LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tentato omicidio: quando un solo colpo è sufficiente

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, confermando la condanna per tentato omicidio. L’ordinanza stabilisce che un singolo fendente, sferrato con un’arma idonea in una zona vitale del corpo, è sufficiente a configurare il reato, a prescindere dalla gravità finale delle lesioni. L’intenzione di uccidere è stata dedotta dal comportamento dell’aggressore, che era tornato sul luogo di una lite armato di coltello.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Basta un Solo Fendente per la Condanna?

La qualificazione di un’aggressione come tentato omicidio è una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto penale. Spesso ci si chiede quali elementi siano necessari per distinguere questo grave reato da quello di lesioni personali aggravate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre chiarimenti fondamentali, stabilendo che anche un singolo colpo può essere sufficiente a integrare il delitto, a patto che l’azione sia idonea a uccidere e sorretta da una chiara intenzione omicida.

Il Caso in Esame: dall’Aggressione alla Cassazione

La vicenda giudiziaria ha origine da un’aggressione avvenuta a seguito di una lite. L’imputato, dopo il diverbio, si era allontanato per poi tornare sul posto armato di coltello, con il quale ha colpito la persona offesa. Il fendente ha provocato una ferita penetrante al torace, una zona del corpo palesemente vitale, attraversando la parete anteriore dell’emitorace sinistro e arrivando a lambire il polmone, causando un importante emo pneumotorace. Sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno condannato l’imputato per tentato omicidio. La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la qualificazione giuridica del fatto e sostenendo che non vi fossero gli estremi per tale grave accusa.

L’Idoneità dell’Azione nel Tentato Omicidio

Il primo punto cruciale analizzato dalla Suprema Corte riguarda l’idoneità degli atti. Perché si configuri il tentativo, l’azione compiuta dall’aggressore deve essere oggettivamente in grado di causare la morte. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto pienamente soddisfatto questo requisito sulla base di diversi elementi:

* L’arma utilizzata: un coltello da punta e taglio, strumento intrinsecamente letale.
* La zona colpita: il torace, sede di organi vitali come cuore e polmoni.
* La dinamica del colpo: il fendente è stato così profondo da perforare l’intero spessore della parete toracica e raggiungere il polmone.

Questi fattori, valutati nel loro complesso, dimostrano in modo inequivocabile che l’azione era potenzialmente mortale e che solo per circostanze fortuite non si è verificato l’evento letale.

La Prova dell’Animus Necandi: L’Intenzione di Uccidere

Il secondo elemento fondamentale per il tentato omicidio è l’ animus necandi, ovvero l’intenzione di uccidere. La difesa sosteneva che tale volontà non fosse provata. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, confermando l’orientamento consolidato della giurisprudenza. L’intenzione omicida, infatti, non deve essere necessariamente confessata, ma può essere desunta da una serie di indicatori fattuali. Nel caso specifico, il comportamento dell’imputato è stato ritenuto altamente significativo: allontanarsi dopo una lite per procurarsi un’arma e tornare per colpire la vittima in una zona vitale è una condotta che logicamente prelude a un’intenzione omicida e non a un semplice desiderio di ferire. La Corte ha inoltre ribadito un principio importante: la scarsa entità delle lesioni finali non esclude l’ animus necandi. L’esito meno grave può dipendere da fattori indipendenti dalla volontà dell’aggressore, come un movimento difensivo della vittima o una mira imprecisa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I motivi proposti dalla difesa sono stati giudicati non specifici e manifestamente infondati, in quanto si limitavano a contrapporre una diversa interpretazione dei fatti senza individuare reali vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata. La decisione della Corte d’Appello è stata ritenuta correttamente motivata e pienamente in linea con la giurisprudenza di legittimità consolidata in materia di tentato omicidio. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza

Questa pronuncia ribadisce con forza alcuni principi cardine nella valutazione del tentato omicidio. In primo luogo, non è il numero di colpi a fare la differenza, ma la loro potenzialità letale. Un singolo fendente, se diretto a una parte vitale del corpo con un’arma adeguata, è più che sufficiente. In secondo luogo, l’intenzione di uccidere si ricostruisce attraverso un’analisi logica del contesto, del comportamento dell’agente e della modalità dell’azione. Questa ordinanza serve da monito: la linea di confine tra lesioni e tentato omicidio risiede nell’analisi combinata dell’idoneità oggettiva dell’azione e della volontà soggettiva dell’aggressore, elementi che i giudici di merito devono attentamente valutare.

Per configurare il tentato omicidio è necessario sferrare più colpi?
No. Secondo la Corte, anche un solo colpo è sufficiente a integrare il reato di tentato omicidio, se indirizzato con l’intento di uccidere un avversario e sferrato in una zona vitale con un’arma idonea.

Se la vittima riporta lesioni lievi o inesistenti, si può escludere il tentato omicidio?
No. La scarsa entità o l’inesistenza delle lesioni non sono circostanze idonee a escludere di per sé l’intenzione omicida, poiché l’esito finale può dipendere da fattori indipendenti dalla volontà dell’aggressore, come un movimento imprevisto della vittima o un errato calcolo della distanza.

Come si dimostra l’intenzione di uccidere (animus necandi)?
L’intenzione di uccidere viene desunta da vari elementi oggettivi, come la natura dell’arma usata, la zona del corpo colpita (in questo caso, una zona vitale come il torace) e il comportamento complessivo dell’imputato (in questo caso, essersi allontanato dopo una lite per poi tornare armato).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati