Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5516 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5516 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME ( CODICE_FISCALE ) nato a TARANTO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 10/01/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME con requisitoria scritta ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; con memoria scritta l’AVV_NOTAIO per la parte civile NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, la conferma delle statuizioni civili e la condan alle spese del presente grado di giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del G.i.p. del Tribunale di Ravenna, che dichiarava, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME colpevole del tentato omicidio di NOME COGNOME (capo a), di detenzione e porto illegali della pistola di tipo automatico utilizzata per il primo delitto (capo b) e di evasione (capo c) e, pertanto, esclusa la contestata recidiva, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione e tenuto conto della diminuente per il rito, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione, alle pene accessorie e al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle prove.
La difesa si duole che la sentenza di appello si sia appiattita sulle valutazioni del primo Giudice e abbia travisato le risultanze probatorie. Rileva che la circostanza relativa alla conoscenza ovvero conoscibilità della presenza di NOME COGNOME all’interno del capanno ove vennero indirizzati gli spari non emerge da alcun atto processuale e anzi è contraddetta dall’affermazione della persona offesa di non aver visto lo sparatore.
2.2. Col secondo motivo di ricorso il difensore lamenta vizio di motivazione in relazione al tentato omicidio.
Osserva che COGNOME ha dato prova di totale inattendibilità laddove afferma falsamente di non conoscere il nome della NOME, nonostante fosse avvezzo a esperienze sessuali di gruppo o comunque a equivoci e foschi rapporti nei quali era coinvolta anche la donna.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione si denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione per il tentato omicidio.
Si osserva che nella sentenza impugnata non si fa mai riferimento alla circostanza che COGNOME indirizzava i colpi verso la persona offesa, ma piuttosto a quella che i colpi erano diretti verso l’abitazione della persona offesa e all’erronea circostanza della conoscenza dello sparatore della presenza della persona offesa. Si aggiunge che il fatto che nessuno dei colpi si avvicinò al bersaglio è riscontrato dal rinvenimento delle ogive
()1
testimoniante l’assoluta casualità delle detonazioni e, quindi, l’equivocità degli atti posti in essere da COGNOME, da leggere come volti ad un’esclusiva finalità intimidatoria.
2.4. Col quarto motivo di ricorso viene eccepito vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Si rileva che i precedenti penali di COGNOME, su cui fa leva la Corte territoriale, sono risalenti e per il primo sono stati dichiarati estinti la pena e ogni effetto penale per esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale; e che entrambe le sentenze sottovalutano lo stato di profonda indigenza del ricorrente, che al momento della commissione dei fatti era sottoposto agli arresti domiciliari per un furto di bene di poco valore, nonché le dichiarazioni confessorie autoaccusatorie del suddetto e il suo percorso di resipiscenza durante il processo.
Il difensore, alla luce di tali motivi, insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. 28 ottobre 2020, n.137, il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, con requisitoria scritta, chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso; la difesa della parte civile NOME AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, conclude, con memoria depositata nei termini, per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni civili con condanna dell’imputato alle spese sostenute da detta parte, di cui all’allegata nota.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. I primi tre motivi di ricorso sono infondati.
Essi vertono essenzialmente sull’illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla conoscenza da parte del ricorrente della presenza della persona offesa nel luogo in direzione del quale lo stesso aveva esploso i colpi d’arma da fuoco e comunque alla idoneità e non equivocità degli atti dal medesimo posti in essere a determinare l’evento letale, secondo il paradigma del tentato omicidio. Il difensore ritiene che la condotta ascritta a COGNOME sia stata ricostruita illogicamente sulla base di circostanze mai emerse e ricondotta nell’alveo
Cià’
del tentato omicidio, nonostante non risulti che i colpi d’arma da fuoco fossero indirizzati verso la persona offesa.
La Corte di appello di GLYPH Bologna, GLYPH lungi dal conformarsi pedissequamente alle valutazioni del primo Giudice, come da doglianza difensiva, si confronta con le censure contenute nell’appello e illustra in modo logico e giuridicamente corretto le proprie statuizioni adesive, facendo buon governo dei principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sul tentato omicidio.
La Corte a qua si sofferma in primo luogo sulla piena credibilità della persona offesa, NOME COGNOME, rilevando che il suo narrato, sempre lineare e coerente, ha trovato molteplici riscontri negli esiti delle indagini, e che è infondato l’assunto difensivo secondo cui il suddetto avrebbe affermato falsamente di non conoscere il nome di NOME COGNOME, avendo in realtà sempre dichiarato che la donna che lo aveva avvisato dell’arrivo del marito presso il suo capanno la conosceva come la moglie di COGNOME e dagli atti non emerge alcun elemento da cui desumersi in modo univoco che egli conoscesse il nome della donna.
Passando alla valutazione delle condotte posta in essere da COGNOME, rileva che non v’è dubbio che costituiscano atti idonei e diretti in modo univoco a causare il decesso di NOME COGNOME. Osserva a tale riguardo che l’imputato si procurava una pistola automatica carica e funzionante, evadeva dagli arresti domiciliari e si recava presso l’abitazione della persona offesa, ove esplodeva una serie di colpi sia diretti contro la stessa sia all’interno della stessa, ben sapendo che COGNOME aveva cercato riparo all’interno del capanno, ma non riuscendo nel suo intento omicida solo perché non sapeva esattamente in che punto si trovasse, e perché la persona offesa ancor prima dell’inizio della sparatoria aveva contattato le forze dell’ordine (telefonando al NUMERO_TELEFONO). Aggiunge che è certa l’idoneità a raggiungere lo scopo letale della condotta complessiva, sia per i colpi sparati in direzione del capanno all’interno del quale si trovava la vittima, sia per l’imprevedibilità della reazione di COGNOME (che è rimasto “accovacciato in basso”, ma che avrebbe potuto reagire anche diversamente ed essere attinto dai colpi), sia per l’esplosione dei colpi ad altezza d’uomo (tanto da danneggiare la porta del bagno subito dopo la maniglia); e che proprio le modalità della condotta (esplosione di più colpi di pistola in direzione e all’interno dell’abitazione di COGNOME, anche ad altezza d’uomo e all’insaputa dell’esatta collocazione della vittima, con contestuale pronuncia della frase “ti sparo in bocca uomo di merda”),
escludono la finalità solo intimidatoria dedotta dall’imputato atteso che tali modalità sono chiaramente sintomatiche del dolo diretto (nella forma del dolo alternativo, come specificato dalla sentenza del G.i.p.) sotteso all’azione di COGNOME.
La sentenza di primo grado, la cui motivazione deve ritenersi un unicum con quella di secondo grado integrandosi vicendevolmente, ricostruisce attentamente i fatti, a partire dall’avvertimento dato a COGNOME da NOME COGNOME circa l’arrivo del marito presso il suo capanno, particolarmente infuriato ed armato. Richiama, inoltre, l’esito del sopralluogo effettuato dalla Polizia giudiziaria all’esterno e all’interno del capannone, documentante altresì l’effrazione del vetro della finestra del bagno al cui interno veniva rinvenuto un bossolo la cui posizione evidenziava un angolo di tiro diretto verso il basso, il rinvenimento di un altro bossolo nell’adiacente locale soggiorno, a riprova dell’univoco intento dell’aggressore, che dopo avere sparato dall’esterno del capanno provava a colpire il bersaglio attraverso la porta del bagno sparando all’interno del luogo ove si era rifugiata la vittima. Rileva che sulla base degli accertamenti svolti il primo colpo risultava esploso quando COGNOME si trovava ancora all’esterno del capanno (come dal medesimo confermato) e che i colpi successivi erano esplosi quando si era rifugiato all’interno. Osserva, quindi, detta pronuncia come l’ipotesi alternativa suggerita dal ricorrente appare non in linea con le risultanze del sopralluogo coincidenti con la ricostruzione offerta dalla persona offesa.
A fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, anzi coerenti con le risultanze investigative e conformi al dato normativo che si assume violato, i motivi di ricorso, insistendo su un insussistente appiattimento sulle argomentazioni del primo Giudice da parte dei Giudici di appello, sulla non credibilità della persona offesa e sulla non idoneità e non univocità degli atti posti in essere, nonché sull’ipotesi alternativa con cui i giudici di merito risultano essersi confrontati, si rivelano infondati.
1.2. Manifestamente infondate, oltre che aspecifiche e non consentite, sollecitando una riconsiderazione di elementi fattuali, risultano, infine, le doglianze sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.
A fronte, altresì, di una motivazione, che evidenzia come corretta sia la scelta del primo Giudice, che ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in considerazione delle dichiarazioni parzialmente confessorie rese dall’imputato, del minimo risarcimento elargito e del contegno
complessivo serbato nel corso del processo, di non operare la riduzione ex art. 62-bis cod. pen. in misura massima. In ragione, invero, dell’elevata gravità del tentato omicidio, quale si evince dalla tipologia di arma impiegata, dai plurimi colpi sparati e dalle modalità esecutive, nonché della spiccata capacità a delinquere di COGNOME emergente dai suoi plurimi precedenti penali (per spaccio, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni aggravate, furto pluriaggravato, porto ingiustificato di armi).
Trascura, invero, il ricorrente che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
L’imputato va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME AVV_NOTAIO, che si ritiene equo liquidare in considerazione dell’impegno professionale profuso come da dispositivo.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2023.