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Tentato omicidio: quando sparare alle gambe non basta

Un uomo viene condannato per aver sparato a una persona alla gamba durante una lite. La Corte di Cassazione riesamina il caso, confermando la responsabilità dell’imputato ma sollevando dubbi sulla qualificazione del reato come tentato omicidio. La Corte annulla la condanna su questo punto, stabilendo che l’intento di uccidere deve essere provato da un’analisi completa di tutte le circostanze, non solo dalla potenziale letalità della ferita, e rinvia il caso per un nuovo giudizio sulla specifica accusa.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Quando Sparare alle Gambe Non Basta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 1283/2024, offre un’importante analisi sui criteri per distinguere il tentato omicidio da altri reati, come le lesioni aggravate. Il caso riguarda un uomo che ha sparato a un altro soggetto alla gamba, e la Suprema Corte ha dovuto valutare se tale azione, pur essendo pericolosa, fosse sufficiente a dimostrare la volontà di uccidere. Questa decisione chiarisce i confini del dolo omicidiario, sottolineando la necessità di un’analisi complessiva della condotta dell’aggressore.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un aspro dissidio tra due uomini. A seguito di minacce, culminate nel posizionamento di una testa d’asino e di cartucce sotto casa di una delle parti, un terzo soggetto, amico di quest’ultima, organizza un incontro per tentare una mediazione. Durante questo incontro, la situazione degenera: l’imputato estrae una pistola, minaccia entrambi e spara un colpo verso il mediatore, ferendolo alla gamba.

Nei primi due gradi di giudizio, l’imputato viene condannato per minacce aggravate, porto abusivo d’armi e tentato omicidio. La condanna si basa principalmente sulle dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dal primo uomo, il testimone oculare, corroborate da altri elementi come la testimonianza di un amico che ha soccorso i due e le immagini di una telecamera di sicurezza. Successivamente, però, il testimone chiave ritratta le sue accuse, e la persona ferita dichiara di non sapere chi gli abbia sparato.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’imputato ricorre in Cassazione lamentando due vizi principali della sentenza d’appello.

Il Primo Motivo di Ricorso: La Valutazione della Prova

La difesa sostiene che la condanna si fondi illogicamente solo sulle dichiarazioni di un testimone che ha cambiato versione più volte, ritrattando infine l’accusa. La Corte di Cassazione rigetta questo motivo. I giudici supremi ritengono che la Corte d’Appello abbia correttamente valutato le prove. Le prime dichiarazioni accusatorie, rese a caldo subito dopo l’evento, sono state considerate più attendibili perché spontanee e supportate da riscontri esterni (la scena del crimine, l’orario e la testimonianza del soccorritore). La successiva ritrattazione è stata logicamente interpretata come frutto della paura, un elemento emerso chiaramente dagli atti processuali. La responsabilità dell’imputato per i fatti è stata quindi confermata.

Il Secondo Motivo di Ricorso: La Qualificazione del Tentato Omicidio

Questo motivo viene invece accolto dalla Corte. La difesa contesta che l’azione di sparare alla gamba possa essere qualificata come tentato omicidio, sostenendo che mancasse la volontà di uccidere (dolo omicidiario). La Cassazione concorda sul fatto che la motivazione della Corte d’Appello su questo punto sia carente.

I giudici di merito avevano ritenuto sussistente il dolo di omicidio basandosi sull’alta probabilità che un colpo nella parte superiore della coscia possa ledere vasi sanguigni importanti, causando la morte per dissanguamento. Tuttavia, la Suprema Corte osserva che questa valutazione è incompleta.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, nel motivare l’annullamento parziale della sentenza, sottolinea che per accertare l’esistenza del dolo di omicidio non è sufficiente considerare solo l’idoneità dell’azione a provocare la morte. È necessario un giudizio complessivo che tenga conto di tutti gli indicatori della condotta.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha omesso di valutare elementi cruciali:

1. La distanza ravvicinata: l’aggressore ha sparato da pochi metri.
2. La posizione delle parti: l’imputato si trovava su un gradino più alto rispetto alla vittima.
3. Il comportamento successivo al fatto: dopo aver sparato, l’aggressore si è disinteressato della vittima, che era rimasta in piedi, senza infierire ulteriormente.

Questi elementi, secondo la Cassazione, avrebbero dovuto essere ponderati attentamente. La scelta di mirare alle gambe, pur potendo essere letale, e la mancata prosecuzione dell’azione offensiva sono indici che potrebbero contrastare con un’effettiva volontà di uccidere, suggerendo piuttosto un’intenzione lesiva o intimidatoria. La sentenza impugnata è stata quindi annullata limitatamente a questo punto, con rinvio alla Corte d’Appello per una nuova e più completa valutazione del dolo.

Le Conclusioni

Con la sentenza n. 1283/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la qualificazione di un’aggressione come tentato omicidio richiede una prova rigorosa dell’intento omicida. Non basta che l’azione sia potenzialmente mortale; il giudice deve esaminare ogni aspetto del comportamento dell’agente — prima, durante e dopo il fatto — per desumere in modo non equivoco la sua volontà. La decisione di sparare a una parte non vitale del corpo, come le gambe, e di non proseguire l’attacco, rappresenta un elemento significativo che deve essere attentamente considerato nel bilanciamento complessivo del giudizio sul dolo.

Una testimonianza inizialmente accusatoria, ma poi ritrattata, può ancora essere usata per una condanna?
Sì. Secondo la Corte, un giudice può ritenere più credibili le prime dichiarazioni se sono state rese nell’immediatezza dei fatti e sono corroborate da elementi di prova esterni. La successiva ritrattazione può essere svalutata se si ritiene che sia stata causata da fattori come paura o intimidazione.

Sparare a una persona alle gambe costituisce sempre tentato omicidio?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione chiarisce che, sebbene un colpo nella parte superiore della coscia sia potenzialmente letale, per configurare il tentato omicidio è necessario dimostrare l’intenzione di uccidere. I giudici devono valutare tutte le circostanze, come la distanza dello sparo, il numero di colpi e il comportamento dell’aggressore dopo il fatto. Se questi elementi indicano una volontà di ferire o intimidire, il reato potrebbe essere qualificato diversamente (es. lesioni aggravate).

Cosa significa “annullamento con rinvio” in una sentenza di Cassazione?
Significa che la Corte di Cassazione ha riscontrato un errore di diritto nella sentenza impugnata. Di conseguenza, annulla la decisione su quel punto specifico e rimanda il caso a un’altra sezione dello stesso giudice di grado inferiore (in questo caso, la Corte d’Appello) affinché emetta una nuova sentenza, attenendosi ai principi giuridici stabiliti dalla Cassazione stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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