Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44232 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44232 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nata a Verbania il giorno 25/3/1977 rappresentata ed assistita dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza in data 4/3/2024 della Corte di Appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della parte civile NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, depositando conclusioni scritte senza nota spese delle quali ha comunque chiesto la liquidazione essendo la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato; udito il difensore dell’imputata, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 4 marzo 2024 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza in data 26 ottobre 2021 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania, ritenendo applicabile il disposto dell’art. 131bis cod. pen., ha assolto l’imputata NOME COGNOME dal contestato reato di cui all’art. 646 cod. pen. “per particolare tenuità del fatto”, condannandola, peraltro, alla rifusione delle spese del grado (poste in favore dello Stato) alla parte civile NOME COGNOME.
In estrema sintesi, si contesta all’imputata, quale conduttrice di un appartamento di proprietà della COGNOME, di essersi indebitamente appropriata di beni (uno specchio, un porta-asciugamani, una lampada alogena e tende con relativi accessori di sostegno) presenti nell’appartamento alla stessa locato.
Deve solo essere evidenziato che, all’esito del giudizio di primo grado, l’imputata era stata condannata anche al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile da quantificare in separata sede.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore (avv. COGNOME dell’imputata, deducendo:
2.1. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 530 e 533, comma 1, cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Secondo la difesa della ricorrente avrebbe errato la Corte di appello nell’attribuire il fatto-reato alla Carrabba fondando l’esito del giudizio su di una valutazione erronea ed acritica delle prove testimoniali e non applicando il principio in dubio pro reo.
Secondo la difesa della ricorrente le dichiarazioni testimoniali utilizzate per la decisione sarebbero prive di attendibilità, congruenza e coerenza oltre che non corroborate da riscontri oggettivi anche tenuto conto che la persona offesa NOME COGNOME non ha avuto contatti per anni con l’imputata essendo l’immobile nel quale si sarebbero svolti i fatti rimasto nella disponibilità del di lei figlio NOME COGNOME
Erroneamente sarebbe stato, poi, attribuito valore probatorio a fotografie che sono prive di datazione.
Anche il teste COGNOME dovendosi giustificare stante il pericolo di autoincriminarsi, avrebbe reso dichiarazioni contraddittorie circa la proprietà dei beni e circa lo stato dell’immobile sia al momento della locazione che in quello della riconsegna dello stesso da parte dell’imputata, fase alla quale non era presente, in tal modo non potendo constatare quali erano i beni mancanti all’interno dello stesso.
Infine, non si sarebbe tenuto conto della presenza in capo all’imputata della scriminante del consenso dell’avente diritto, avendo la COGNOME dichiarato di
avere asportato lo specchio previa esplicita autorizzazione da parte del COGNOME, situazione che comunque inciderebbe anche sulla configurabilità dell’elemento soggettivo del contestato reato.
2.2. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per motivazione contraddittoria e manifestamente illogica in relazione agli artt. 192 e 530 cod. proc. pen.
Secondo la difesa della ricorrente non sarebbe emersa con chiarezza la proprietà dei beni mobili che costituivano l’arredo dell’abitazione locata e non sarebbe dato comprendere dalla motivazione della sentenza impugnata, che non ha fornito adeguata risposta alle doglianze difensive su punto contenute nell’atto di appello, come la Corte di appello abbia ritenuto configurato in capo all’imputata l’elemento soggettivo del reato in contestazione.
2.3. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per non avere la sentenza impugnata osservato e per avere erroneamente applicato l’art. 175 cod. proc. pen. del quale doveva tenersi conto nell’applicazione della legge penale, concedendo impropriamente la rimessione in termini alla persona offesa per la costituzione di parte civile.
Secondo la difesa della ricorrente avrebbe errato la Corte di appello nell’applicazione dell’art. 175 cod. proc. pen. in quanto i termini processuali sono stabiliti per le parti già presenti nel processo al fine di garantire la stabilità de relative situazioni giuridiche.
Nel caso in esame, in seguito ad opposizione a decreto penale il G.i.p. fissava l’udienza del 3 marzo 2021 per decidere sull’ammissione dell’imputata al rito abbreviato condizionato. Durante tale udienza il Giudice ammetteva l’imputata al rito e rinviava il processo all’udienza del 27 maggio 2021, ordinando alla cancelleria di notificare alla persona offesa NOME COGNOME il rinvio dell’udienza e l’invi a dichiarare la volontà di rimettere la querela, specificando che in mancanza di una dichiarazione espressa, la querela si sarebbe considerata tacitamente rimessa.
