Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25801 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25801 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME COGNOME nato a COLOBRARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME I L.
che ha concluso chiedendo
I1=f 1.-G-r-ee1 COGNOME chiedendo il rigetto del ricorso.
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E’ presente l’avvocato COGNOME NOME COGNOME del foro di MATERA in difesa di COGNOME NOME che si associa alle conclusioni del P.G. e deposita conclusioni e nota spese.
E presente l’avvocato COGNOME del foro di MATERA in difesa di NOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Matera, con sentenza in data 22/11/2017, dichiarava NOME COGNOME colpevole del delitto di lesioni personali volontarie aggravate, così riqualificata l’originaria imputazione di tentato omicidio, escluse le circostanze aggravanti di avere commesso il fatto per futili motivi e di avere profittato di circostanze di luogo (zona isolata) e di persona (età avanzata), tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, nonché dei reati di minaccia aggravata e di porto di coltello in luogo pubblico senza giustificato motivo, e lo condannava, ritenute la continuazione e la recidiva, alla pena di un anno e sei mesi di reclusione.
La Corte di appello di Potenza, con sentenza in data 25/02/2021, in riforma della suddetta sentenza, previa riqualificazione della condotta lesiva ex artt. 56-575 cod. pen. ed esclusione della recidiva, condannava l’imputato alla pena di anni quattro, mesi otto e giorni quattordici di reclusione.
Con sentenza in data 22/02/2022 la Prima sezione della Corte di cassazione annullava la sentenza di cui in ultimo, per violazione degli artt. 178 e 179 cod. proc. e, in particolare, per il mancato rispetto del termine a comparire di cui all’art. 601 cod. proc. pen. e per l’omessa notifica del nuovo decreto di citazione in appello, con rinvio per detti adempimenti processuali alla Corte di appello di Salerno.
La Corte di appello di Salerno, con la sentenza in esame, in riforma della suddetta sentenza del Tribunale di Matera, appellata dal P.g. presso la Corte di appello di Potenza e da NOME COGNOME, ha dichiarato quest’ultimo responsabile del delitto di tentato omicidio contestatogli e, previa riqualificazione del reato previsto dall’art. 612, secondo comma, cod. pen. in quello di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, previa esclusione delle circostanze aggravanti dei futili motivi e della minorata difesa nonché della recidiva, lo ha condannato in ordine a detti reati, avvinti dal vincolo della continuazione, alla pena di anni nove e mesi uno di reclusione, dichiarando non doversi procedere per il porto in luogo pubblico del coltello senza giustificato motivo per essere estinto per intervenuta prescrizione.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia.
2.1. Col primo motivo di impugnazione viene dedotta violazione degli artt. 111 Cost. e 546, comma 1, cod. proc. pen. e vizio e/o assenza/ apparenza di motivazione per l’utilizzo del c.d. “copia incolla” rispetto alla sentenza della Corte di appello di Potenza annullata, nonché mancanza di motivazione rafforzata.
Lamenta il difensore che, trasfondendo quasi interamente nella sentenza in esame il contenuto della sentenza annullata, i secondi Giudici di appello non hanno elaborato un proprio autonomo convincimento e non hanno colto le peculiarità del nuovo giudizio, omettendo di motivare sulle nuove questioni poste dalla difesa nel corso del giudizio di rinvio.
In particolare, non hanno, nella prospettiva difensiva, rivalutato l’attendibilità delle dichiarazioni della parte civile, alla luce delle contestazioni formulate dalla difesa dell’imputato all’udienza del 23/03/2023 (di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale), e non hanno motivato su un punto decisivo, quale le caratteristiche delle ferite, indicate nel capo di imputazione come ferite da punta e taglio, ma risultanti dal referto del Pronto RAGIONE_SOCIALE ferite superficiali da taglio.
Si duole la difesa che la tecnica utilizzata per la redazione della sentenza si sia riverberata inevitabilmente anche sotto l’aspetto della mancanza della motivazione rafforzata, non avendo invero la Corte di appello di Salerno, pur avendo disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, spiegato le ragioni per cui la medesima prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa da quella ritenuta dal primo Giudice, pur utilizzando i due Giudici gli stessi elementi di fatto (utilizzo di un coltello, pluralità dei colpi sferrati e breve distanza tra i contendenti).
2.2. Col secondo motivo di ricorso si denunciano violazione dell’art. 23-bis d. I. n. 137 del 2020 in riferimento all’art. 603 n. 3 cod. proc. pen. e violazione del principio costituzionale del diritto di difesa.
Rileva il difensore che la Corte di appello ha incardinato il giudizio con rito cartolare, poi trasformato in rito partecipato a causa della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, e che tale trasformazione ha determinato la violazione del diritto di difesa, determinando uno stravolgimento delle dinamiche processuali e consentendo alla Pubblica Accusa, che nella prima fase del procedimento (non partecipata) concludeva per la conferma della sentenza di primo grado, di concludere, nella fase partecipata, per la riforma di detta sentenza e
conseguentemente la condanna alla pena di anni 7 di reclusione, con conseguente disorientamento del difensore. Si duole quest’ultimo che il contenuto dell’atto di appello del Procuratore generale, in cui quest’ultimo fa leva sulla valutazione della prova dichiarativa resa dalla parte civile costituita, che giustifica la rinnovazione dell’istruttoria, era già noto alla Corte distrettuale, che sin dall’inizio avrebbe dovuto incardinare il procedimento nelle forme del rito partecipato. Aggiunge che la trasformazione del rito, con contestuale citazione a giudizio delle parti, avrebbe dovuto indurre la Corte di appello, tra l’altro in diversa composizione, non a procedere direttamente all’escussione della parte civile, come ha fatto, ma a controllare la regolarità del contraddittorio e a disporre, nel contraddittorio delle parti, con nuova ordinanza, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale o, comunque, dare lettura degli atti precedentemente assunti.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione vengono rilevate nullità della sentenza per violazione dell’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. e violazione del principio dell’immutabilità del giudice.
Osserva il difensore che all’udienza partecipata del 20/03/2023 vi è stato mutamento della composizione del Collegio, con sostituzione del Presidente; e che di conseguenza il nuovo Collegio avrebbe dovuto rinnovare gli atti e, nel contraddittorio delle parti, disporre, con nuova ordinanza, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, peraltro superata dal passaggio dal rito cartolare al rito partecipato.
2.4. Col quarto motivo di ricorso si deducono violazione dell’art. 56 cod. pen., con conseguente errata riqualificazione giuridica del fatto nel delitto di tentato omicidio, pur in assenza dei presupposti dell’idoneità e dell’univocità della condotta, omessa valutazione dei fatti antecedenti e successivi e dei relativi elementi probatori, che avrebbero portato verso tutt’altra direzione.
Osserva il difensore che i Giudici di appello, rispetto ai Giudici di primo grado, che risultano avere valutato i fatti, anche quelli antecedenti e successivi, secondo un criterio sostanzialistico, hanno utilizzato un criterio formalistico, limitandosi alla sommatoria aritmetica delle circostanze (arma + pluralità di colpi) per giungere alla configurazione del fatto come tentato omicidio, senza considerare una serie di elementi. Quali: a) la superficialità delle lesioni, tali da non superare la profondità di 0,5 cm, senza dubbio non provocare alcun pericolo di vita, e potersi definire ferite da taglio e non da punta e taglio (denotanti un movimento
da destra verso sinistra e non dall’alto verso il basso), b) i distretti corporei colpiti (braccio, gamba e zona latero-cervicale), nei quali non vi sono organi vitali, non costituendo parametro dirimente la semplice presenza di vasi sanguigni importanti, c) idoneità solo astratta del mezzo, che avrebbe avuto idoneità concreta solo se affondato in regione toracica, ove hanno sede organi vitali. Elementi, che, secondo il difensore, escludono l’idoneità degli atti.
Rileva la difesa che, per potersi parlare di tentato omicidio, gli atti non solo devono essere idonei, ma anche inequivoci, nel senso che devono convergere in modo inequivoco verso l’evento letale.
