Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25079 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25079 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CASSINO il 01/07/1991
avverso la sentenza del 11/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza in preambolo, con la quale la Corte di appello di Roma ha confermato l’affermazione responsabilità nei suoi riguardi per il delitto di tentato omicidio ai danni Mamadou e denuncia due motivi;
visto il primo motivo, con il quale la difesa lamenta la man riqualificazione del tentato omicidio nel reato di lesioni personali, eviden come la Corte d’appello, discostandosi dal principio affermato d giurisprudenza di legittimità in tema di criterio distintivo tra l’omicidio vo e quello di lesioni, abbia affermato apoditticamente la sussistenza dell’animus necandi attraverso l’esclusiva valorizzazione della natura delle lesioni cagio la cui gravità è stata travisata (trattandosi di ferita superficiale in vitale), laddove in mancanza di riscontri, ben avrebbe potuto derubricare il nel reato meno grave;
rilevato che si tratta di motivo reiterativo di analogo motivo di ap inammissibile per genericità, siccome privo di qualsivoglia prospettazione s scorta della quale accreditare la diversa qualificazione del delitto con quale lesioni volontarie, in luogo del tentato omicidio;
considerato, invero, che la Corte distrettuale, in linea con le valutazi espresse dal giudice di primo grado, ha desunto gli elementi costituti carattere oggettivo e soggettivo, del più grave reato da elementi fa obiettivamente riscontrati e dotati di pregante valenza dimostra apprezzandoli nell’ambito di un percorso motivazionale privo delle denunzi incongruenze logiche e ancorato ai principi di diritto ripetutamente espressi giurisprudenza di legittimità. In particolare, l’animus necandi è stato accertato assegnando valore determinante alla complessiva condotta de ricorrente, attraverso una corretta valorizzazione della pericolosità del (coltello a serramanico avente lama lunga 8 cm), del distretto corporeo at (sul collo, a un cm dalla vena giugulare), della pluralità dei fendent condotta successiva (consistita nell’infliggersi una ferita al ventre a sostenere falsamente di avere reagito a un accerchiamento), cui va aggiunt non irrilevante circostanza della frase «ti faccio vedere come taglia, ti amm proferita durante l’azione, peraltro nei confronti della vittima disarmata;
rilevato che, tale motivazione resiste alle generiche doglianze co valutative della difesa che si è limitata a richiamare la giurisprud legittimità in tema di dolo omicidiario, senza in alcun modo avversar ineccepibili conclusioni dei giudici di merito;
considerato che è del pari inammissibile, perché a-specificio e rivalutativo, il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la motivazione in punto di
ribadita insussistenza della desistenza volontaria, sicuramente ravvisabile perché
la stessa vittima ha affermato che il ricorrente si allontanò spontaneamente ritenuto, invero, che il Giudice di appello ha ben chiarito (p. 7 della sentenza
impugnata) che, al momento dell’allontanamento dalla scena del delitto, l’imputato aveva ormai posto in essere una condotta la quale, per sé
considerata, conteneva ogni elemento di fatto idoneo a configurare il tentato omicidio della p.o. e, precisamente, una pluralità di colpi inferti alla vitti
portati verso zone vitali del corpo dell’avversario, inferti con forza ed utilizzand un’arma micidiale idonei, per le premesse date, a cagionare la morte;
rilevato che tale motivazione si pone nel solco della consolidata lezione ermeneutica di questa Corte di legittimità, secondo la quale, in ipotesi di
esecuzione mono-soggettiva del reato, in tanto può sussistere la desistenza, in quanto l’agente abbandoni l’azione criminosa prima che questa sia
completamente realizzata (Sez. 2, n. 44148 del 7/7/2014, COGNOME Rv.
260855 -01; Sez. 1 n. 43036 del 23/10/2012, Ortu, Rv. 253616; Sez. 4, n. 32830 09/04/2009; Sez. I, n. 39293 del 23/09/2008), ciò che non è accaduto nel caso che ci occupa;
ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazi (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende. Così deciso, il 19 giugno 2025
Il Consigliere estensore