Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26460 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26460 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il 08/02/2000
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. GLYPH Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città del 9 gennaio 2025, con la quale è stata applicata a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di resistenza (capo A), tentato omicidio pluriaggravato degli ag. di PS COGNOME e COGNOME (capo B), e lesioni personali pluriaggravate ai danni dell’ag. sc. Agosto (capo C); in Catanzaro il 31 dicembre 2024.
Dalla concorde ricostruzione operata da entrambi i giudici della fase cautelare i fatti possono ‘essere così brevemente ricostruiti: alle ore 1:45 del 31/12/2024, una pattuglia di P.S., composta dagli ag. COGNOME e COGNOME, percorrendo INDIRIZZO in Catanzaro, notava un veicolo Fiat Punto percorrere il viale a forte velocità; pur avendo gli agenti azionato i dispositivi di segnalazione visivi ed acustici, il veicolo aumentava la velocità; veniva quindi richiesto ai componenti di un’altra volante, gli ag. COGNOME e COGNOME di predisporre un posto di blocco lungo il tragitto che il veicolo stava percorrendo; ivi giunto, il conducente della Fiat Punto, a quel punto riconosciuto nell’odierno indagato, con manovra fulminea e pericolosa, oltrepassava il blocco e a forte velocità si dirigeva nel centro abitato di Catanzaro Lido. Le volanti si ponevano all’inseguimento fino alla INDIRIZZO Cosenza ove, benché accerchiato dalle autovetture di servizio che avevano quasi bloccato l’auto in corsa, il conducente della Fiat Punto, dopo aver accennato a fermare il predetto mezzo, ripartiva nuovamente a forte velocità, indirizzando la marcia volutamente e direttamente all’indirizzo degli operanti COGNOME e COGNOME, che venivano colpiti violentemente con la parte laterale sinistra anteriore dell’auto, per poi rovinare a terra, strisciando sull’asfalto per diversi metri e non venendo attraversati dalle ruote dell’auto solo per pura casualità.
I Giudici della cautela hanno ritenuto corretta la qualificazione giuridica del fatto contestato sul capo B), quale tentato omicidio pluriaggravato, valorizzando l’idoneità causale degli atti compiuti dal COGNOME, e la univocità della loro destinazione; è stata in particolare ritenuta non convincente la versione dei fatti resa dall’indagato, il quale, pur ammettendo la dinamica come descritta nel verbale di arresto, ha purtuttavia affermato che era sua intenzione non quella di uccidere gli agenti, ma solo di sottrarsi al controllo, essendo egli privo della patente di guida. Il Tribunale ha in particolare ritenuto che le modalità esecutive dell’intera sequenza criminosa, repentina e realizzata con veicolo lanciato a forte velocità in direzione degli operanti di P.G., come desunto dalla brusca sterzata delle ruote all’indirizzo dei predetti, conducesse a qualificare correttamente il fatto nei termini di tentato omicidio, essendo configurabile, in capo al COGNOME, il dolo omicidiario nella forma del dolo intenzionale o quantomeno diretto.
In punto di esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto sussistente la sola esigenza cautelare del pericolo di recidivanza (escludendo invece il pericolo di fuga, che era stato ipotizzato dal Giudice per le indagini preliminari in seno all’ordinanza genetica); i Giudici hanno in particolare ritenuto concreto ed attuale il pericolo che il pur incensurato COGNOME, se non sottoposto ad un adeguato presidio cautelare, possa reiterare condotte violente ed antigiuridiche, «in ragione della personalità altamente negativa del prevenuto che ha posto in essere l’intera sequenza criminosa al solo scopo di sottrarsi al controllo di PG, senza curarsi delle conseguenze potenzialmente letali, che ben avrebbe potuto cagionare»; la massima misura carceraria è stata poi valutata come unica idonea e necessaria a salvaguardare il delineato quadro cautelare.
COGNOME Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che articola tre motivi di impugnazione, che qui si enunciano nei termini strettamente necessari alla motivazione, della sentenza, a tenore dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in ordine al dedotto quadro indiziario in relazione al reato di tentato omicidio, nonché violazione di legge, relativamente all’erronea valutazione dei gravi indizi di colpevolezza ed in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo alternativo in relazione al reato sub capo B).
Il fatto reato di tentato omicidio è insussistente sia per quel che concerne l’elemento oggettivo dell’idoneità della condotta, sia per quel che concerne l’elemento soggettivo del reato. Il fatto, così come descritto in imputazione, non integra il contestato reato, come si evince dalla circostanza che gli agenti, al momento della ripartenza dell’auto dell’indagato, erano posizionati vicino al finestrino lato guida, dal che si desume che il veicolo non fu diretto dal suo conducente contro i due agenti di P.S., che altrimenti sarebbero stati investiti non con la parte laterale anteriore sinistra dell’auto, ma con la parte anteriore centrale della stessa autovettura; peraltro, la non gravità delle lesioni dimostra inequivocabilmente che i due agenti non furono colpiti dalla parte laterale dell’autovettura ma furono solo sfiorati da quest’ultima; le lesioni, di natura escoriativa, furono causate dall’azione degli agenti consistita nel buttarsi repentinamente per terra, in quanto spaventati dall’inaspettata ripartenza dell’auto, sbattendo verosimilmente le ginocchia contro l’asfalto.
Quando all’elemento soggettivo, il Tribunale ha ritenuto sussistente il dolo omicidiario, nella forma del dolo diretto intenzionale o alternativo, senza prendere in considerazione le dichiarazioni confessorie rese dall’indagato, che ha mostrato sincero
ravvedimento in ordine alla propria azione inconsulta, escludendo comunque di avere avuto intenzioni omicidiarìe nei confronti degli agenti.
I Giudici avrebbero dovuto, più correttamente, escludere alcun tipo di dolo in capo all’indagato, o, al più, ravvisare il dolo eventuale, incompatibile con il delitto di omicidio tentato.
Censura, infine, la difesa le lacune investigative che hanno caratterizzato l’indagine, non essendo stati acquisiti i videofilmati delle telecamere installate sui luoghi dei fatti.
2.2. COGNOME Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle ritenute sussistenti esigenze cautelari, essendo onere del Giudice quello di individuare e motivare, in termini concreti, ed attuali e non meramente congetturali, in ordine all’esistenza di occasioni prossime e favorevoli alla commissione di nuovi delitti della stessa specie di quello per cui si procede.
2.3. GLYPH Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione di una misura meno afflittiva di quella carceraria, prima tra tutte quella degli arresti domiciliari ton braccialetto elettronico, certamente idonea a salvaguardare le eventuali residue esigenze cautelari, atteso lo stato di incensuratezza dell’indagato.
COGNOME Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile e sconta la sua natura fattuale e confutativa delle argomentazioni espresse nell’impugnata ordinanza, con la quale peraltro non si confronta compiutamente.
1.1. La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
1.2. In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o fa mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno
della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01).
In riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, questa Corte è quindi priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, COGNOME, Rv. 221001; Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000 , Audino, Rv. 215828 ), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, COGNOME, Rv. 215331; Sez. 1, n. 1496 dell’11/03/1998, COGNOME Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391).
Giova sul punto richiamare anche il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
GLYPH Applicando i principi generali al caso in esame, va rilevato che, nel caso in esame, non si riscontra alcuna violazione di legge né vizio motivazionale rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: il ricorrente reitera i medesimi motivi di doglianza sollevati con sede di riesame cautelare, e decisi con il provvedimento impugnato con motivazione congrua, scevra da aporie logiche, in relazione alla quale il COGNOME omette di confrontarsi.
Il primo motivo è generico, aspecifico oltre che manifestamente infondato.
Il Tribunale del Riesame ha ritenuto integrato il delitto di tentato omicidio contestato al capo B) attraverso una valutazione complessiva di tutti gli elementi emersi, peraltro direttamente percepiti dagli agenti di polizia, e trasfusi nel verbale di arresto; si è in particolare ritenuto che il mezzo di offesa utilizzato (l’autovettura) e la direzione dello stesso proprio all’indirizzo degli agenti COGNOME e COGNOME, nel frattempo scesi dalle vetture di servizio, e le modalità complessive della manovra posta in essere dall’indagato, repentina e realizzata lanciando il veicolo a forte velocità proprio in direzione dei predetti operanti, come desunto dalla brusca sterzata delle ruote all’indirizzo degli stessi, costituisse, con giudizio ex ante, condotta idonea ed univocamente diretta a cagionare la morte degli agenti. Peraltro, sottolineava il Tribunale come gli agenti fossero stati effettivamente colpiti con la parte laterale sinistra anteriore dell’auto, rovinando a terra, strisciando sull’asfalto per diversi metri e non venendo attraversati dalle ruote per pura casualità.
Del pari, immune da vizi logici risulta l’argomentazione spesa dai Giudici della cautela in relazione alla ritenuta sussistenza in capo all’indagato dell’elemento soggettivo, individuato nel dolo alternativo: si è in particolare ritenuta implausibile la versione resa – dall’indagato, e reiterata nel motivo di ricorso in esame, per cui il suo scopo sarebbe stato solo quello di sott l àrsi al controllo, non rendendosi conto di aver messo in pericolo gli operanti. Il Tribunale del Riesame ha in particolare osservato come detta versione risulti confutata dalla medesima dinamica del fatto, risultando incontroverso che il Passalacqua, al fine di sottrarsi al controllo, abbia coscientemente e volontariamente cercato di investire gli agenti COGNOME e COGNOME, lanciando volutamente l’auto a forte velocità al loro indirizzo, sì da colpirli e farli rovinare a terra, proseguendo poi noncurante la marcia, senza prestare soccorso agli agenti feriti.
Si tratta di valutazioni immuni da vizi logici e idonee a giustificare la gravità indiziaria in ordine al reato contestato al ricorrente, che quest’ultimo ha censurato esclusivamente sul piano dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi a carico, proponendone una lettura alternativa, non consentita, come ricordato, nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575).
Quanto alle censure inerenti alla sussistenza delle esigenze cautelari, esse risultano prettamente generiche e confutative delle argomentazioni del collegio.
Il Tribunale ha dato congruamente conto di quali siano gli elementi fondanti l’attualità del pericolo della reiterazione del reato, valorizzando la gravità del fatto, la spregiudicatezza e la pervicacia palesate dall’indagato nella complessiva condotta posta in essere, ed osservando come, a fronte di una personalità così allarmante, irrilevante fosse lo stato d incensuratezza del prevenuto. Gli argomenti valorizzati dal Tribunale per ritenere concreto il pericolo di recidivanza appaiono del tutto rispettosi dei consolidati principi già affermati da questa Corte per cui gli indici di pericolosità concreta ed attuale di ricaduta nel delitto possono essere desunti dalle modalità del fatto per cui si procede (cfr. ex pluris, Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, COGNOME, Rv. 271216 – 01).
Manifestamente infondato è infine il terzo motivo con il quale il ricorrente si duole della ritenuta adeguatezza della sola misura carceraria.
Con motivazione del tutto adeguata e logica, il Tribunale ha evidenziato come le evidenziate esigenze cautelari possano essere tutelate solo con la massima misura carceraria, formulando – con motivazione scevra da fratture logiche – la prognosi della mancata osservanza, da parte dell’indagato delle prescrizioni a lui imposte, sulla scorta della «trasgressività massima palesata dal ricorrente nella vicenda in disamina, tale da indurre a ritenere il medesimo del tutto incapace di controllare i propri impulsi e, dunque, conseguentemente, non in grado di spontaneamente rispettare le prescrizioni connesse ad un regime di auto-custodia»; argomenti con i quali il ricorrente omette di confrontarsi.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/04/2025