Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2311 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2311 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste del 05/12/2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta rassegnata, ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 137 del 2020 e succ. modd., dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria del difensore AVV_NOTAIO COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha accolto l’appello proposto dalla locale Procura generale e – in ‘parziale riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Udine in data 8 luglio 2021, per quanto di interesse in questa sede – ha riqualificato il fatto di cui al capo a) dell’imputazione ai sensi dell’art.56 e 575 cod. pen. (come originariamente contestato), con la continuazione con il reato di cui al capo b) della rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato NOME COGNOME in anni quattro e mesi dieci di reclusione.
1.1. Le imputazioni a carico del predetto erano le seguenti; a) reato di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen. per avere computo atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di NOME non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà. In particolare, dopo che tra lui e NOME era intercorso un litigio a seguito del quale i due, unitamente a NOME NOME e NOME COGNOME, avevano posto in essere una rissa fuori del bar INDIRIZZO di Cervignano del Friuli, allorché la colluttazione fra i quattro si era conclusa, improvvisamente, dopo avere prelevato un coltello dall’interno dell’autovettura di cui aveva la disponibilità, mentre il NOME si trovava rispetto a lui girato di spalle, lo aggrediva sferrando con l’arma due fendenti che attingevano la vittima nella parte sinistra della base del collo e nella regione scapolare sinistra del dorso, cagionandole lesioni, poi giudicate guaribili in quindici giorni s.c., che per mero caso fortuito, non ne causavano la morte, atteso che per le zone del corpo attinte e per le modalità secondo cui i fendenti venivano vibrati, gli stessi risultavano potenzialmente idonei causare il decesso della persona offesa, In Cervignano del Friuli il 15 aprile 2019; b) reato di cui all’art.588, comma 1 e 2, cod. pen., perché con NOME, NOME e NOME COGNOME (la cui posizione era stata stralciata), dopo un diverbio intercorso tra di loro mentre si trovavano nel pubblico esercizio ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di Cervignano del Friuli, rincontratisi a distanza di qualche ora presso il ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sito sempre in Cervignano del Friuli, riprendevano a litigare e, colluttando tra loro, fuori del suddetto esercizio ponevano in essere una rissa nell’ambito della quale riportavano lesioni NOME COGNOME e NOME COGNOME; in Cervignano del Friuli il 15 aprile 2019. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. La Corte territoriale, investita dell’appello della Pubblica accusa, ha riformato la decisione di primo grado (che aveva qualificato il fatto sub a, come lesioni aggravate) ritenendo invece che, nel caso di specie, dovesse configurarsi il delitto di tentato omicidio sussistendone sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo; pertanto ha rideterminato la pena complessiva in anni quattro e mesi dieci (così determinata: , nni sette per il tentato omicidio, ridotta ad anni quattro e mesi otto per la concessione delle attenuanti generiche, aumentata di mesi due per la continuazione per la rissa).
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen. insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la illogicità della motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza del dolo omicidiario nella forma di quello alternativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Invero, il ricorrente lamenta carenze motivazionali, per avere la Corte di merito ritenuto la sussistenza degli estrenm del tentativo di omicidio, invece di quelli del meno grave reato di lesioni personali aggravate come, invece, statuito in primo grado. In realtà la sentenza impugnata ha operato un corretto uso dei principi giurisprudenziali consolidati in punto di idoneità e non equivocità degli atti posti in essere dall’imputato facendo riferimento, in modo non manifestamente illogico, alla circostanza che la rissa era terminata, al fatto che l’imputato aveva prelevato il coltello dalla propria auto ed alle parti vitali del corpo della vittima (mentre questa si trovava di spalle rispetto all’aggressore) colpite (la base del collo e la zona scapolare sinistra del dorso) ed alla conseguente messa in pericolo della vita della persona offesa.
2.1. Anche in punto di prova del dolo in ordine al più grave reato di tentato omicidio la Corte di merito, con motivazione non contraddittoria, in assenza di ammissione da parte dell’imputato, ha utilizzato gli elementi :sintomatici ritenuti
utili, secondo le regole di esperienza e l’ ‘id quod plerumque accidit’ anche alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità, per la individuazione della direzione teleologica della volontà dell’agente verso la morte della vittima, quali la micidialità del mezzo usato (un coltello), la reiterazione dei colpi inferti (due), la direzione degli stessi verso zone del corpo ove si trovano grossi vasi sanguigni e la mancanza di qualsiasi motivazione per tale azione, qualora la condotta dell’imputato fosse stata effettivamente soltanto quella di infliggere lesioni. Tutti gli elementi sopra richiamati sono stati considerati, in modo coerente, indicativi della volontà del COGNOME di uccidere la vittima o quanto meno di indifferenza per la sorte della stessa, sotto il profilo del dolo alternativo, come posto in luce dalla sentenza di appello (Sez. 1 -, Sentenza n. 43250 del 13/04/2018, Rv. 274402 01).
2.2. A giustificazione di tale giudizio si sono considerate le GLYPH condotte dell’imputato il quale, una volta terminata la rissa, si era recato a prelevare nella propria auto l’arma da taglio e poi aveva colpito con due fendenti la vittima mentre si trovava di spalle; le stesse, non solo non escludevano il dolo, bensì rafforzavano la tesi accusatoria in quanto, pur avendo la possibilità di allontanarsi una volta terminata la rissa, l’imputato aveva invece deciso di armarsi ed accoltellare per due volte il rivale alla base del collo e nella regione scapolare sinistra, provocandogli le lesioni indicate nella rubrica.
Al riguardo deve ricordarsi che rispetto all’omicidio tentato la prova del c.d. ‘anímus necandí’, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito dall’agente. In quest’ottica assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che – come detto – va apprezzata in concreto, con una prognosi postuma riferita alla situazione che si presentava all’imputato sul momento, in base alle condizioni umanamente prevedibili.
Da tale corretto approccio ermeneutico, la Corte di appello di Trieste non si è discostata, avendo ritenuto raggiunta la prova dell’elemento psicologico contestato sulla base degli elementi sopra elencati.
A fronte di tale compiuta motivazione la difesa dell’imputato si limita a rilevare che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente argomentato rispetto all’elemento soggettivo del reato e, in particolare, al dolo alternativo, senza però confrontarsi con il coerente ragionamento svolto dal giudice ‘a quo’ e q
suggerendo, in realtà, una inammissibile lettura alternativa degli elementi processuali.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2023.