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Tentato omicidio: quando si supera il limite?

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza di custodia cautelare per tentato omicidio, ritenendo insufficiente la motivazione del giudice. La sentenza sottolinea che, per distinguere tra lesioni aggravate e tentato omicidio, è necessaria una ricostruzione fattuale rigorosa che provi in modo inequivocabile l’intenzione di uccidere (animus necandi), specialmente quando l’intento iniziale era solo quello di ferire.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: la Prova dell’Intenzione di Uccidere Deve Essere Rigorosa

La distinzione tra lesioni personali aggravate e tentato omicidio è una delle questioni più delicate del diritto penale. La linea di demarcazione risiede nell’elemento psicologico dell’agente: l’intenzione di uccidere, o animus necandi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: per condannare per tentato omicidio, specialmente quando l’azione criminale sembrava inizialmente mirare solo a ferire, la prova di tale intenzione deve essere basata su una ricostruzione dei fatti precisa, dettagliata e logicamente ineccepibile. Vediamo nel dettaglio il caso e la decisione dei giudici.

I Fatti del Caso: da “Gambizzazione” a Presunto Tentato Omicidio

La vicenda trae origine da un agguato avvenuto in un contesto di criminalità organizzata per il controllo dello spaccio di droga. Un soggetto, su incarico di un mandante, doveva eseguire una “gambizzazione” ai danni di un membro di un clan rivale. L’obiettivo era un atto intimidatorio: ferire la vittima alle gambe.

Effettivamente, la vittima veniva attinta da quattro colpi di pistola alla gamba destra e alla mano. Le indagini successive, tuttavia, rivelarono che i proiettili provenivano da due armi diverse, indicando la partecipazione di almeno due persone all’agguato. La dinamica evidenziò che, dopo i primi colpi esplosi mentre la vittima scendeva dalla sua auto, altri colpi furono sparati mentre cercava di risalire a bordo, attingendo la parte inferiore della portiera e il vetro del finestrino.

Il Percorso Giudiziario e l’Appello per Tentato Omicidio

Inizialmente, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) non aveva ravvisato elementi sufficienti per la custodia cautelare per tentato omicidio, ma solo per reati legati alle armi. Il Pubblico Ministero, tuttavia, presentava appello, sostenendo che l’azione dovesse essere qualificata come tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso.

Il Tribunale del Riesame accoglieva l’appello del PM, ritenendo che durante l’esecuzione dell’agguato l’intento iniziale di ferire si fosse trasformato in un’autentica volontà di uccidere (animus necandi). Di conseguenza, disponeva la misura della custodia cautelare in carcere per l’indagato. Contro questa decisione, la difesa proponeva ricorso in Cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione e l’errata qualificazione giuridica del fatto.

La Decisione della Cassazione: la Necessità di una Prova Rigorosa

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale. La motivazione della Suprema Corte si concentra sulla carenza e sull’illogicità delle argomentazioni usate dal Tribunale per giustificare il passaggio da lesioni a tentato omicidio.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno evidenziato due criticità fondamentali nella decisione impugnata.

In primo luogo, la ricostruzione fattuale della vicenda è stata giudicata carente e imprecisa. Per qualificare un fatto come tentato omicidio, non basta affermare che sono stati sparati dei colpi. È essenziale analizzare in modo dettagliato la dinamica, in particolare la traiettoria, la direzione e l’altezza dei proiettili. Nel caso di specie, il Tribunale non aveva chiarito se gli ultimi colpi, quelli che avevano attinto la portiera e il finestrino, fossero stati diretti verso zone vitali del corpo della vittima. Sparare alla parte bassa di una portiera è compatibile con l’intenzione di colpire le gambe, mentre colpire il centro del finestrino potrebbe indicare un’intenzione diversa. Questa imprecisione, secondo la Corte, rende impossibile stabilire con certezza l’esistenza dell’animus necandi.

In secondo luogo, la Corte ha criticato il modo assertivo con cui il Tribunale ha desunto il mutamento del proposito criminale. Affermare che dall’intenzione di “gambizzare” si sia passati a quella di uccidere, senza individuare elementi concreti e plausibili che giustifichino una decisione così repentina e improvvisa, non è sufficiente. Manca, nella motivazione del Tribunale, un’analisi logica che spieghi perché e come l’intento degli aggressori sia cambiato durante l’azione.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine del diritto penale: la responsabilità penale è personale e deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Per configurare il grave reato di tentato omicidio, l’accusa deve fornire una ricostruzione fattuale inattaccabile, da cui emerga in modo chiaro e univoco l’intenzione di cagionare la morte. Quando l’azione è ambigua e può essere interpretata sia come un tentativo di ferire gravemente sia come un tentativo di uccidere, il giudice deve motivare in modo particolarmente rigoroso la sua scelta. In assenza di tale rigore, come nel caso esaminato, la decisione non può che essere annullata, demandando a un nuovo giudice una valutazione più approfondita e precisa dei fatti.

Quando un ferimento alle gambe (‘gambizzazione’) può essere qualificato come tentato omicidio?
Secondo la Corte, una ‘gambizzazione’ può essere qualificata come tentato omicidio solo se esistono prove concrete e una ricostruzione logica dei fatti che dimostrino in modo inequivocabile un cambiamento di intenzione, dall’originario proposito di ferire a quello di uccidere. La sola esplosione di più colpi non è sufficiente se la loro traiettoria non è chiaramente diretta verso zone vitali.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché ha ritenuto la motivazione del Tribunale carente e illogica. La ricostruzione della dinamica e della traiettoria dei colpi era troppo imprecisa per provare con certezza l’intenzione di uccidere (animus necandi). Il Tribunale si è limitato ad affermare il mutamento di intenzione senza supportarlo con elementi concreti.

Cosa succede ora nel procedimento?
Il procedimento torna al Tribunale del Riesame (giudice del rinvio) per una nuova valutazione. Questo giudice dovrà riesaminare tutti gli elementi, seguendo i principi indicati dalla Cassazione, per ricostruire in modo più rigoroso la dinamica dei fatti e stabilire, sulla base di prove concrete, se l’azione debba essere qualificata come tentato omicidio o come lesioni aggravate, decidendo di conseguenza sulla necessità della misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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