Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20546 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20546 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricNOME proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/09/2023 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette, nel procedimento a trattazione scritta, e conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricNOME;
lette le conclusioni rassegnate con memoria dall’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione;
RITENUTO IN FATI -0
Con ordinanza emessa il 14 settembre 2023, il Tribunale di Napoli ha accolto l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord avverso l’ordinanza resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord ilÌO giugno 2023 con cui – con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, indagato per il reato di concNOME in tentato omicidio aggravato in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo A) e per il reato di rissa aggravata (capo B) – aveva parzialmente accolto la richiesta di applicazione di misura cautelare custodiale avanzata dai Pubblico ministero e, riqualificato il reato sub A) ai sensi degli artt. 112, 583, 585, 61, n. 11, cod. pen., aveva applicato all’indagato la misura degli arresti domiciliari.
Il Tribunale, in accoglimento dell’appello, ha diversamente qualificato il fatto sub A), riconsiderandolo quale tentato omicidio, e ha applicato all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere, con sospensione dell’esecuzione del provvedimento fino alla definitività dello stesso.
1.1. Il Giudice per le indagini preliminari, determinandosi sul punto cruciale, dopo aver ricostruito l’episodio, aveva ritenuto che il primo reato andasse qualificato come reato di lesioni volontarie, non apprezzando come sussistente il profilo oggettivo e quello soggettivo del tentato omicidio, giacché, valutando gli elementi disponibili, aveva valorizzato il carattere superficiale delle ferite da taglio e la natura accidentale dei colpi di pistola esplosi dal concorrente NOME, in quanto determinati dal suo tentativo di recuperare l’arma.
1.2. Il Tribunale, valutando l’appello proposto dal Pubblico ministero, ha invece optato per la diversa qualificazione di tentato omicidio da annettere al reato e ne ha tratto il corollario, considerato consequenziale, in punto di valutazione di esigenze cautelari e di misura necessaria per il loro contenimento.
Avverso questa ordinanza ha proposto ricNOME il difensore di COGNOME chiedendone l’annullamento e affidando il mezzo ad un unico, articolato motivo con cui lamenta il vizio della motivazione in relazione all’applicazione dei parametri indicati dall’art. 273 cod. proc. pen., il travisamento della prova e la violazione dell’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen.
La difesa censura l’equiparazione della posizione dell’indagato con quella dell’altro indagato NOME COGNOME, destinatario di ordinanza applicativa della misura custodiale carceraria, del tutto apodittica essendo stata tale assimilazione, che aveva confuso la posizione di NOME, da vittima dell’agguato messo in opera dai COGNOME a pianificatore di un atto aggressivo ai loro danni.
In tal senso, la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice per le indagini
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preliminari, sulla scorta della chiara ricognizione delle immagini registrate dalle videocamere in loco, aveva dato conto che erano stati i COGNOME a placare l’indagato che chiamato in aiuto il fratello, senza che sussistesse alcuna prova che questi detenesse una pistola, da lui usata nello scontro con i COGNOME.
Nessuna sfida, dunque, aveva accettato l’indagato: piuttosto, egli era stato aggredito e aveva chiamato il fratello, il quale lo aveva raggiunto e, nel cNOME dell’aggressione da loro patita, era stato quest’ultimo ad aver esploso un colpo di pistola, ma tale circostanza rappresentava un fatto non imputabile al ricorrente.
Quanto alle lesioni da lui cagionate a NOME COGNOME, esse, secondo la difesa, erano state l’esito del suo atteggiamento difensivo, finalizzato a impedire a costui di impossessarsi della pistola che intanto NOME aveva fatto cadere in terra; per la stessa ragione l’azione difensiva era stata estesa contro NOME COGNOME. In ogni caso, l’assenza della volontà omicida era dimostrata dal fatto che, recuperata la pistola, i due indagati erano fuggiti senza usare l’arma: ciò si afferma in quanto dai filmati dimostrava che la ricostruzione del Tribunale era frutto di illazioni e non aveva tenuta logica.
Inoltre, la difesa sottolinea che la misura cautelare applicata dal Giudice per le indagini preliminari era quella adeguata e proporzionata al fatto, comunque qualificato, considerata anche l’assenza di precedenti penali e giudiziari a carico di NOME, non essendo del resto prospettabile una nuova contesa del tipo di quella in cui si era verificato l’episodio oggetto di procedimento.
Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre del 2020, n. 176, come richiamato dall’art. 16 d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15, nonché, ulteriormente, dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, poi modificato dal d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, ha chiesto il rigetto del ricNOME: i giudici dell’appello cautelare hanno chiarito i tratti salien dell’aggressione compiuta, con coltello e pistola, dai coindagati ai danni dei due antagonisti, con modalità sintomatiche del dolo omicidiario, quanto meno alternativo, desumibile anche dal numero dei colpi esplosi con l’arma da fuoco.
Il difensore dell’indagato ha rassegnato memoria concludendo per l’accoglimento del ricNOME ed evidenziando che occorre distinguere fra la posizione di NOME e la posizione del coindagato NOME, il quale aveva peraltro esploso un colpo di pistola a scopo intimidatorio, prima di far cadere in terra l’arma, nonché ribadendo che la partecipazione di NOME alla colluttazione era avvenuta in prospettiva soltanto difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’impugnazione non è ammissibile.
Giova rilevare che il Tribunale ha premesso che già nel procedimento cautelare relativo alla posizione di NOME COGNOME si era pervenuti alla conclusione della sussistenza della gravità indiziaria in ordine al reato di tentato omicidio, non di lesioni personali.
Da un lato, l’analisi delle immagini ritratte dalle telecamere in funzione sul luogo del fatto e, dall’altro, la considerazione delle ferite che nello scontro avevano riportato NOME e NOME COGNOME hanno condotto i giudici dell’appello cautelare a ritenere sussistente la gravità indiziaria relativamente al più grave delitto di tentato omicidio: NOME COGNOME aveva riportato una ferita da arma da fuoco alla coscia destra, una ferita da arma da taglio alla coscia destra, una ferita lacero-contusa all’emitorace destro e altre due piccole ferite lacero-contuse sempre all’emitorace destro; NOME COGNOME aveva riportato una lesione all’ipocondrio sinistro, sanguinante con ematoma, e ferita di parete addominale anteriore.
Dalla ricostruita dinamica era risultato che l’attuale indagato aveva sollecitato l’intervento del fratello per affrontare i COGNOME con il suo ausilio Entrambi i fratelli erano, quindi, andati armati allo scontro e, mentre l’attuale indagato aveva ferito entrambi i COGNOME con il coltello, NOME aveva esploso un colpo di pistola che aveva attinto NOME COGNOME.
L’uso coordinato delle armi è stato interpretato come elemento dimostrativo del fatto che i coindagati si erano risolti ad aggredire, con l’impiego di quegli strumenti, i COGNOME, dopo averli cercati, ed essi lo avevano fatto essendo consapevoli di tutte le conseguenze che avrebbero potuto determinarsi.
La gravità indiziaria inerente alla posizione dell’indagato è stata, in tal senso, individuata nel suo pieno coinvolgimento nella rissa e nel concNOME nel tentativo di omicidio per avere egli istigato il complice, allertandolo e poi raggiungendolo per sfidare i COGNOME, per essersi, a sua volta, armato, al pari del fratello, per essersi poi posto alla ricerca degli antagonisti e per avere, infine, nella colluttazione, attinto ripetutamente gli avversari con il coltello: i particolare, l’imputato aveva colpito NOME COGNOME per c:onsentire a NOME COGNOME di recuperare la pistola, da quest’ultimo successivamente utilizzata per esplodere i tre colpi in direzione della vittima; in questo modo, l’imputato aveva svolto la funzione di supporto al concorrente, intervenendo attivamente in suo aiuto.
Il modificato inquadramento giuridico del reato sub A) ha indotto il Tribunale a considerare inadeguata la misura degli arresti domiciliari in luogo della misura coercitiva inframuraria; il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie è stato reputato sussistente in grado rilevante, convergendo in tal senso l’indole violenta dell’indagato, il ruolo per nulla marginale da lui giocato nella commissione del tentativo di omicidio e il collegamento del medesimo con ambienti criminali, desumibile dalla capacità di procurarsi l’immediata disponibilità di armi.
Il complessivo compendio valutato ha anche indotto il Tribunale a ritenere tutte le misure diverse dalla custodia inframuraria inadeguate, allo stato, rispetto al fine di assicurare la tutela delle esigenze cautelari emerse.
In effetti, i giudici dell’appello cautelare hanno giustificato la riqualificazion imperniando il loro ragionamento sulla base dell’articolato inquadramento della dinamica dell’episodio, inquadramento coerentemente sfociato nella considerazione della sussistenza della gravità indiziaria del concNOME da parte dell’indagato nel tentativo di omicidio: e tale concNOME è stato reputato indicativo dell’allarmante pericolosità anche di questo concorrente, pur se lo sviluppo dell’azione aveva contemplato come atto più grave quello dell’esplosione dei colpi di pistola da parte del di lui fratello all’indirizzo di NOME COGNOME.