La COGNOME sottoscriveva il verbale per presa comunicazione il 26 marzo 2021 ed alla successiva udienza del 27 maggio 2021 la persona offesa, pur presente in udienza, chiedeva di essere rimessa in termine per la costituzione di parte civile sostenendo che la notifica di fissazione dell’udienza non si era perfezionata per asserita irreperibilità della destinataria , nonostante ella fosse residente all’indirizzo indicato.
Il Giudice autorizzava comunque la rimessione in termine rilevando che non vi era prova che la persona offesa avesse avuto tempestiva conoscenza dell’udienza e la costituzione di parte civile veniva quindi formalizzata alla successiva udienza del 30 giugno 2021.
Tutto ciò premesso, rileva la difesa della ricorrente che la Corte di appello ha omesso di considerare che la persona offesa aveva ricevuto notifica della fissazione dell’udienza preliminare ed aveva sottoscritto il verbale per presa comunicazione il 26 marzo 2021, dimostrando, quindi, di essere a conoscenza dell’udienza. La successiva dichiarazione di irreperibilità non trova giustificazione considerando che la notifica era stata correttamente effettuata.
Un tale errore, conclude parte ricorrente, ha comportato una non corretta ammissione nel processo della parte civile che dovrebbe, pertanto, essere esclusa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve, innanzitutto ed in via preliminare rilevarsi che «sussiste l’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza che esclude la punibilità di un reato in applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia che ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi del comma terzo della medesima disposizioné”'(in tal senso Sez. 1, n. 459 del 02/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280226; Sez. 3, n. 18891 del 22/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272877).
Osserva l’odierno Collegio che i primi due motivi di ricorso formulati nell’interesse dell’imputata COGNOME meritevoli di trattazioni congiunta in relazione alla stretta connessione delle doglianze ivi esposte, sono da ritenersi fondati.
Non sfugge che il contenuto della sentenza della Corte di appello non solo risulta carente in quanto non dà compiuta risposta alle numerose questioni nel dettaglio sollevate dalla difesa dell’imputata ma è anche intrinsecamente contraddittoria nella parte in cui, da un lato, sostanzialmente evidenzia di ritenere accertato che la COGNOME si è resa responsabile dei fatti di cui all’imputazione presupposto necessario per l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. in luogo di una pronuncia assolutoria nel merito – e dall’altro introduce elementi di dubbio che, qualora non risolti, avrebbero potuto quantomeno portare ad una pronuncia assolutoria ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Del resto, è la stessa Corte territoriale che ha dato atto:
che la COGNOME ha affermato di avere portato via lo specchio su autorizzazione del COGNOME;
che il COGNOME dopo avere ammesso di aver detto all’odierna ricorrente che tutti i beni contenuti nell’immobile erano di sua proprietà, non ha negato di avere
fornito tale autorizzazione ma si è limitato a dire di “non ricordare” di aver detto alla COGNOME che avrebbe potuto prendere tale bene per sé;
che (testualmente): «non è emersa con altrettanta chiarezza, dato il susseguirsi di equivoci e contenziosi, la proprietà dei beni mobili che costituivano gli arredi dell’abitazione».
A ciò si aggiunge, osserva ancora l’odierno Collegio, che:
nessuna valutazione risulta essere stata effettuata dalla Corte di appello in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in contestazione nonostante che la questione fosse stata posta nell’atto di appello (v. pag. 11 dell’atto);
nessuna valutazione risulta essere stata effettuata dalla Corte di appello in ordine al contrasto esistente tra le dichiarazioni del COGNOME e quanto contenuto in un documento (riportato anche a pag. 9 dell’atto di appello) nella quale il teste ha dichiarato che nel momento in cui ha consegnato l’immobile alla Carrabba lo stesso era privo di mobili e suppellettili, di aver preso lui le tende interne dell’immobile e di avere mandato al macero le tende esterne in quanto usurate;
nessuna motivazione risulta essere stata adottata e di conseguenza nessuna decisione risulta essere COGNOME stata assunta con riguardo all’appropriazione dei beni diversi dallo specchio indicati come oggetto di appropriazione nell’imputazione elevata all’imputata.
Non fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso nel quale la difesa della ricorrente si duole della non corretta ammissione – previa remissione in termine ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. – della costituzione di parte civile.
Si è già detto sopra della tempistica processuale nella quale è avvenuta la costituzione di parte civile e delle ragioni per le quali il Giudice di primo grado ha ritenuto, a causa di una originaria omessa notifica alla stessa, di rimettere la persona offesa in termine per effettuare tale costituzione.
