LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tentato omicidio: quando un’aggressione lo diventa?

Un uomo, condannato per aver accoltellato un’altra persona al collo, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo di riqualificare il reato in lesioni personali. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna per tentato omicidio. La decisione sottolinea che l’intento di uccidere (‘animus necandi’) non si desume solo dalla gravità della ferita, ma da un’analisi complessiva che include l’arma usata, la zona vitale colpita, le minacce verbali e la condotta dell’aggressore.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio o lesioni? La Cassazione chiarisce i criteri

Stabilire il confine tra lesioni personali aggravate e tentato omicidio è una delle questioni più complesse del diritto penale. La differenza non risiede tanto nell’esito dell’azione, quanto nell’intenzione dell’aggressore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi dettagliata degli indizi da cui desumere la volontà di uccidere, il cosiddetto animus necandi, confermando che la valutazione non può limitarsi alla sola gravità della ferita inferta.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per il tentato omicidio di un’altra persona. L’aggressione era avvenuta utilizzando un coltello a serramanico con una lama di 8 centimetri. La vittima, disarmata, era stata colpita al collo, in un punto distante appena un centimetro dalla vena giugulare. Durante l’azione, l’aggressore aveva proferito frasi inequivocabili come: «ti faccio vedere come taglia, ti ammazzo». Successivamente, per crearsi un alibi, si era auto-inferto una ferita al ventre, sostenendo falsamente di aver reagito a un accerchiamento.

L’analisi della Corte sul tentato omicidio

La difesa dell’imputato aveva basato il ricorso sulla tesi della mancata riqualificazione del reato in lesioni personali. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avevano erroneamente dedotto l’intento omicida basandosi esclusivamente sulla natura della lesione, che a suo dire era superficiale e in una zona non vitale. La Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per genericità, in quanto mera ripetizione di argomenti già respinti in appello.

Gli Elementi Indicativi dell’Animus Necandi

I giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva correttamente ricostruito l’intenzione dell’aggressore basandosi su un quadro probatorio completo e coerente. Gli elementi valorizzati sono stati molteplici e convergenti nel dimostrare la volontà di uccidere:

* La natura dell’arma: Un coltello a serramanico con lama da 8 cm è uno strumento intrinsecamente idoneo a causare la morte.
* Il distretto corporeo attinto: Il collo è universalmente riconosciuto come una zona vitale. Il fatto che il fendente sia arrivato a un solo centimetro dalla vena giugulare è stato ritenuto un indicatore cruciale della direzione e della finalità del colpo.
* Le parole pronunciate: La frase «ti ammazzo», proferita durante l’aggressione, costituisce una manifestazione esplicita dell’intento omicida.
* La condotta successiva: L’essersi procurato una ferita per simulare una reazione a un’aggressione è stato interpretato come un tentativo di depistaggio, incompatibile con una condotta meramente lesiva e indicativo della piena consapevolezza della gravità del proprio gesto.
* La sproporzione delle forze: La vittima era disarmata, evidenziando la natura prevaricatrice e non difensiva dell’aggressione.

Le motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: per distinguere il tentato omicidio dalle lesioni personali, è necessario condurre una valutazione globale e approfondita di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del caso. Limitarsi a considerare solo l’entità delle lesioni sarebbe un approccio riduttivo e potenzialmente fuorviante. L’intenzione dell’agente (animus necandi) deve essere indagata attraverso l’analisi dell’intera azione criminosa. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica, coerente e priva di vizi, poiché ha saputo collegare tutti gli indizi raccolti (arma, zona colpita, parole, condotta successiva) in un percorso argomentativo ineccepibile che conduceva univocamente alla qualificazione del fatto come tentato omicidio.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma che la qualificazione giuridica di un’aggressione fisica dipende da un’attenta ricostruzione della volontà dell’autore del reato. L’intento di uccidere può essere provato anche in assenza di lesioni mortali, purché l’azione, valutata nel suo complesso, risulti oggettivamente idonea a cagionare la morte e soggettivamente diretta a tale scopo. La decisione rappresenta un importante monito: la giustizia valuta non solo il risultato di un’azione, ma anche e soprattutto l’intenzione che la muove, basandosi su un mosaico di prove fattuali che, lette insieme, rivelano il vero scopo dell’aggressore.

Come si distingue il tentato omicidio dalle lesioni personali gravi?
La distinzione si fonda sull’intenzione dell’aggressore, nota come ‘animus necandi’ (volontà di uccidere). Questa intenzione viene accertata non solo dalla gravità della ferita, ma da un’analisi complessiva di vari elementi, come il tipo di arma usata, la parte del corpo colpita, la forza impressa, le parole pronunciate e il comportamento tenuto prima e dopo l’aggressione.

Quali elementi ha considerato la Corte per confermare l’intento di uccidere in questo caso?
La Corte ha basato la sua decisione su un insieme di fattori convergenti: l’uso di un coltello a serramanico con una lama di 8 cm, l’aver mirato a una zona vitale come il collo (a un solo centimetro dalla vena giugulare), la minaccia esplicita ‘ti ammazzo’ e la condotta successiva dell’aggressore, che si è auto-ferito per simulare una legittima difesa.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché ritenuto generico. La difesa si è limitata a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte nel giudizio d’appello, senza sollevare specifiche critiche logiche o giuridiche contro le motivazioni della sentenza impugnata, che erano invece state ritenute complete e coerenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati