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Tentato omicidio: quando un colpo al collo lo configura

La Corte di Cassazione conferma la condanna per tentato omicidio e tentata rapina a carico di un individuo che ha colpito una persona al collo con un frammento di bottiglia. La sentenza stabilisce che l’uso di un’arma impropria contro una zona vitale del corpo è sufficiente a dimostrare l’intenzione di uccidere, configurando così il reato di tentato omicidio e non semplici lesioni.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Colpire al Collo con un Coccio di Vetro Basta a Configurare il Reato?

La distinzione tra lesioni aggravate e tentato omicidio rappresenta uno dei temi più complessi del diritto penale, poiché si basa sull’accertamento dell’intenzione dell’aggressore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre un’analisi dettagliata dei criteri utilizzati per qualificare un’aggressione come tentato omicidio, sottolineando come la natura dell’arma e la zona del corpo colpita siano elementi decisivi. Questo caso, riguardante un’aggressione con un frammento di bottiglia, ci permette di approfondire la valutazione del cosiddetto animus necandi, ovvero la volontà di uccidere.

I Fatti di Causa

Nella tarda mattinata del 31 ottobre 2022, nel centro di Roma, due persone venivano aggredite da un uomo. Quest’ultimo, dopo un primo alterco e una richiesta di denaro rivolta a una delle vittime, colpiva l’altra al collo con un frammento di vetro. L’aggressore veniva rintracciato e arrestato poco dopo, anche grazie alla descrizione fornita dalle vittime. Sia in primo grado, con rito abbreviato, sia in appello, l’imputato veniva condannato per i reati di tentato omicidio e tentata rapina aggravata a una pena di nove anni di reclusione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Errata identificazione: Si contestava la validità del riconoscimento, ritenuto irrituale e viziato da una discrepanza tra la descrizione iniziale (che parlava di capigliatura “rasta”) e l’effettivo aspetto dell’imputato.
2. Errata qualificazione del reato: Si sosteneva che l’azione dovesse essere classificata come lesioni aggravate e non come tentato omicidio, per mancanza della prova del dolo omicidiario e della concreta offensività dell’azione.
3. Insussistenza del reato di tentata rapina: Si deduceva la mancanza dell’elemento soggettivo, data la presunta contraddittorietà delle testimonianze sulla richiesta di denaro.
4. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Si lamentava il diniego delle attenuanti, nonostante l’assenza di precedenti, la giovane età e la condizione di emarginazione sociale dell’imputato.

Tentato Omicidio: L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. In particolare, ha offerto chiarimenti decisivi sulla configurabilità del tentato omicidio.

La Prova dell’Intento Omicida (Animus Necandi)

La Corte ha ribadito che la prova dell’animus necandi ha natura indiretta e deve essere desunta da dati oggettivi e inequivocabili della condotta. Nel caso specifico, sono stati considerati decisivi:

* La natura dell’arma: un coccio di bottiglia, strumento altamente lesivo.
* La zona corporea colpita: il collo, un’area vitale sede di vasi sanguigni fondamentali come la carotide e la giugulare.
* Le modalità dell’azione: un colpo inferto deliberatamente e con rapidità, la cui reiterazione è stata impedita solo dall’intervento di terzi.

Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno portato i giudici a ritenere sussistente il dolo diretto alternativo, ovvero la condizione in cui l’agente si rappresenta e accetta la possibilità che la sua azione possa causare la morte della vittima. La prognosi sull’idoneità dell’azione a causare la morte viene formulata “ex post”, ma con riferimento alla situazione di pericolo che si presentava “ex ante” all’imputato.

La Validità dell’Identificazione e gli Altri Motivi

La Cassazione ha inoltre confermato la correttezza dell’identificazione, affermando che la discordanza sulla capigliatura non era sufficiente a inficiare il riconoscimento, a fronte di altri elementi convergenti come la corrispondenza dei tratti somatici, il contegno dell’imputato (che tentava di nascondersi) e la presenza di sangue sui suoi vestiti. Anche i motivi relativi alla tentata rapina e al diniego delle attenuanti sono stati respinti, in quanto le valutazioni dei giudici di merito sono state ritenute logiche, congrue e prive di vizi.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della sentenza si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il principio cardine è che il sindacato della Corte di Cassazione non può consistere in una nuova valutazione dei fatti, ma deve limitarsi a un controllo sulla logicità e coerenza della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso di specie, la ricostruzione operata dalla Corte d’Appello è stata giudicata scevra da vizi logici e pienamente aderente alle risultanze processuali.

Per quanto riguarda il tentato omicidio, la motivazione si concentra sull’inidoneità delle argomentazioni difensive a scalfire la logica della decisione dei giudici di merito. La difesa aveva tentato di minimizzare la portata dell’azione, evidenziandone l’estemporaneità e l’unicità del colpo, ma la Corte ha stabilito che la potenzialità letale dell’azione, desumibile da fattori oggettivi, prevale su tali considerazioni. Per la tentata rapina, la stretta consecuzione tra la violenza fisica e la richiesta di denaro è stata ritenuta prova sufficiente della finalità di profitto. Infine, il diniego delle attenuanti è stato giustificato non solo dalla gravità del fatto, ma anche dall’assenza di qualsiasi segno di resipiscenza da parte dell’imputato, un elemento che il giudice può legittimamente valutare nella sua discrezionalità.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un importante principio: per distinguere il tentato omicidio dalle lesioni aggravate, è fondamentale un’analisi rigorosa degli indicatori oggettivi del comportamento. L’intenzione di uccidere non deve essere esplicitamente confessata, ma può essere provata attraverso l’interpretazione logica di elementi come il tipo di arma, la parte del corpo attinta e la dinamica dell’aggressione. La decisione insegna che un singolo atto, se diretto verso una zona vitale con un mezzo idoneo a uccidere, è sufficiente a integrare la soglia del tentativo di omicidio, indipendentemente dall’esito finale dell’aggressione.

Quando un’aggressione fisica si qualifica come tentato omicidio e non come semplici lesioni aggravate?
Si qualifica come tentato omicidio quando gli elementi oggettivi dell’azione, valutati con una prognosi postuma ma riferita alla situazione di pericolo iniziale, dimostrano l’intenzione di uccidere (animus necandi). Fattori decisivi sono l’arma usata (es. un coccio di bottiglia), la parte del corpo colpita (una zona vitale come il collo) e la modalità dell’azione.

Una piccola incongruenza nella descrizione dell’aggressore da parte dei testimoni è sufficiente a invalidare l’identificazione?
No, non è sufficiente, specialmente se altri elementi probatori convergono a confermare l’identificazione. Nel caso di specie, la corrispondenza dei tratti somatici, dell’abbigliamento, il comportamento sospetto dell’imputato (tentativo di nascondersi) e la presenza di macchie di sangue sui suoi abiti sono stati ritenuti elementi sufficienti a superare la discrepanza sulla pettinatura.

L’assenza di precedenti penali e la giovane età garantiscono la concessione delle circostanze attenuanti generiche?
No, non garantiscono automaticamente la concessione. Il giudice ha un potere discrezionale e può negarle basandosi su altri elementi, come la gravità del fatto, le modalità di esecuzione del reato e la personalità dell’imputato, il quale nel caso specifico non ha mostrato alcun segno di pentimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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