Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1283 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1283 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Sassari il 13/01/1997
avverso la sentenza del 21/09/2022 della CORTE APPELLO di CAGLIARI, SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 29 maggio 2019 il Tribunale di Sassari, in rito abbreviato, ha condannato NOME COGNOME alla pena di 6 anni di reclusione, oltre statuizioni accessorie, per minaccia aggravata perpetrata nei confronti di NOME COGNOME mediante il posizionamento di una testa d’asino e di quattro cartucce sotto casa della vittima, il 24 gennaio 2017 (capo b), per minaccia aggravata commessa, mediante l’esibizione di una pistola e la pronuncia di alcune frasi, nei confronti degli stessi NOME COGNOME ed NOME COGNOME, il 26 gennaio 2017 (capi c ed e), per il tentato omicidio commesso nei confronti di NOME COGNOME (capo d dell’imputazione), sempre il 26 gennaio 2017, e per la detenzione (capo f) e porto
(capo g) illegale di arma comune da sparo, commessi sempre il 26 gennaio 2017. I fatti sono tutti avvenuti ad Alghero.
Con sentenza del 21 settembre 2022 la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in 4 anni di reclusione e confermato per il resto la sentenza di primo grado.
In particolare, all’esito dell’esame del materiale probatorio, i giudici del merito hanno ritenuto che COGNOME sia stata la persona che, nel pomeriggio del 26 gennaio 2017 ad Alghero, aveva ferito NOME COGNOME, sparandogli contro un colpo di pistola, e che aveva detenuto e portato l’arma con cui era stato commesso il fatto, nonché la persona che aveva rivolto quello stesso pomeriggio minacce in danno dello stesso COGNOME e di NOME COGNOME e che due giorni prima aveva posizionato una testa di asino e quattro cartucce sotto l’abitazione di Cadeddu.
Nella motivazione delle sentenze dei wifrrí due gradi di giudizio i giudici del merito hanno ricostruito la vicenda in questo modo. Si era creato un dissidio tra COGNOME e COGNOME perché il primo aveva riferito ad una comune conoscente di non frequentare il secondo; questi ne aveva avuto a male ed in una occasione successiva aveva atteso COGNOME sotto casa minacciandolo; in un successivo casuale incontro per strada le parti si erano guardate male, finché il 24 gennaio COGNOME aveva trovato sotto la propria casa una testa di asino; il 26 gennaio Monti, quale amico di Cadeddu, aveva organizzato un incontro con COGNOME per potersi chiarire; all’incontro COGNOME si era presentato con una pistola, aveva minacciato sia Monti che Cadeddu ed aveva sparato dei colpi di pistola verso le gambe di Monti ferendolo.
A queste conclusioni i giudici del merito erano giunti attraverso le dichiarazioni rese nell’immediatezza del fatto da COGNOME, attraverso le dichiarazioni rese sempre nell’immediatezza del fatto da tale NOME COGNOME che era un amico di Cadeddu, chiamato da questi per venire a prendere in auto, ed accompagnare in ospedale, Monti ferito, nonché attraverso i rilievi tecnici effettuati dalle forze polizia sul luogo dei fatti indicato da COGNOME quale scena dell’aggressione ed attraverso le immagini di una telecamera di sicurezza cheyiprende in parte ritraendo tre persone, sia pure non riconoscibili nelle fattezze.
I giudici del merito non hanno, invece, ritenute attendibili le dichiarazioni della persona offesa COGNOME che fin dall’inizio ha riferito di non essersi accorto di essere stato ferito e di non sapere chi fosse la persona che gli aveva sparato, e la successiva ritrattazione di COGNOME che aveva sostenuto che le dichiarazioni che aveva reso nell’immediatezza del fatto erano state dovute all’attrito esistente nei confronti di COGNOME
I giudici del merito non hanno attribuito rilievo decisivo neanche alla prova d’alibi portata, attraverso indagini difensive, dal difensore di COGNOME che aveva
assunto informazioni da quattro conoscenti dello stesso, che avevano riferito che il giorno dei fatti NOME si trovava a pranzo con loro per festeggiare un compleanno.
Secondo l’accertamento dei giudici del merito, la reticenza di COGNOME e la ritrattazione di COGNOME erano dovute alla paura nei confronti di COGNOME e della sua famiglia, che emergeva in modo chiaro dagli atti, e la prova d’alibi non era decisiva perché nessuno dei commensali di COGNOME aveva riferito per quale ragione tutti collocassero COGNOME con loro fino alle ore 17:00 (la sparatoria era avvenuta poco dopo le 16.00), perché tale indicazione oraria non veniva ricollegata ad alcun evento specifico.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limit strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, perché il giudizio di responsabilità per il tentato omicidio si regge soltanto sulle dichiarazioni accusatorie del preteso testimone oculare COGNOME che, però, ha reso quattro dichiarazioni contraddittorie (due in sede di sommarie informazioni, una al difensore in indagini difensive e una alla Corte d’appello in sede di rinnovazione del dibattimento), atteso che tutti gli altri elementi raccolti sono compatibili con ricostruzioni del fatto alternative; le dichiarazioni di COGNOME sono contraddittorie tra loro, non attendibili per l’elevato grado di coinvolgimento del teste per l’astio serbato nei confronti dell’imputato; la sentenza definisce ingiustamente “singolare” la ritrattazione operata da COGNOME in sede di indagini difensive quasi a volerne sminuire la rilevanza; la motivazione della sentenza impugnata è illogica anche con riferimento alla prova d’alibi, in quanto giunge a pretendere dai dichiaranti un grado di certezza non concepibile all’indicazione oraria offerta dagli stessi; la motivazione della sentenza, inoltre, eleva al rango di pieni riscontri alcuni confusi ed indeterminati elementi di indagine come le tracce di natura “verosimilmente ematica”, ritenute tali pure in assenza di alcun accertamento scientifico, la presenza di un foro “verosimilmente” da impatto, la strisciata da “presunto” impatto; sproporzionato è anche il rilievo conferito nel percorso logico della sentenza impugnata ai filmati delle telecamere di sicurezza di alcuni locali, che ritraggono sagome non identificabili; la motivazione non spiega per quale ragione COGNOME avendo davanti a sé sia COGNOME che COGNOME che è il suo reale antagonista, decide di colpire il primo e non il secondo, e la giustificazione che COGNOME si fosse reso inviso a COGNOME per aver tentato di fare da paciere tra loro non scioglie il quesito, ma rafforza l’illogicità della ricostruzione operata nella sentenza impugnata.
Con il secondo motivo deduce erronea applicazione legge penale per aver ritenuto esistente il dolo alternativo di omicidio quando si è, al più, in presenza soltanto di un dolo eventuale; avendo, infatti, l’autore del reato la possibilità di colpire la vittima in un punto idoneo a cagionare la morte, egli sceglie di mirare alle gambe rendendo solo marginalmente possibile l’evento morte e manifestando l’intenzione soltanto di un evento lesivo ed intimidatorio; il giudice del merito lo ritiene sufficiente a reggere il dolo di omicidio, anche se il grado di probabilità che l’azione potesse cagionare l’evento morte è particolarmente basso, se non del tutto marginale.
La difesa dell’imputato ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale il Procuratore generale, dr. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato nel primo motivo, e viceversa fondato nel secondo.
E’ infondato il primo motivo, che deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in ordine al giudizio di responsabilità per i reati attribu in sentenza all’imputato.
In esso si deduce che il giudizio di responsabilità si regge soltanto sulle dichiarazioni accusatorie del preteso testimone oculare COGNOME e si evidenzia la illogicità di una motivazione che ha ritenuto attendibile COGNOME nonostante questi abbia reso quattro dichiarazioni contraddittorie tra loro (due in sede di sommarie informazioni, una al difensore in indagini difensive e una alla Corte d’appello in sede di rinnovazione del dibattimento), e nonostante questi sia un teste che ammette di essere coinvolto emotivamente per l’astio serbato nei confronti dell’imputato.
L’argomento è infondato. La sentenza impugnata affronta il nodo cruciale dell’attendibilità delle prime dichiarazioni di COGNOME, rese la sera stessa dei fatti, e che hanno condotto all’incriminazione dell’imputato, e struttura il giudizio di attendibilità di tali dichiarazioni secondo un percorso logico che resiste alle critiche del ricorso.
La sentenza impugnata evidenzia, infatti, anzitutto la circostanza che le dichiarazioni accusatorie siano state rese nell’immediatezza dei fatti iquando ancora il dichiarante non aveva avuto il tempo di elaborare una versione difforme
dalla realtà degli accadimenti (pag. 28 della sentenza), secondo un canone di valutazione della prova dichiarativa che ha trovato fin da tempo risalente l’avallo della giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 2004 del 24/09/1976, dep. 1977, COGNOME, Rv. 135248: Per il principio della libertà della valutazione delle prove del tutto incensurabile è la sentenza del giudice di merito che spieghi le ragioni dell’attendibilita d’un teste, facendo riferimento all’immediatezza del fatto in cui furono rese le dichiarazioni e al riscontro di queste in altri elementi risultanti dagli atti del procedimento).
A conferma del giudizio di attendibilità la motivazione della sentenza poi aggiunge che le prime dichiarazioni di COGNOME trovano dei riscontri in fonti di prova esterne, che inducono a ritenerle veritiere (pag. 29).
Come notato nella sentenza impugnata, infatti, il primo racconto di COGNOME colloca l’azione criminosa nell’ora e nei luoghi (la scalinata di INDIRIZZO sotto il INDIRIZZO) in cui essa si è effettivamente svolta, come dimostrato da una fonte completamente indipendente dalle dichiarazioni di COGNOME, ovvero le telecamere di sicurezza del ristorante “Marco Polo” che riprendono tre persone che discutono esattamente nei luoghi indicati da COGNOME, e che poi riprendono NOME COGNOME che si allontana lentamente dai luoghi dopo essere stato colpito. La sentenza di appello evidenzia che, mentre la scena del delitto è ripresa dalle telecamere in modo che i soggetti coinvolti non siano riconoscibili nelle fattezze, però COGNOME è ripreso nel suo percorso di allontanamento dalla scalinata in modo da essere riconoscibile, ed anzi nella motivazione della pronuncia si dà atto che gli stessi giudici procedono al riconoscimento del teste COGNOME nei fotogrammi della telecamera CH1 che hanno agli atti.
Inoltre, come osservato nella sentenza impugnata, le prime dichiarazioni di COGNOME trovano un ulteriore riscontro in quelle del teste NOME COGNOME che non è presente al momento dei fatti, ma che riferisce quanto accaduto immediatamente dopo gli stessi, quando COGNOME lo chiama e gli chiede di accompagnare lui e Monti in ospedale; il racconto di COGNOME, infatti, si salda con le prime dichiarazioni di COGNOME, e, quindi, conferma la attendibilità di quanto riferito da questi la sera stessa dei fatti.
La sentenza impugnata, pertanto, ha ritenuto che le prime dichiarazioni di COGNOME superassero il vaglio di credibilità per l’esistenza di riscontri esterni ad esse, in modo conforme a quanto indicato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 7898 del 12/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278499).
In questo contesto, non è illogico che la sentenza impugnata, dopo aver accertato che le prime dichiarazioni di COGNOME abbiano trovato conferma esterna nel luogo (la scalinata dei bastioni), nell’orario (le 16.00 circa) e nello svolgimento (le sagome riprese in lontananza dalle telecamere di sicurezza) dell’azione, abbia
ritenuto che allora esse dovevano essere ritenute attendibili anche nella parte in cui indicavano l’autore dell’aggressione, applicando anche qui il principio di diritto che, una volta superato il vaglio di credibilità, i riscontri non devono necessariamente assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, Sentenza n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312).
Va anche evidenziato che tra i riscontri alle prime dichiarazioni di COGNOME rinvenuti dalla Corte di appello /non giocano un rilievo decisivo gli accertamenti tecnici sui luoghi del fatto su traiettoria del proiettile e tracce di sangue, su cu pure spende argomenti il ricorso, senza che, però, gli stessi possano essere ritenuti idonei a disarticolare l’impianto della sentenza impugnata (Sez. 5, Sentenza n. 48050 del 02/07/2019, S. Rv. 277758).
Il ricorso attacca il giudizio di credibilità di COGNOME evidenziando che questi ha reso dichiarazioni quattro volte (due in indagini preliminari alla polizia giudiziaria, una in indagini difensive, una nel giudizio abbreviato a seguito di supplemento istruttorio disposto d’ufficio dal giudice) e che le stesse sono in contraddizione l’una con l’altra.
L’argomento è infondato.
Anzitutto, come nota correttamente la sentenza impugnata a pag. 24, le due dichiarazioni rese da COGNOME in indagini preliminari alla polizia giudiziaria sono sostanzialmente sovrapponibili, perché ricostruiscono l’aggressione nello stesso contesto di luogo e di persone e divergono solo per particolari secondari, quali la via di fuga percorsa dallo stesso, su cui pure la sentenza argomenta in modo non illogico che il testimone, senza volontà di mentire, può aver confuso nel primo racconto “INDIRIZZO” con “INDIRIZZO“, in quanto si tratta di strade che distano pochi metri e corrono parallele nei vicoli del centro storico di Alghero. Non è corretto sostenere, pertanto, che esistano quattro versioni di Cadeddu, perché ne esistono, in realtà, soltanto due, una ante ed una post ritrattazione.
La circostanza che sia intervenuta ritrattazione non toglie, però, valore probatorio alle prime dichiarazioni rese da COGNOME, né rende illogica una pronuncia che abbia ritenuto credibili le stesse, perché l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità è che, in presenza di ritrattazione, il giudice possa ritenere comunque credibile il testimone e maggiormente attendibili le dichiarazioni precedenti alla ritrattazione quando fondi il proprio convincimento su una motivazione logica e congrua (Sez. 2, Sentenza n. 13836 del 16/12/2016, dep. 2017, C., Rv. 269546).
Nel caso in esame, la motivazione che ha usato la pronuncia d’appello per giustificare il giudizio di credibilità di COGNOME supera lo scrutinio di logicità e congruità, in quanto il giudice di secondo grado ha evidenziato che, in realtà, non esiste agli atti una seconda versione dei fatti di COGNOME, in quanto COGNOME con
le dichiarazioni rese in indagini difensive al difensore dell’indagato si è limitato a ritrattare l’accusa rivolta a COGNOME senza dare una nuova, e diversa, versione dei fatti, che potesse essere confrontata con la prima, e che consentisse di pervenire ad un giudizio di maggiore credibilità dell’una o dell’altra o, finanche, ad un giudizio di complessiva non credibilità del testimone.
Con le dichiarazioni rese in indagini difensive al difensore dell’indagato COGNOME si è limitato a togliere valore alle proprie precedenti dichiarazioni accusatorie nei confronti di COGNOME ma, poichè la prova non è nella disponibilità delle parti, e neanche dei testimoni, la sentenza di appello, in modo coerente con il sistema processuale del libero convincimento, ha ritenuto di non attribuire rilievo alla ritrattazione, che ha giustificato in modo strettamente logico, ed aderente alle risultanze processuali (cfr. sul punto anche le dichiarazioni di COGNOME da cui emerge che già nell’immediatezza dei fatti COGNOME, pur chiedendogli aiuto e narrandogli l’accaduto, non aveva voluto rendere noto il nome dell’aggressore neanche a lui), con il timore che COGNOME aveva dell’imputato (sulla logicità del giudizio che attribuisce rilievo alla paura di violenze subite dal testimone che effettua una ritrattazione v. Sez. 1, Sentenza n. 6683 del 13/06/2013, dep. 2014, Cyrbia, Rv. 259161).
Il ricorso attacca il giudizio di credibilità di COGNOME evidenziando anche che questi aveva ragioni di astio nei confronti di COGNOME
L’argomento è infondato, perché la circostanza che COGNOME potesse avere ragioni di astio nei confronti di COGNOME emerge, in realtà, da una fonte, le dichiarazioni rese in indagini difensive al difensore dell’indagato, cui, in modo, come detto, non illogico, la pronuncia di appello non ha attribuito credibilità, mentre dal racconto dei fatti dei giorni precedenti all’aggressione emerge che, al contrario, fosse COGNOME ad avere ragioni di astio nei confronti di COGNOME, che avrebbe dissuaso una comune conoscente dal frequentarlo.
Il ricorso attacca la sentenza impugnata anche deducendo la illogicità della motivazione della motivazione impugnata in punto di svalutazione della prova d’alibi offerta dal difensore dell’imputato attraverso le indagini difensive.
L’argomento non è fondato.
Il difensore dell’imputato aveva introdotto in giudizio mediante indagini difensive le dichiarazioni di quattro persone che riferivano che il giorno dei fatti COGNOME era stato in loro compagnia fino alle ore 17.00; le dichiarazioni assunte ad indagini difensive non trovavano conferma in fonti esterne (se non la circostanza che era effettivamente il compleanno di una di esse), ma si riscontravano l’una con l’altra.
La sentenza impugnata non ha giudicato di per sé non credibili le dichiarazioni, in quanto provenienti da amici e parenti dell’imputato (motivazione che pure
avrebbe GLYPH potuto GLYPH superare GLYPH lo GLYPH scrutinio GLYPH di GLYPH logicità, GLYPH cfr. GLYPH sul GLYPH punto Sez. 2, Sentenza n. 43349 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238806), ma ha evidenziato l’anomalia della indicazione temporale univoca delle ore 17.00 come orario in cui l’imputato ha preso congedo dai suoi conoscenti, indicazione che non trovava fondamento in un evento specifico che giustificasse il ricordo a distanza di tempo di un orario così preciso, ed ha ritenuto, pertanto, che le stesse non fossero credibili quanto all’orario esatto in cui l’imputato si era separato dagli altr partecipanti all’evento familiare.
Il ricorso attacca la decisione deducendo che essa giunge a pretendere dai dichiaranti un grado di certezza non concepibile all’indicazione oraria offerta, ma, in realtà, questo argomento non è conferente con la motivazione della sentenza impugnata, che non chiede al dichiarante un grado di certezza che non si può pretendere da lui, ma, al contrario, ritiene, in modo del tutto logico, non credibile che le persone abbiano potuto conservare, a distanza di tempo, il ricordo preciso dell’orario di un evento del tutto marginale e secondario, quale quello in cui un loro congiunto si era allontanato dalla riunione familiare, senza indicare una ragione specifica che giustifichi tale ricordo.
Il ricorso attacca la motivazione della sentenza impugnata anche deducendo la illogicità di una motivazione che non spiega per quale ragione COGNOME avendo davanti a sé sia Monti che il suo reale antagonista COGNOME decide di colpire il primo e non il secondo.
L’argomento è infondato, perché, in realtà, la sentenza di secondo grado risponde al relativo motivo di appello con un argomento coerente, ovvero evidenziando che COGNOME era l’organizzatore dell’incontro, in quanto si era proposto di fare da paciere, ed era colui che stava parlando viso a viso con COGNOME nel momento in cui questi ha sparato, mentre COGNOME si teneva più defilato pochi passi indietro.
Il ricorso non ritiene convincente questa considerazione e sostiene che la giustificazione che COGNOME si fosse reso inviso a COGNOME per aver tentato di fare da paciere non scioglie il quesito, ma rafforza l’illogicità della ricostruzione operata nella sentenza impugnata, ma sul punto il ricorso è assertivo, perché non spiega per quale ragione una spiegazione di questo tipo rafforzerebbe la illogicità della motivazione.
In realtà, l’argomento proposto in ricorso sulla inesistenza in Iacono di ragioni per sparare a Monti, e l’esistenza al contrario di ragioni per sparare a Cadeddu, è un argomento che non è comunque in grado di incidere sulla logicità della decisione, perché attinge, in definitiva, il movente dell’azione, ovvero un elemento non necessario del giudizio di responsabilità (Sez. 5, Sentenza n. 20851 del 12/03/2021, Tudino, Rv. 281109).
In definitiva, il primo motivo è infondato.
E’, invece, fondato il secondo motivo di ricorso, in cui si deduce erronea applicazione della legge penale in punto di qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio. In particolare, il ricorso contesta la sentenza impugnata per aver ritenuto esistente il dolo alternativo di omicidio, evidenziando che si si sarebbe, al più, in presenza soltanto di un dolo eventuale di omicidio.
La sentenza impugnata ha ritenuto esistente nel caso in esame il dolo di omicidio in quanto “gli spari indirizzati verso la parte superiore della coscia sono senz’altro idonei a cagionare la morte della persona offesa, data l’alta probabilità di ledere i grossi vasi arteriosi e venosi presenti in quel tratto delle gambe così da determinare il repentino dissanguamento della vittima, e quindi la morte, se non tempestivamente soccorsa”.
Il ricorso attacca la motivazione della sentenza impugnata evidenziando che, per le modalità dell’azione, l’autore del reato aveva la opportunità di colpire la vittima in un punto idoneo a cagionare la morte, ma sceglie di mirare alle gambe, così manifestando l’intenzione soltanto di un evento lesivo ed intimidatorio e rendendo solo marginalmente possibile l’evento morte.
Il motivo è fondato.
Pur non essendo decisivo che l’agente, pur avendo davanti a sé la vittima a pochi metri, avrebbe potuto colpirla in un punto più idoneo a cagionarne con certezza la morte (Sez. 1, Sentenza n. 45332 del 02/07/2019, Pesce, Rv. 277151: La mancata inflizione di più coltellate non esclude la sussistenza della volontà omicida, qualora sia accertato che, per le modalità operative e per l’arma impiegata, l’azione sia stata idonea a causare la morte della vittima e tale evento non si sia verificato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente), è anche vero, però, che nel complessivo sviluppo dei fatti, come ricostruito dai giudice del merito nel caso in esame, esistono dei co-elementi di valutazione della esistenza o meno del dolo di omicidio (la distanza estremamente ravvicinata da cui è stato sparato il colpo; la posizione più alta da cui ha sparato il ricorrente per essere posizionati, autore del reato e vittima, su due gradini diversi della scalinata dei bastioni; lo stesso comportamento tenuto successivamente al reato quando la vittima rimane in piedi e l’autore del reato si disinteressa di lei) su cui la motivazione della sentenza impugnata non si è soffermata adeguatamente e che non ha ponderato con quelli (la idoneità dell’azione) da cui ha ricavato l’esistenza del dolo.
Nella giurisprudenza di legittimità la sussistenza o meno del dolo di omicidio deve essere ricavata da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente
(Sez. 1, Sentenza n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014: “la sussistenza del dolo nel delitto di tentato omicidio può desumersi, in mancanza di attendibile confessione, dalle peculiarità intrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza, quali, a titolo esemplificativo, il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi”).
Nella valutazione della inequivocità degli atti “assume valore determinante l’idoneità dell’azione” (Sez. 1, Sentenza n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012; Sez. 1, Sentenza n. 35006 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257208), ma occorre anche che, all’esito di una valutazione complessiva dell’azione, il giudice del merito giunga a formulare un giudizio sulla esistenza di una “cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige” (Sez. 5, Sentenza n. 23618 del 11/04/2016, COGNOME, Rv. 266915).
Questa valutazione complessiva manca nella sentenza impugnata che, pertanto, deve essere annullata con riferimento alla qualificazione del delitto contestato al capo d) come tentato omicidio, con rinvio su tale punto – e sulla conseguente rideterminazione della pena all’esito dell’eventuale riqualificazione del fatto – per nuovo giudizio che, libero nell’esito, applicherà i principi di dirit sopra indicati.
Il ricorso è respinto, invece, nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica della condotta di cui al capo d) contestata come tentato omicidio, con rinvio per nuovo giudizio su detto punto e sulla misura della pena alla Corte appello di Cagliari. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 16 novembre 2023
Il consigliere estensore
Il presidente