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Tenuità del fatto: esclusa per condotta abituale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per tentato furto aggravato. La Corte ha confermato che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata in presenza di precedenti penali specifici, che configurano una condotta abituale. Inoltre, ha ribadito l’ampio potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena, quando questa è congrua e motivata secondo i criteri di legge.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tenuità del Fatto: Quando i Precedenti Penali Escludono la Non Punibilità

L’istituto della tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale, consentendo di non punire condotte che, pur costituendo reato, risultano di minima offensività. Tuttavia, la sua applicazione è soggetta a precisi limiti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito come la presenza di precedenti penali specifici possa configurare una ‘condotta abituale’, ostacolando il riconoscimento di tale beneficio. Analizziamo la decisione per comprenderne i principi e le implicazioni.

Il Caso in Esame: Tentato Furto Aggravato e la Condanna

Il caso origina dalla condanna di un’imputata per tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 56, 624 e 625, n. 2, c.p.). La sentenza, emessa dal Tribunale e confermata in Appello, prevedeva una pena di due mesi di reclusione e sessanta euro di multa. La difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e l’eccessività del trattamento sanzionatorio.

La Questione della Tenuità del Fatto di Fronte alla Condotta Abituale

Il primo motivo di ricorso si concentrava sulla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. La difesa sosteneva che il fatto, per le sue modalità, fosse di lieve entità. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, confermando la decisione dei giudici di merito. Il punto cruciale della valutazione è stata la ‘condotta abituale’ dell’imputata.

I giudici hanno sottolineato che la valutazione sulla tenuità del fatto richiede un’analisi complessa e congiunta di tutti gli elementi della fattispecie concreta, secondo i criteri dell’art. 133 c.p., che includono le modalità dell’azione, il grado di colpevolezza e l’entità del danno. Nel caso specifico, sono stati considerati decisivi due elementi:
1. I precedenti penali: L’imputata aveva a suo carico precedenti specifici per reati contro il patrimonio.
2. La particolare abilità: Era stata dimostrata una notevole abilità nell’organizzazione e nell’esecuzione del furto.

Questi fattori, secondo la Corte, non solo aggravano la condotta, ma la qualificano come ‘abituale’, una delle condizioni ostative previste esplicitamente dalla legge per l’applicazione del beneficio.

La Valutazione del Trattamento Sanzionatorio

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla misura della pena, è stato respinto. La Corte ha ricordato che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere è sindacabile in Cassazione solo in caso di manifesta illogicità o arbitrarietà.

Il Ruolo dell’art. 133 del Codice Penale

La Corte ha stabilito che la pena inflitta era stata correttamente giustificata in base ai criteri dell’art. 133 c.p. In particolare, è stata valorizzata:
* La gravità del reato: Desunta dalle caratteristiche dell’azione, dal danno cagionato e dall’intensità del dolo.
* La capacità a delinquere: Correlata alla presenza di tre precedenti penali specifici commessi in diversi ambiti territoriali.

Inoltre, la decisione di non concedere la prevalenza delle attenuanti generiche, ma di ritenerle equivalenti alle aggravanti, è stata considerata logica e congrua, data la personalità negativa dell’imputata e le modalità del fatto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello immune da vizi logici o giuridici. Per quanto riguarda la tenuità del fatto, è stato ribadito che la presenza di precedenti penali specifici è un elemento sufficiente a configurare la condotta abituale, precludendo l’accesso all’art. 131-bis c.p. La particolare abilità dimostrata nel commettere il reato è un ulteriore indice di offensività che giustifica l’esclusione del beneficio. Sul piano sanzionatorio, la Corte ha confermato che una pena non superiore alla media edittale non richiede un’argomentazione eccessivamente dettagliata, essendo sufficiente un sintetico richiamo ai criteri legali, come correttamente fatto nel caso di specie.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: l’istituto della tenuità del fatto non è un meccanismo automatico di depenalizzazione, ma uno strumento da applicare con rigore. La valutazione non può limitarsi al singolo episodio, ma deve estendersi a un giudizio complessivo sulla personalità dell’autore del reato. La presenza di precedenti, specialmente se specifici, assume un peso determinante, trasformando una condotta altrimenti ‘tenue’ in una manifestazione di una ‘abitualità’ criminale che lo Stato ha interesse a sanzionare. La decisione riafferma inoltre l’ampia discrezionalità del giudice di merito nel dosare la pena, purché la sua scelta sia ancorata ai criteri di legge e non risulti palesemente illogica.

Quando può essere esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La causa di non punibilità può essere esclusa quando il comportamento dell’autore del reato è ritenuto ‘abituale’. Secondo la sentenza, tale abitualità può essere desunta dalla presenza di precedenti penali specifici, che indicano una tendenza a commettere reati della stessa indole.

In che modo i precedenti penali influenzano la valutazione sulla tenuità del fatto?
I precedenti penali, in particolare quelli per reati simili, sono un elemento decisivo. Essi permettono di qualificare la condotta come abituale e di valutare negativamente la personalità dell’imputato, due fattori che, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, impediscono l’applicazione del beneficio della non punibilità.

Il giudice deve motivare dettagliatamente una pena se questa non supera la media edittale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando la pena inflitta non è superiore alla media prevista dalla legge per quel reato, non è necessaria un’argomentazione particolarmente dettagliata da parte del giudice. È sufficiente una motivazione sintetica che faccia riferimento ai criteri di valutazione stabiliti dall’art. 133 del codice penale, come la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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