Osserva, quindi, che nel caso in esame, sulla base della valutazione della condotta complessiva, non può parlarsi di inequivocità. Né con riguardo alla fase antecedente, essendo stato COGNOME, la persona offesa, a cercare l’imputato, a rivendicare un pagamento e a invitarlo ad allontanarsi dal centro abitato per continuare a discutere; né con riguardo alla fase esecutiva, in cui, a fronte della denuncia della vittima di un’aggressione con coltello, abbiamo la versione di COGNOME che dichiara di essere stato immediatamente colpito da una testata di COGNOME; né con riguardo alla fase successiva, essendosi, invero, l’imputato dopo avere proposto a COGNOME il pagamento dei danni subiti con accettazione dello stesso, allontanato volontariamente, come ammesso dalla stessa parte civile, e, quindi, avendo volontariamente desistito.
Aggiunge il difensore che la mancanza di univocità degli atti è desumibile anche dal tipo di lesioni cagionate, tutte superficiali e riconducibili ad una colluttazione (come da consulenza del P.m, che ne riconduce due – alla regione addominale e alla coscia sinistra – ai movimenti della vittima nel tentativo di evitare i colpi, e altre due – quella della mano e del braccio – al tentativo di disarmare il reo), come correttamente ritenuto dal primo Giudice, piuttosto che ad una volontà di uccidere.
2.5. Con il quinto motivo di impugnazione vengono dedotti violazione dell’art. 56, terzo comma, e vizio di motivazione circa il mancato riconoscimento dell’istituto della desistenza volontaria del reo.
Si duole la difesa che in entrambi i gradi di giudizio non sia stata valorizzata la desistenza volontaria, pur avendo la vittima dichiarato in dibattimento che l’imputato si è volontariamente fermato in seguito alla volontà espressa dalla stessa vittima di pagare i danni cagionati a COGNOME; e che, comunque, l’applicazione dell’istituto della desistenza
volontaria avrebbe portato all’obbligata riqualificazione del fatto in lesioni personali.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso si rileva travisamento probatorio da parte dei Giudici di appello laddove sostengono che solo grazie al pugno inferto dalla vittima al reo non si è verificato l’evento morte.
E ciò a fronte delle dichiarazioni della persona offesa che, all’udienza di primo grado, riferiva che, dopo che aveva bloccato la mano destra di COGNOME e lo aveva rassicurato circa il pagamento, lo stesso si era fermato ed era andato via, mentre, se avesse voluto uccidere, avrebbe colpito la vittima con la mano sinistra.
Rileva il difensore che, se è vero che quanto dichiarato da COGNOME all’udienza del 28 giugno 2017 è stato successivamente smentito dallo stesso all’udienza del 20 marzo 2023, allorquando a distanza di sei anni ha riferito che NOME si bloccava dopo aver ricevuto dei pugni, è anche vero che tali dichiarazioni di segno contrario sono state oggetto di contestazione durante il controesame della difesa e la Corte territoriale non ha spiegato perché ha scelto di valorizzare la seconda versione a scapito della prima. Soprattutto se si considera che la stessa è contrastante con le dichiarazioni dell’imputato, che ha riferito di essere stato colpito immediatamente da COGNOME quando era ancora in piedi, con una testata che gli ha provocato una ferita lacero contusa dell’arcata sopracciliare destra, e con le valutazioni medico-legali del consulente di parte circa l’incompatibilità della lesione sopraccigliare di COGNOME con un pugno sferrato da terra, sia perché la vittima da sdraiata non avrebbe potuto imprimere la forza necessaria sia perché in base alla posizione descritta da COGNOME lo stesso avrebbe dovuto colpire l’arcata sopracciliare sinistra e non quella destra.
2.7. Con il settimo motivo di impugnazione vengono dedotti violazione degli artt. 56 e 575 cod. pen. e vizio di motivazione circa l’elemento psicologico del tentato omicidio.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale ha COGNOME ritenuto apoditticamente sussistente il dolo alternativo, limitandosi all’indagine del fatto lesivo in senso stretto, peraltro errando nella valutazione della reiterazione, in particolare non considerando che fu casuale, sull’importanza delle parti attinte, sulla traiettoria dei colpi (produttivi di semplici ferite da taglio e non da punta e taglio), e sulla posizione delle parti, e omettendo di valutare l’intera progressione criminosa e, quindi, anche gli atti antecedenti e successivi a detto fatto lesivo.
2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso vengono denunciati violazione degli artt. 52 e 55 cod. pen. e vizio di motivazione della sentenza impugnata nell’esclusione della legittima difesa, anche nella forma putativa, per la sola mancanza di proporzionalità tra l’offesa subita e la reazione avuta senza considerazione degli ulteriori presupposti di legge.
Rileva il difensore che il primo Giudice esclude la legittima difesa secondo un parametro soggettivo, per avere l’imputato accettato lo scontro e usato l’arma contro una persona disarmata, mentre la Corte di appello la esclude secondo un parametro oggettivo (mancanza di proporzionalità); e che in entrambi i casi la valutazione è inadeguata ed insufficiente. In particolare, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare in concreto l’atteggiamento provocatorio della parte offesa, nei termini sopra descritti, e l’iniziale aggressione di COGNOME.
2.9. Col nono motivo di ricorso viene dedotto vizio di motivazione, anche come travisamento dei fatti, in relazione agli artt. 56 e 393 cod. pen.
Si duole la difesa che la Corte di appello nel condannare l’imputato anche per tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persona (in esso riqualificato il delitto di minaccia) si basi esclusivamente sulle dichiarazioni della parte civile, contraddittorie per quanto evidenziato e in alcun modo attendibili.
2.10. Con il decimo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione per violazione del principio del divieto della reformatío in peius di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
Rileva il difensore che la sentenza della Corte di appello di Potenza conteneva un errore macroscopico nel calcolo della pena, applicando erroneamente la riduzione di un terzo della pena per il rito, ma che essendo stato il ricorso per cassazione proposto solo dall’imputato con esito favorevole e rinvio per nuovo giudizio davanti alla Corte di appello di Salerno, quest’ultima non avrebbe potuto individuare una pena detentiva più grave previa eliminazione della riduzione per il rito erroneamente applicata. Osserva, invero, che in assenza di gravame da parte della Pubblica Accusa sul calcolo della pena, ancorché erroneo, andava ritenuto formatosi il giudicato.
2.11. Con l’undicesimo motivo di impugnazione si eccepisce vizio di motivazione in relazione alle circostanze attenuanti generiche e alla riduzione della pena prevista dall’art. 56 cod. pen.
Si rileva che la Corte di appello, in considerazione delle non allarmanti gravità del fatto e personalità dell’imputato, di cui dà atto la stessa Corte, avrebbe dovuto concedere dette attenuanti; e che, trattandosi di imputato quasi incensurato e di fatto non particolarmente grave, avrebbe dovuto applicare il massimo della riduzione della pena per il tentativo (fino a 2/3).
Il difensore insiste, alla luce dei suddetti motivi, per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. Il primo motivo è infondato, in quanto la Corte territoriale, in sede di rinvio, dà comunque prova dell’autonoma valutazione rispetto alla sentenza di appello annullata, utilizzando termini in parte diversi e soprattutto riqualificando la minaccia aggravata in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Diversamente da come lamentato, detta Corte valuta le dichiarazioni della parte civile in maniera rigorosa, così come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, confrontandosi anche con i rilievi di cui alla memoria difensiva depositata in sede di rinvio. Evidenzia che il narrato della suddetta, raccolto all’esito di esame e controesame condotto dalle parti nel pieno contraddittorio in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, si è presentato lineare, logico e scevro da contraddizioni di sorta; e che lo stesso ha trovato pieno riscontro negli esiti dell’attività di perquisizione e sequestro degli abiti insanguinati dell’aggressore e del coltello utilizzato per ferire COGNOME e nei referti medici ospedalieri agli atti, che certificano le plurime e gravi lesioni riportate da quest’ultimo, in uno con l’accertamento medico legale circa la compatibilità dei postumi con la dinamica dell’evento riferito dall’aggredito agli inquirenti. Valorizza la tipologia delle diverse lesioni da arma da taglio, quale incontrovertibile conseguenza dei colpi di coltello inferti da NOME, e il fatto che l’arma sottoposta a sequestro presenti tracce ematiche, al pari degli abiti indossati dal ricorrente. Descrive correttamente le ferite come da taglio, precisando che le stesse erano causate da una lama che si trovava in posizione perpendicolare rispetto alla zona attinta, non già frontale.
Va, inoltre, osservato, con riferimento alla lamentata mancanza di una motivazione rafforzata – che, invece, per quanto si dirà, sussiste –
che il giudice di appello, in caso di riforma in peius della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto che sia fondata sulla identica valutazione delle risultanze probatorie anche dichiarative, non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – che, invece, nel caso in esame si è ritenuto di disporre – né ad una motivazione rafforzata (Sez. 6, n. 10584 del 30/01/2018, COGNOME Rubeis e altro, Rv. 273742).
1.2. Anche il secondo motivo è infondato.
La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (richiesta in sede di gravame dal P.g. appellante, ma da nessuna delle parti invocata all’atto delle conclusioni scritte) disposta ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. dalla Corte di appello di Salerno, imponeva il passaggio al rito partecipato e non si comprende in che modo sarebbe stato leso il diritto di difesa.
Invero, il comma 1 dell’art. 23-bis del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, prevede che “fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione degli appello contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire”.
Una volta cambiato il rito ed assunta la prova, nulla poi impediva che la Procura generale modificasse le proprie determinazioni, da quelle di conferma della sentenza di primo grado a quelle di riforma con la configurazione del reato come tentato omicidio anziché lesioni volontarie come riconosciuto dal primo Giudice, considerato che, peraltro, in tal senso era il suo atto di gravame. Né è pertinente la doglianza secondo cui il rito avrebbe dovuto essere instaurato quale partecipato fin dall’inizio, attesa la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale del P.g., non avendo alcuna delle parti fatto richiesta in tal senso ed essendo la regola il rito cartolare. Né è pertinente il rilievo secondo cui la rinnovazione della prova avrebbe dovuto essere effettuata in contraddittorio, atteso che, comunque, essendo oggetto dell’atto di gravame del P.g., il contraddittorio era stato già instaurato cartolarmente.
1.3. Infondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso, col quale la difesa lamenta che il Giudice dell’ammissione della prova non è stato quello dell’assunzione della stessa (essendo mutata la composizione del collegio
con la sostituzione del Presidente) e che non è stata emessa ulteriore ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale dal nuovo collegio.
Il motivo è infondato proprio alla luce della pronuncia di questa Corte richiamata dal ricorrente, Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, P.g. c/ Bajrami, Rv. 276754 – 02, secondo cui l’intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 cod. proc. pen. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Nel caso in esame, invero, le parti hanno prestato il consenso alla prosecuzione del processo con il collegio diversamente composto e non hanno sollecitato modifiche o revoche del provvedimento di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
1.4. Il quarto motivo di impugnazione, sulla riqualificazione giuridica del fatto in tentato omicidio, è altrettanto infondato.
La Corte territoriale – da p.9 in poi – si confronta con la sentenza di primo grado e disattende una ad una – nell’ottica della motivazione rafforzata – le argomentazioni poste dalla stessa a fondamento della ritenuta volontà meramente lesiva, attenendosi ai canoni giurisprudenziali secondo cui la valutazione va fatta con prognosi postuma ex ante e in concreto.