È, poi, vero che la sostituzione della misura cautelare non costituiva conseguenza derivante in modo automatico dalla nuova qualificazione del reato sub A), ma è parimenti certo che la sua necessità è stata, in concreto, giustificata in modo congruo e coerente, in relazione agli indicatori di pericolo espressi dalla condotta e dalla personalità dell’indagato.
A fronte del richiamato percNOME argomentativo, il ric:NOME si presenta in larga parte orientato alla rivalutazione degli indizi e – sebbene la difesa si sia sforzata di negarlo – incline a prospettare l’apprezzamento alternativo in forza di diversi contenuti di merito.
3.1. In particolare, tutte le considerazioni svolte dal ricorrente, sia nell’atto di impugnazione, sia nella susseguente memoria, al fine di fornire un’interpretazione dell’azione aggressiva – diversa da quella adeguatamente illustrata dai giudici del merito cautelare – sulla scorta di un’alternativa analis delle immagini fissate dalle telecamere in funzione sul luogo del fatto sfociano in modo evidente nella rivalutazione di merito del quadro indiziario: ambito inibito al vaglio di legittimità.
La condotta dell’indagato, per come ripresa nel filmato registrato dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, analizzata dal personale di polizia giudiziaria e poi delibata dal giudice del merito cautelare,
integra il riferimento a un elemento idoneo a possedere la valenza dell’indizio grave, oltre che preciso, a suo carico. Soprattutto, per quel che qui rileva, anche la valutazione di questo è rimessa al giudice di merito, con esito che, se sorretto da congrua e non illogica motivazione, non è censurabile in cassazione (v. per riferimenti a fattispecie analoga Sez. 2, n. 42041 del 27/06/2019, Impolito, Rv. 277013 – 01).
Di conseguenza, la lettura della condotta di NOME patrocinata dalla difesa in senso primariamente difensivo e, comunque, priva di intento omicida, comunque in termini nettamente scissi da quella inerente alla posizione del coindagato NOME – non può non essere relegata, in relazione all’analizzato compendio indiziario, all’ambito escluso dalla verifica di legittimità.
3.2. Poi, la critica mossa dal ricorrente, con la contestazione della necessità – ritenuta dai giudici dell’appello cautelare – di rivalutare lo spessore delle esigenze cautelari, di carattere specialpreventivo, per gli effetti relativi all’individuazione della misura adeguata a tutelarle, si profila meramente confutativa.
Essa, limitandosi ad affermare l’assenza di automatismo tra aggravamento della fattispecie delittuosa e aggravamento della misura cautelare, risulta aspecifica, in quanto non affronta il nucleo del discNOME giustificativo esposto dal Tribunale, volto a sottolineare, in modo articolato, l’emersione del più alto grado di pericolosità da riconnettersi alla posizione di NOME, in ragione dell’accertata spregiudicatezza connotante la condotta dell’indagato, le cui modalità e circostanze sono state valutate, con argomentazioni congrue e coerenti, come indicative di una personalità priva di freni inibitori, a livello tale che, nel contes dato, si è considerato che esclusivamente la misura custodiale carceraria risulta idonea a contenere il concreto e attuale pericolo del suo dispiegamento deviante.
Non è superfluo, in tale snodo, ribadire che il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.) deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, in relazione ai canoni della logica e ai principi di diritto, sempre in relazione al contenuto argomentativo del provvedimento impugnato, ma non può accedere alle censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (per tutte, Se2:. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 – 01).
3.3. Posto quanto precede, diviene conseguente concludere che il Tribunale del riesame, in sede di appello, ha esposto con motivazione adeguata e lineare la soluzione avversata dal ricorrente: e, una volta assodata l’adeguatezza della
motivazione resa dai giudici dell’appello cautelare, deve considerarsi incensurabile la conseguenza trattane in punto di nuova individuazione della misura cautelare, dopo che il Pubblico ministero aveva sollevato specificamente la questione della qualificazione del fatto oggetto dell’imputazione provvisoria e degli effetti da farne derivare in tema di apprezzamento del grado delle esigenze cautelari da presidiare.
Siccome questo approdo è stato contestato da COGNOME in modo rivalutativo e generico, l’atto di impugnazione non supera il vaglio di ammissibilità.
4. Il ricNOME deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma alla Cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si fissa equamente in euro tremila.
Determinando la presente decisione l’assunzione di efficacia, per la raggiunta definitività, del provvedimento impugnato, segue la disposizione alla cancelleria di dare cNOME agli adempimenti di cui all’art. 28 del Regolamento di esecuzione del codice di rito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 30 gennaio 2024
Il Consiliere estensore l,( i g
PresideRte