Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33304 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33304 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/10/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti g;i atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
crIgt ha NOME, — ,o GNe4er140
Il PG. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Messina del 25 ottobre 2023 con la quale, in parziale riforma della sentenza resa dal G.u.p. del Tribunale di Messina all’esito di giudizio abbreviato, è stato condannato alla pena di anni dieci di reclusione, in ordine al reato di tentato omicidio aggravato dai futili motivi, ai sensi degli artt. 56, 575 e 577, prim comma, n. 4, cod. pen., perché il 12 agosto 2022 aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di NOME, suo cugino.
In particolare, la Corte di appello ha accertato che l’imputato, ritenendo che il fratello della vittima, COGNOME NOME, avesse una relazione con la sua compagna, aveva deciso di punire in maniera indiretta quest’ultimo, aggredendo la parte offesa, la quale stava cercando di fare da mediatore tra i due. L’imputato, quindi, dopo aver convinto con un pretesto la vittima a recarsi presso l’abitazione della nonna, aveva aggredito COGNOME NOME alla schiena, colpendolo con un coltello, schiaffeggiandolo e, inoltre, infliggendogli una nuova coltellata alla tempia sinistra.
2. Il ricorrente articola tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 56 e 575 cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello non avrebbe chiarito le ragioni in forza delle quali ha ritenuto che gli atti posti in es dall’imputato fossero pienamente idonei a cagionare la morte della persona offesa, anche considerando che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’idoneità degli atti deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui aveva operato l’agente e delle modalità dell’azione.
Il ricorrente, poi, ritiene che la Corte di appello avrebbe omesso di valutare .v-G… che la condotta accertata non , cobiettivamente idonea a provare la morte della vittima, anche considerando che il medico che aveva avuto in cura la parte offesa si era limitato a rilasciare affermazioni probabilistiche, non idonee a suffragare l’idoneità degli atti.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe omesso di valorizzare in maniera corretta il fatto che la struttura sanitaria aveva formulato una prognosi di sol quindici giorni e che l’arma utilizzata, senza punta, non era affilata, essendo rappresentata da un mero coltello da cucina; l’imputato, inoltre, a differenza di quanto affermato in sentenza, aveva inferto un unico colpo, posto che le ulteriori lesioni presenti sul corpo della parte offesa non presentavano le caratteristiche
tipiche delle ferite da taglio, come confermato dalle dichiarazioni di COGNOME, nonna dell’imputato, la quale aveva riferito che la persona offesa, gridando, aveva lamentato di aver subito una sola coltellata alla schiena.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 42, 56, 575 e 582 cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato la scelta di ritenere che l’azione accertata stata sostenuta dal dolo diretto e non dal dolo eventuale, atteso che il fatto che t :> l’imputato, prima di porre in essere la condotta, aveva pronunciato la frase «cugino ti voglio bene» doveva essere valutata per ricostruire l’effettiva volontà del soggetto agente, in termini di mera accettazione del rischio della morte, compatibile quindi solo col dolo eventuale del soggetto agente.
D’altronde, dalla stessa lettura della sentenza di condanna, si evincerebbe che il colpo inferto, considerando la corporatura della parte offesa, non era stato tale da determinare un rischio di vita per la stessa.
Nel ricorso, pertanto, si evidenzia che il giudice di merito, rilevato il dol eventuale, avrebbe dovuto riqualificare il fatto nel reato di lesioni personali, atteso che il tentativo non è compatibile con tale istituto.
2.3. Con il terzo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 577, primo comma, n. 4, cod. proc. pen., 125 e 533 cod. proc. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte di appello avrebbe in maniera errata applicato la circostanza aggravante dei futili motivi in forza del fatto che la condotta sarebbe stata posta in essere per punire in maniera trasversale il presunto amante della compagna, senza considerare che non vi era prova del fatto che il movente del reato fosse stato la gelosia e non che l’aggressione fosse avvenuta a seguito di un litigio dal quale era determinata un’azione d’impeto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. I primi due motivi di ricorso non possono essere accolti in sede di legittimità.
Parte ricorrente, infatti, nel contestare il giudizio di responsabilità per tentativo di omicidio, muove da una del tutto personale disamina delle circostanze probatorie e non si confronta in modo adeguato con l’effettivo percorso argomentativo contenuto nelle decisioni di merito.
Va ricordato che è costante, sul tema, l’insegnamento di questa Corte, per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto
attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
Nel caso di specie, il Collegio ritiene che il giudice di merito abbia correttamente applicato il principio di diritto, secondo cui, in tema di omicidio tentato, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’animus necandi assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012).
La Corte di appello, infatti, ha evidenziato che era emerso che la vittima era stata attinta da più colpi, alla zona lombare e frontale sinistra, con un coltello da cucina seghettato avente una lama di 11 cm.
I colpi subiti gli avevano provocato un ematoma sulla regione lombare sinistra e una ferita lacero-contusa nella regione frontale.
Secondo il giudice di merito, i diversi distretti corporei attinti, prossimi organi vitali, e la pericolosità dell’arma adoperata erano elementi che avevano perfezionato il tentativo del reato di omicidio, posto che l’imputato aveva agito con la coscienza e volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare la morte della persona verso cui la condotta stessa era diretta, come anche confermato dal fatto che lo stesso, prima di porre in essere l’aggressione, aveva proferito la frase «ti voglio bene cugino».
Il giudice di merito, quindi, fornendo sul punto una motivazione ineccepibile, ha evidenziato che l’azione accertata, sulla scorta di un giudizio di prognosi postuma, era stata idonea a cagionare la morte della vittima.
Priva di pregio, quindi, risulta la doglianza formulata nel ricorso sul fatto che la struttura sanitaria aveva certificato che le lesioni subite dalla parte offes avevano una prognosi di quindici giorni.
In tema di tentato omicidio, infatti, la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa non costituisce circostanza idonea ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto può essere rapportabile anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702).
In ogni caso, già il giudice di primo grado aveva rilevato che il medico che aveva avuto in cura la parte offesa aveva affermato che il colpo inferto alla vittima avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi, se solo il paziente avesse avuto una corporatura più esile, e che la prognosi di quindici giorni era stata formulata in forza del fatto che il paziente aveva rinunciato al ricovero presso il reparto di chirurgia, aggiungendo che, qualora non ci fosse stato tale esplicito diniego al ricovero, lo stesso sarebbe stato probabilmente repertato con una prognosi riservata, per la possibile evoluzione delle lesioni.
Nel caso di specie, quindi, i giudici di merito, fornendo sul punto una motivazione chiara e lineare, hanno ritenuto che gli accadimenti e la loro sequenza non consentivano di affermare che il soggetto agente avesse voluto altro se non uccidere la vittima: il tipo di arma utilizzata, la forza impiegata, sede corporea attinta, infatti, facevano comprendere che l’evento morte non era stato rappresentato solo come possibile, ma perseguito nella sua concreta accadibilità.
1.2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondato è, infatti, il rilievo del mancato disconoscimento dell’aggravante dei futili motivi di cui agli artt. 577, primo comma, n. 4, e 61, primo comma, n. 1, cod. pen.: la Corte di merito ha espressamente fatto riferimento alla sproporzione tra le ragioni che hanno spinto l’imputato a porre in essere l’aggressione e la condotta realizzante l’evento delittuoso.
La circostanza aggravante in oggetto, infatti, sussiste tutte le volte in cui la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di lieve entità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa e da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha evidenziato che la condotta era stata posta in essere per punire, con una vendetta trasversale, il presunto amante della compagna, fratello della persona offesa.
La Corte di appello, quindi, ha evidenziato che l’unica colpa della vittima era stata quella di essere il fratello del presunto amante, dato sintomatico della abnormità della condotta dell’imputato, del tutto sproporzionata risetto all’eventuale stimolo a delinquere.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 08/05/2024