Rileva, invero, la Corte territoriale la non condivisibilità della valutazione del primo Giudice, secondo cui la superficialità delle ferite da taglio inferte, tali da non avere mai attinto parti vitali della vittima, e la minaccia proferita da COGNOME di uccidere COGNOME solo in un momento successivo ai fatti non avrebbero deposto per una volontà omicida, quanto piuttosto per una volontà meramente lesiva. Osserva, al riguardo, che l’escussione ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., all’udienza camerale partecipata del 20 marzo 2023 e quindi nel contraddittorio delle parti, di NOME COGNOME ha contribuito alla corretta ricostruzione dei fatti. Osserva che lo stesso ha chiarito i pregressi dissapori con l’imputato per la vendita di un terreno e per motivi di vicinato, specificando che il giorno dei fatti, dopo essersi entrambi appartati nei pressi del cimitero locale per chiarire la questione, appena scesi dalle rispettive auto, NOME estraeva dalla tasca posteriore destra dei pantaloni un coltello a serramanico già aperto e che, essendo COGNOME caduto a terra
inciampando nella fuga, veniva subito raggiunto dall’imputato che bloccava la vittima nel frattempo giratasi in direzione del suo aggressore, ponendosi a cavalcioni della stessa e sferrandole varie coltellate, dapprima alla gamba sinistra e subito dopo al collo. Rileva la Corte che COGNOME, secondo il suo narrato, in un disperato tentativo finale di difendersi dai colpi di COGNOME, afferrava con la sua mano sinistra la lama del coltello in tal modo procurandosi una ferita da taglio al palmo della mano e riusciva poi a disarmare il suo aggressore colpendolo alla fronte con un pugno sferrato con la sua mano destra. Osserva che, così ricostruiti gli accadimenti avvenuti in fatto, risulta configurabile il tentativo di omicidio e certa l’idoneità dell’azione secondo una ricostruzione che ha riguardo ex post alla situazione che si presentava ex ante all’imputato. Rileva, invero, che, inoltre, appare indubitabile, diversamente da quanto affermato dal Tribunale di Matera, che la brevità della distanza tra i corpi, la posizione della vittima schiacciata dal corpo dell’imputato posto a cavalcioni sulla stessa, il tipo di arma utilizzata per colpirla, ovvero un coltello con lama d’acciaio, da punta e da taglio, della lunghezza di cm.10, la reiterazione dei colpi inferti pari a cinque, sferrati quando COGNOME era rovinato in terra e costretto in condizioni di non poter reagire sotto le gambe di COGNOME, e i distretti corporei attinti (il collo, l’addome, la coscia, zone sensibili alla vita perché irrorate dalla circolazione sanguigna primaria), costituiscono elementi certi e inopinabili in ordine all’esistenza nel COGNOME di un evidente animus necandi. Osserva che erroneamente il primo Giudice ha considerato non vitali distretti corporei della vittima notoriamente caratterizzati dal passaggio di arterie e di indubbia sensibilità vitale e non ha adeguatamente considerato come solo la reazione della vittima abbia costituito una causa esterna, imprevedibile e indipendente dalla volontà del soggetto agente, capace di contenere gli esiti probabilmente letali della tipicità perpetrata dall’imputato. Rileva che anche la scarsa entità delle lesioni provocate alla persona offesa non è un’eventualità idonea ad escludere l’intenzione omicida nell’imputato. Aggiunge, detta Corte, che nella specie NOME indirizzava cinque colpi di un’arma da punta e da taglio, certamente idonea ad uccidere, su distretti vitali della parte civile costituita mentre questa era caduta in terra ed era stata posta in estrema difficoltà di movimento dall’azione dell’imputato; e che, dunque, solamente grazie alla strenua difesa della vittima, che riusciva a deviare alcuni colpi e a bloccare il coltello, i colpi andati a segno erano solamente cinque, con
efficacia lesiva della condotta idonea e inequivoca, attenuata solamente da tale causa esterna (il pugno in volto sferrato in extremis da COGNOME e il bloccaggio del coltello, disperatamente effettuato con il palmo della mano) volta ad interrompere il proposito omicida. Conclude nel senso che, anche considerato il forte risentimento nutrito dall’imputato che ha costituito il movente della sua azione, non può dunque ragionevolmente negarsi la sussistenza del dolo diretto nello stesso, nella specie di dolo alternativo, in ragione sia della reiterazione dei colpi, sia delle parti del corpo attinte, sia della traiettoria dei colpi, dall’alto verso il basso, inferti allorquando COGNOME era già caduto a terra ed era immobilizzato; elementi inequivocabilmente sintomatici di detto dolo, che fanno ritenere che l’imputato si fosse rappresentato e avesse voluto il ferimento grave o la morte della persona offesa in maniera non differenziata.
A fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici è evidente che i rilievi difensivi che insistono sull’utilizzo di un criterio meramente formalistico e ritornano sulla superficialità delle lesioni, sui distretti corporei attinti, sull’idoneità solo astratta del mezzo utilizzato e sull’equivocità degli atti, per avere peraltro iniziato l’aggressione COGNOME, dimostrano la loro infondatezza ai limiti dell’inammissibilità, laddove non si confrontano con tali argomentazioni sollecitando una non consentita rivalutazione di elementi fattuali.
1.5. Anche il quinto motivo di ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità.
La Corte di appello si confronta con la tesi della desistenza volontaria (a p. 16) escludendola e in particolare rilevando come la condotta delittuosa fu interrotta per la reazione difensiva della vittima, che sferrava un pugno all’imputato con una mano e bloccava la lama con l’altra mano, e non per il consenso di COGNOME alla richiesta di denaro formulata dal proprio aggressore, reso mentre lo stesso si trovava ancora a terra. Osserva, invero, la Corte territoriale che quando ciò avveniva la mano armata dell’imputato già era stata fermata dalla persona offesa, per cui il dato dell’accettazione del debito – cronologicamente posteriore all’ultimo frammento di tentativo idoneo e inequivoco – è da ritenersi giuridicamente neutro, siccome inidoneo a determinare uno svilimento dell’idoneità e inequivocità del tentativo omicidiario, ovvero ad incidere in alcun modo sul suo compiuto perfezionamento. Detta Corte rileva, inoltre, che, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Matera, sulla base di tali considerazioni, la scelta di fermarsi dell’imputato è stata
causata solo dalla ferma reazione difensiva di COGNOME, piuttosto che essere sintomo postumo di un’assenza di dolo omicidiario.
1.6. Altrettanto infondato è il sesto motivo di impugnazione.
Invero, la Corte territoriale fa leva sulla traiettoria dei colpi dall’alto verso il basso, come da consulenza medico-legale del P.m. e referti medici ospedalieri, che rendono verosimile la versione fornita dalla persona offesa nelle dichiarazioni di chiarimento dinanzi alla medesima Corte in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
1.7. Infondato è anche il settimo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, diversamente da come lamentato dalla difesa, valuta l’intera progressione criminosa, escludendo, sulla base della stessa valutazione delle dichiarazioni di parte civile, ritenute lineari, logiche e scevre da contraddizioni di sorta, nonché riscontrate dai referti medici e dall’accertamento medico-legale, l’aggressione iniziale e la desistenza finale, e, quindi, inferendo dalla condotta complessivamente considerata il dolo alternativo.
1.8. Anche l’ottavo motivo è infondato, alla luce delle argomentazioni non manifestamente illogiche e scevre da vizi giuridici della sentenza in esame sull’esclusione della legittima difesa anche nella forma putativa e come eccesso colposo (da p. 24 in poi), a fronte delle quali le censure difensive, che comunque muovono dalla sussistenza al riguardo di una doppia conforme, dimostrano la loro infondatezza.
Viene, invero, evidenziata la compatibilità, dimostrata dalla consulenza tecnica del P.m. e dai referti medici ospedalieri, delle lievi lesioni da pugno sul volto di COGNOME con la reazione di difesa della vittima per sottrarsi ai colpi perpendicolari reiterati ad essa inferti dall’imputato, rilevandosi come stesse siano lungi dall’essere state causate da una previa aggressione di COGNOME; e ciò perché le ferite sul corpo di COGNOME erano causate da una lama in posizione perpendicolare rispetto alla zona attinta, non già frontale. Si sottolinea che detta consulenza e detti referti hanno dimostrato inequivocabilmente che la tipicità del tentativo idoneo è stata perpetrata da COGNOME solo quando COGNOME era ormai a terra, inerme sotto la morsa dell’imputato, e che mai da quella posizione la parte civile avrebbe potuto attingere per primo il vero aggressore; e, quindi, che la ricostruzione nel senso della legittima difesa è disancorata da dati fattuali e difetta del requisito della proporzionalità. Infine, si esclude l’eccesso di legittima difesa e la legittima difesa putativa, avendo l’imputato attentato con un’arma da
taglio all’incolumità di COGNOME (disarmato) mirando a zone vitali del corpo, e non avendo mai, a propria volta, subito alcuna lesione dimostrativa di un’aggressione precedentemente patita che avrebbe potuto teoricamente giustificare la sua asserita reazione.
1.9. Inammissibile per genericità è il nono motivo di impugnazione, in cui ci si duole di una contraddittorietà delle dichiarazioni della parte civile non meglio specificata.
E ciò, a fronte di una motivazione che, proprio con riferimento alla non credibilità di COGNOME denunciata col gravame, evidenzia che il racconto dei fatti effettuato dalla parte civile, anche con riguardo quindi alla minaccia derubricata in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è stato chiaro e scevro da fini calunniatori, attesa la mancanza di intenti persecutori nei confronti dell’imputato, per essersi limitata la persona offesa a porre in evidenza un fatto oggettivo, ovverosia il litigio nel cui corso venne aggredita verbalmente prima e fisicamente poi dall’imputato, peraltro ricevendo il narrato specifici riscontri estrinseci.
1.10. Destituita di fondamento è la censura di reformatio in peius, di cui al decimo motivo di ricorso, che sarebbe conseguita all’eliminazione operata dalla sentenza in esame della riduzione per il rito erroneamente calcolata nella sentenza della Corte di appello di Potenza.
Invero, il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio ma, qualora la sentenza d’appello sia stata annullata per ragioni esclusivamente processuali, esso ha riguardo alle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, in quanto la sentenza di secondo grado annullata non ha determinato il consolidamento di alcuna posizione sostanziale (Sez. 3, n. 9698 del 17/11/2016, dep. 2017, M., Rv. 269277: nella specie, la sentenza di primo grado aveva condannato l’imputato alla pena di dieci anni di reclusione, mentre quella d’appello, che la aveva ridotta ad anni sei e mesi sei, era stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione in relazione alla mancata nomina dell’interprete; in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la nuova condanna dell’imputato, in sede di rinvio, alla pena di anni dieci di reclusione).
Ne deriva che la sentenza di appello emessa in sede di rinvio si sostituisce alla precedente, il cui annullamento per ragioni processuali la rende tamquam non esset; e che neppure può farsi il raffronto con la sentenza di primo grado che aveva derubricato il tentato omicidio in lesioni ed era stata appellata dal Pm.
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1.11. Inammissibile è, infine, l’undicesimo motivo di ricorso, alla luce delle argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici della sentenza impugnata sul diniego delle circostanze attenuanti generiche e sull’individuazione di una pena base superiore al minimo edittale previsto per il tentato omicidio.
Invero, i Giudici dell’appello fanno leva, con riferimento al primo profilo, sull’assenza di un comportamento collaborativo dell’imputato, che arrestato mentre era ancora in possesso dell’arma, non ha dimostrato resipiscenza, avendo, invece, fornito una versione di comodo, riferendo di essere stato aggredito per primo da COGNOME, nonché sulla estrema gravità dei fatti e sul concreto elevato allarme sociale suscitato, dimostrativi di pessima personalità, incapace di dominare gli istinti violenti e criminali; e, con riferimento al secondo profilo, sulla gravità del tentativo, desunta, ai sensi dell’art. 133 cod. pen. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo e dal luogo del reato, e dalla gravità del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato stesso. Evidenziano, inoltre, in assoluta conformità alla costante giurisprudenza di legittimità, come l’obbligo di motivazione rafforzata sussista solo quando ci si discosti di molto dal minimo edittale e non quando, come nel caso in esame, venga irrogata una sanzione al di sotto della media (p. 34-35).
Orbene, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali.
L’imputato va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado di giudizio dalla parte civile NOME COGNOME, che si ritiene equo liquidare, in considerazione dell’impegno professionale profuso, come da dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, COGNOME inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 6.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2024.