Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8611 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8611 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
letta la nota scritta di conclusioni con cui il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 6 luglio 2023 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza cautelare di applicazione della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord il 22 giugno 2023 in relazione ai reati di cui agli artt. 56 e 575, 588, comma 2, cod. pen. e 10, 12, 14 I. 14 ottobre 1974, n. 497, commessi in Afragola il 17 giugno 2023.
Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati in esame a carico dell’indagato, perché lo stesso aveva colpito, sulla pubblica via, con un’arma da fuoco, NOME COGNOME nel corso di una lite.
In particolare, dalle indagini di polizia, è emerso che COGNOME si era messo in cerca dell’imputato, lo aveva trovato in INDIRIZZO, aveva iniziato una colluttazione con lui; l’imputato era in possesso di una pistola, che nelle prime fasi dell’aggressione gli era caduta sulla sede stradale, però, lottando corpo a corpo con NOME, egli riuscì a reimpossessarsi della pistola ed esplose prima un colpo di arma da fuoco e poi altri due.
Il Tribunale ha ritenuto che il primo sparo fosse conseguenza delle fasi concitate dell’azione aggressiva e della reazione dei soggetti coinvolti, ma che gli altri due spari fossero, invece, stati esplosi intenzionalmente dall’indagato e diretti contro NOME per ucciderlo.
Il Tribunale ha ritenuto che il fatto fosse da qualificare come tentato omicidio in considerazione delle modalità della condotta, dell’arma impiegata e dei colpi esplosi a distanza ravvicinata; il Tribunale ha, inoltre, ritenuto che la descrizione del fatto sia incompatibile con la possibilità di riconoscere all’indagato la sussistenza di una legittima difesa, in considerazione del contesto di rissa in cui è avvenuto il fatto; inoltre, a giudizio del Tribunale, i mezzi usati non sono proporzionati rispetto all’aggressione subita, che non è idonea a scriminare la condotta di chi con una pistola ha colpito un avversario disarmato.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con unico motivo, in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, in particolare con riferimento alla qualificazione giuridica del reato di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen., evidenziando che dalla ricostruzione della dinamica degli eventi emergeva che i primi aggressori erano stati proprio le vittime, che la condotta posta in essere dall’indagato era tesa a difendere se stesso, che il primo colpo era partito accidentalmente essendo l’indagato scivolato ed avendo perso la disponibilità dell’arma per alcuni istanti, e che l’esplosione degli altri due colpi non può che dirsi conseguenza della colluttazione scatenatasi; dalla dinamica della vicenda ben si può ritenere che più che di volontà omicidiaria trattasi di tentativo di intimorire le persone offese; d’altronde, la distanza tra indagato e vittima non era tale da impedire al primo, qualora il proprio intento fosse stato quello di uccidere, di raggiungere l’obiettivo; va considerato ancora che il colpo sparato attinge solo la gamba di COGNOME, che non è sede di organi vitali.
Con requisitoria scritta il AVV_NOTAIO Generale, AVV_NOTAIO, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Con nota scritta di conclusioni il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha replicato alle considerazioni del AVV_NOTAIO generale ed insistito per l’accoglimento.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
La ordinanza cautelare contesta al ricorrente tre reati (il tentato omicidio, la rissa aggravata e il porto in luogo pubblico di arma da sparo); nell’unico motivo di ricorso il ricorrente contesta soltanto il primo, e soltanto con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto.
Il ricorso sostiene che dalla ricostruzione della dinamica degli eventi emergeva che i primi aggressori erano stati proprio le vittime, ma si tratta di circostanza, in realtà, valutata dal Tribunale nel percorso logico dell’ordinanza impugnata, e che in modo non illogico è stata ritenuta non escludere la volontà omicida, anche alla luce della ulteriore circostanza, anche questa ben evidenziata nell’ordinanza impugnata, che l’indagato girava sulla pubblica via con una pistola – insieme al suo amico NOME che, a sua volta, girava con un coltello – proprio in considerazione del pregresso dissidio con i COGNOME (pag. 7), con cui evidentemente i due si erano preparati ad avere un altro scontro.
Il ricorso sostiene che il primo sparo era partito accidentalmente in quanto l’indagato era scivolato ed aveva perso la disponibilità dell’arma per alcuni istanti, e che l’esplosione degli altri due colpi non può che dirsi conseguenza della colluttazione scatenatasi, ma la natura accidentale del primo sparo è considerata tale anche nell’ordinanza impugnata, che, però, evidenzia che i due spari successivi sono intenzionali per stessa ammissione dell’indagato (pag. 9 dell’ordinanza).
Il ricorso sostiene, invece, che questi due spari successivi fossero anch’essi dovuti alla colluttazione, ma sul punto è meramente assertivo (“l’esplosione degli altri due colpi non può che dirsi conseguenza della colluttazione scatenata”), ed aspecifico, perché non prende posizione sull’argomento contenuto nell’ordinanza impugnata, secondo cui lo stesso indagato avrebbe ammesso di aver sparato intenzionalmente il secondo e terzo colpo.
Il ricorso sostiene che la condotta posta in essere dall’indagato era tesa a difendere se stesso, ma la motivazione dell’ordinanza impugnata è molto approfondita in punto di negazione della scriminante della legittima difesa di cui all’art. 52 cod. pen., che ritiene non integrata sia per il reciproco comportamento
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aggressivo, sia per la non proporzionalità tra il pericolo di offesa ingiusta portato dall’aggressore, che agiva comunque a mani nude, e la reazione avuta dalla vittima, che ha sparato tre colpi di pistola, di cui due intenzionali, argomenti che non sono attaccati in ricorso.
Il ricorso sostiene ancora che la distanza tra indagato e vittima non era tale da impedire al primo, qualora il proprio intento fosse stato effettivamente quello di uccidere, di raggiungere l’obiettivo, ma la giurisprudenza di legittimità ritiene che questo non sia un argomento decisivo per escludere il dolo di omicidio (Sez. 1, Sentenza n. 45332 del 02/07/2019, Pesce, Rv. 277151), e che debba essere valutato il contesto complessivo dei fatti, e sul punto la ordinanza impugnata evidenzia (pag. 3) che il secondo e terzo sparo sono avvenuti quando, una volta udita l’esplosione del primo colpo, i due gruppi si stavano già allontanando prendendo due direzioni diverse, ma, ciò nonostante, l’indagato, scappando, ha deciso di puntare la pistola ed ha sparato due volte contro i rivali.
Il ricorso sostiene che, ai fini della valutazione della qualificazione giuridica del fatto, andrebbe considerato che gli spari attingono COGNOME soltanto alla gamba, che non è sede di organi vitali, ma, nei limiti della valutazione della fase cautelare, non è illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha ritenuto potersi dedurre l’animus necandi, quantomeno nella forma del dolo alternativo, dalla micidialità del tipo di arma utilizzata, dal numero dei colpi esplosi, dalla vicinanza tra aggressore e vittima, dalla determinazione con cui è stata utilizzata l’arma, motivazione coerente con la giurisprudenza di legittimità che ritiene che la sussistenza o meno del dolo di omicidio deve essere ricavata da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente (Sez. 1, Sentenza n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014: “la sussistenza del dolo nel delitto di tentato omicidio può desumersi, in mancanza di attendibile confessione, dalle peculiarità intrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali, a titolo esemplificativo, il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpì”).
In definitiva, il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13 dicembre 2023.