntualizzare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 24 del 2013, non ha ritenuto che il consenso personale dell’imputato minorenne fosse un modello costituzionalmente necessario per il proscioglimento per irrilevanza del fatto ma ha considerato lo stesso legittimo, ritenendo non fondata la questione di legittimità costituzionale che aveva investito l’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988, come sostituito dall’art. 22 della legge 10 marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione).
D’altra parte, nella motivazione di tale decisione, è stata la stessa Corte Costituzionale a rimarcare la differenza tra la posizione dell’imputato maggiorenne e quello minorenne. E’ stato in particolare sottolineato, a riguardo, che «risulta, in effetti, del tutto ragionevole che nel possibile conflitto t l’interesse ad una sollecita conclusione del processo, richiesta oggi anche dalla Costituzione – interesse di sicura maggiore valenza quando si tratti di imputati minorenni – e il diritto dell’imputato al giusto processo, nel particolare aspetto dell’assunzione delle prove nel contraddittorio dibattimentale, debba prevalere quest’ultimo, non potendo essere imposta all’imputato una decisione che presupponga una affermazione di responsabilità senza il suo consenso all’utilizzazione degli atti assunti unilateralmente dal pubblico ministero, consenso che ha il preciso significato di rinuncia all’istruzione dibattimentale».
Per le ragioni esposte, dunque, si palesa manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen. con riferimento all’art. 3 Cost.
1.3. Quanto all’eccezione afferente la violazione dell’art. 2 Cost., parametro peraltro che appare prima facie inconferente, il ricorrente non ha evidenziato alcun concreto elemento per corroborare il preteso vulnus a tale disposizione, e dunque la stessa è inammissibile.
Rispetto al secondo motivo occorre premettere che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 – 01).
E’ di qui impedito, nella fattispecie per cui è processo, qualsivoglia sindacato in questa sede di legittimità.
Sotto un primo aspetto, invero, a differenza di quanto dedotto dalla difesa del ricorrente, le decisioni di merito hanno accertato la responsabilità penale dello stesso argomentato in maniera congrua non certo solo in forza dell’atto di querela, ma anche tenendo conto della certificazione medica atta a corroborare le dichiarazioni della persona offesa e degli elementi di contraddittorietà, valorizzati in modo adeguato, rivenienti dalle dichiarazioni a discarico della madre dello stesso COGNOME.
D’altra parte, la decisione censurata ha motivato, in maniera logica, che il denegato esame di altri testi a discarico indicati dal ricorrente si fondava sulla circostanza che non risultava che essi avessero assistito ai fatti e, dunque, per un’assenza di rilevanza per la decisione.
Il terzo motivo è inammissibile, poiché la questione relativa alla sussistenza della legittima difesa, che non rientra nel novero di quelle rilevabili d’ufficio, è stata dedotta solo con il ricorso per cassazione.
Il ricorso deve dunque essere nel complesso rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’8 maggio 2024
Il Consigliere Estensore COGNOME
Il Presidente