Ritiene la Corte che il G.i.p., nel caso in esame iha operato correttamente e che,quindi tnon sono ravvisabili i lamentati vizi in ordine alla costituzione di parte civile da parte di NOME COGNOME.
E’ consapevole l’odierno Collegio che in relazione alla possibilità di estendere anche alla persona offesa l’istituto della rimessione nel termine di cui all’art. 175 cod. proc. pen.non vi è uniformità di decisioni di legittimità sul punto atteso che secondo un orientamento giurisprudenziale, invero minoritario, al fine di escludere tale possibilità, è stato richiamato il contenuto testuale della norma in esame che facendo riferimento alle “parti private” ha ritenuto che la persona offesa, fino alla costituzione di parte civile non può essere giuridicamente ritenuta “parte” del processo.
Ritiene però l’odierno Collegio di dover aderire all’orientamento opposto secondo il quale «La persona offesa, pur non essendo parte del processo in senso tecnico, può chiedere e ottenere, ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen., di essere restituita nel termine per la costituzione di parte civile» (Sez. 5, n. 34794 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283673 – 01; in senso conforme anche Sez. 3, n. 18844 del 5/2/2019, COGNOME, Rv. 275742; Sez. 6, n. 41575 del 23/2/2018, COGNOME, Rv. 275673, in motivazione; vedi anche Sez. 5, n. 18712 del 22/4/2022, COGNOME, Rv. 283012) , ciò in quanto risultano del tutto condivisibili le argomentazioni che, anche ispirandosi alla giurisprudenza della Corte costituzionale, ed in particolare alla sentenza interpretativa di rigetto n. 55 del 1990, giungono alla conclusione favorevole all’ammissione della parte civile al rimedio di cui all’art. 175 cod. proc. proc. pen.
In detta pronuncia la Corte costituzionale ha, infatti, chiarito come la nuova disciplina processuale concernente la persona offesa si caratterizzi, rispetto al codice previgente, per un complessivo rafforzamento del suo ruolo e per il rapporto di complementarità tra le garanzie per essa apprestate nella fase delle indagini preliminari e quelle riconosciute alla parte civile nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale.
Secondo la Corte costituzionale, poiché la persona offesa può nel corso del procedimento, se danneggiata dal reato, assumere il ruolo di parte civile, la partecipazione all’assunzione di prove nel corso delle indagini preliminari deve essere funzionalmente considerata come anticipazione di quanto le spetterà una volta che la costituzione di parte civile sarà stata formalizzata.
Pertanto, è corretta l’adozione di un criterio interpretativo che faccia ricorso alla normativa in tema di parte civile ove la disciplina concernente la persona offesa non risulti compiutamente delineata.
La stessa Corte costituzionale ha, infatti, depotenziato il dato ermeneutico letterale “limitante”, segnalando – ancora nella pronuncia in esame – come non sia probante l’attribuzione alle sole “parti” della facoltà di cui si discute «dato che il termine “parti” è talvolta usato in modo da ricomprendervi l’offeso dal reato, sia nella delega legislativa per l’adozione del nuovo codice di procedura penale, che nella disciplina codicistica sulla persona offesa» (cfr. gli artt. 93, comma terzo, e 95, comma primo, in tema di intervento degli enti collettivi).
Dai richiamati argomenti, l’orientamento amnnissivo trae la conclusione che se i poteri della persona offesa sono funzionali alla tutela anticipata dei diritti riconosciuti alla parte civile, allora una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 175 cod. proc. pen. impone una interpretazione del termine “parti” in
senso ampio, tale cioè da ricomprendere anche la persona offesa dal reato (cfr. soprattutto lei sentenzd n. 41575 del 2018 I
E ciò a maggior ragione nell’ipotesi in cui la rinnessione in termini sia finalizzata alla costituzione di parte civile, poiché in tal caso la diretta connessione tra esercizio del diritto e legittimazione della “futura” parte processuale è di immediata evidenza.
Per le considerazioni or ora esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione all’affermazione della penale responsabilità della ricorrente con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Si impone, invece, il rigetto del ricorso nel resto.
Stante quanto disposto, la decisione sulla richiesta di liquidazione delle spese della parte civile NOME NOME ammessa al patrocinio a spese dello Stato, deve essere riservata al momento della decisione definitiva del processo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata in relazione all’affermazione della penale responsabilità della ricorrente con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso.
Riserva al definitivo ogni provvedimento sulla richiesta di liquidazione delle spese della parte civile COGNOME NOME.
Così deciso il 13 novembre 2024.