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Tenuità del fatto: il consenso dell’imputato non serve

Un imputato per lesioni e minacce ricorre contro la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, lamentando di non aver potuto provare la propria innocenza in dibattimento. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che il giudice può applicare l’art. 131-bis cod. pen. d’ufficio, senza il consenso dell’imputato, una volta accertata la sua responsabilità penale. La decisione sulla tenuità del fatto è una valutazione successiva che non viola il diritto di difesa.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del Fatto: Il Consenso dell’Imputato non è Necessario per il Proscioglimento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23582 del 2024, ha affrontato un’importante questione procedurale riguardante l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale. L’interrogativo centrale era se, per prosciogliere un imputato per la scarsa rilevanza del reato commesso, fosse necessario il suo consenso esplicito. La Corte ha fornito una risposta chiara, consolidando un principio fondamentale per l’efficienza del sistema giudiziario.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un procedimento per i reati di lesioni e minacce. In primo grado, il Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) del Tribunale di Frosinone aveva emesso una sentenza di non doversi procedere proprio in applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto. Questa decisione era stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Roma.

L’imputato, tuttavia, non si riteneva soddisfatto di questa conclusione. Attraverso il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la formula di proscioglimento adottata, pur evitandogli una condanna, presupponeva un accertamento della sua colpevolezza. A suo avviso, questa modalità violava il suo diritto di difesa e al giusto processo (artt. 24 e 111 della Costituzione), poiché gli precludeva la possibilità di dimostrare la propria completa innocenza in un dibattimento pubblico e nel pieno contraddittorio tra le parti.

Inoltre, il ricorrente lamentava che la sua responsabilità fosse stata affermata in modo insufficiente, basandosi quasi esclusivamente sulla querela della persona offesa, e che non fossero stati ammessi alcuni testimoni a suo discarico. Infine, sollevava per la prima volta in sede di legittimità la questione della legittima difesa.

La questione giuridica e la tenuità del fatto

Il nucleo del ricorso si concentrava sulla compatibilità dell’art. 131-bis c.p. con i principi del giusto processo. L’imputato sosteneva che, poiché il proscioglimento per tenuità del fatto implica un’affermazione di responsabilità, non potesse essere imposto senza il suo consenso. Egli desiderava un’assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste” o “per non aver commesso il fatto”, ottenibile solo attraverso un processo completo.

La Corte era quindi chiamata a stabilire se il diritto dell’imputato a un accertamento dibattimentale della propria innocenza prevalga sull’interesse dello Stato a definire anticipatamente i procedimenti per reati di minima offensività.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in tutti i suoi motivi, ritenendoli in parte manifestamente infondati e in parte inammissibili.

Sulla necessità del consenso per la tenuità del fatto

Richiamando la propria giurisprudenza consolidata (Sezioni Unite “Tushaj”, 2016), la Corte ha ribadito che l’art. 131-bis c.p. delinea una causa di non punibilità di natura sostanziale. Il suo scopo è quello di escludere dal circuito penale fatti marginali che non presentano un reale bisogno di pena. La valutazione sulla tenuità del fatto è un’operazione che spetta esclusivamente al giudice e si colloca in un momento successivo all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato. In altre parole, il giudice prima accerta che il reato sia stato commesso e che l’imputato ne sia l’autore, e solo dopo valuta se, in concreto, l’offesa sia talmente lieve da non meritare una sanzione.

Di conseguenza, non è richiesto né il consenso dell’imputato né una richiesta del difensore. È una decisione che il giudice può prendere d’ufficio. Spetta semmai all’imputato, qualora si trovi in udienza preliminare, manifestare un interesse specifico a proseguire verso il dibattimento per ottenere un’assoluzione nel merito.

La Corte ha anche respinto il paragone con il processo minorile, dove il consenso è richiesto in situazioni analoghe, sottolineando le profonde differenze tra i due sistemi e la non assimilabilità delle posizioni dell’imputato maggiorenne e di quello minorenne.

Sull’accertamento della responsabilità e la legittima difesa

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità della censura, in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. I giudici di merito avevano motivato in modo logico e congruo l’affermazione di responsabilità, basandosi non solo sulla querela, ma anche su certificati medici e sulle contraddizioni emerse dalle dichiarazioni di un testimone a discarico. Anche il diniego di sentire altri testi è stato ritenuto corretto, poiché non risultava che avessero assistito direttamente ai fatti.

Infine, il terzo motivo, relativo alla legittima difesa, è stato dichiarato inammissibile perché la questione era stata posta per la prima volta in Cassazione, mentre avrebbe dovuto essere sollevata nei gradi di merito.

Conclusioni

La sentenza ribadisce con fermezza un principio cardine del sistema penale: il proscioglimento per particolare tenuità del fatto è uno strumento di deflazione processuale che non lede il diritto di difesa. La decisione è rimessa alla valutazione del giudice e non necessita del consenso dell’imputato. L’istituto opera come una sorta di “qualificazione giuridica di secondo livello”: una volta stabilito che un fatto costituisce reato e che è attribuibile all’imputato, il giudice può decidere che, data la sua minima offensività, non merita di essere punito. Questa pronuncia conferma la volontà del legislatore e della giurisprudenza di concentrare le risorse della giustizia sui fatti più gravi, senza tuttavia sacrificare le garanzie fondamentali dell’imputato, il cui accertamento di responsabilità rimane il presupposto indispensabile per qualsiasi decisione.

È necessario il consenso dell’imputato per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice può pronunciare d’ufficio la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto senza che sia necessaria una richiesta del difensore o il consenso dell’imputato, una volta che sia stata accertata la responsabilità penale.

L’applicazione della tenuità del fatto presuppone che la responsabilità penale sia stata provata?
Sì. La sentenza chiarisce che il giudizio sulla tenuità del fatto è una valutazione di “secondo livello” che interviene solo dopo che il giudice ha già accertato la sussistenza del reato e la responsabilità penale dell’imputato.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione la questione della legittima difesa?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla legittima difesa poiché la questione è stata dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione e non rientra tra quelle rilevabili d’ufficio in tale sede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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