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Tentato omicidio: quando l’azione è idonea a uccidere

Un uomo viene condannato per il tentato omicidio del fratello. La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, confermando che colpire ripetutamente la testa con un corpo contundente e tentare di soffocare la vittima con un sacchetto sono atti idonei a uccidere, a prescindere dal mancato ritrovamento dell’arma o dalla mancata analisi forense del sacchetto.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Quando la Condotta Rende Superflua Ogni Altra Prova

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33392/2025, torna a delineare i confini del tentato omicidio, chiarendo quali elementi siano decisivi per qualificare un’aggressione come tale, anche in assenza di prove considerate cruciali dalla difesa, come l’arma del delitto o specifiche analisi forensi. La pronuncia offre importanti spunti di riflessione sull’idoneità degli atti a causare la morte e sulla valutazione del dolo omicidiario, confermando la solidità di un impianto accusatorio basato sulla logica e coerenza della ricostruzione fattuale.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria nasce da una violenta aggressione tra fratelli. L’imputato era stato condannato sia in primo grado che in appello per il tentato omicidio del proprio fratello. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’aggressore aveva colpito ripetutamente la vittima alla testa e al volto con un oggetto contundente, facendola cadere a terra. Non contento, aveva poi tentato di soffocarla con una busta di plastica, desistendo solo per l’arrivo di un passante che, sentendo le urla, era intervenuto. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’errata valutazione delle prove e sostenendo che i fatti avrebbero dovuto essere qualificati come semplici lesioni, data la rapida dimissione della vittima dall’ospedale (dopo soli due giorni) e il mancato ritrovamento dell’arma. Inoltre, la difesa contestava l’assenza di analisi specifiche (impronte digitali e gruppo sanguigno) sul sacchetto di plastica rinvenuto sulla scena del crimine.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando integralmente le sentenze di condanna dei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Il compito della Corte non è rivalutare le prove, ma verificare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, le decisioni dei giudici di primo e secondo grado (una cosiddetta “doppia conforme”) sono state ritenute solide, esaustive e prive di vizi logici.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le censure difensive, offrendo chiarimenti cruciali sul tema del tentato omicidio.

In primo luogo, è stato sottolineato come l’idoneità dell’azione a causare la morte non dipenda dall’esito finale (la vittima è sopravvissuta), ma dalla sua potenzialità lesiva intrinseca. Gli elementi valorizzati dai giudici sono stati:

* La natura dell’azione: L’uso ripetuto di un corpo contundente.
* La zona corporea colpita: La testa, sede di organi vitali.
* La gravità delle lesioni: Nonostante le dimissioni, la vittima aveva riportato fratture ossee craniche e un ematoma subdurale, lesioni tutt’altro che superficiali.
* La progressione criminale: L’ulteriore tentativo di soffocamento con un sacchetto di plastica, atto che di per sé è inequivocabilmente diretto a provocare la morte.

Questi elementi, considerati nel loro insieme, sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare l’esistenza di atti “idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte”, come richiesto dall’art. 56 c.p. per il tentato omicidio. Il mancato ritrovamento dell’arma è stato giudicato irrilevante, così come la mancata esecuzione di una perizia sul sacchetto insanguinato, ritenuta superflua di fronte all’oggettività del suo ritrovamento e alla coerenza del quadro probatorio generale.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce che la prova del tentato omicidio e del relativo dolo omicidiario si basa su una valutazione complessiva degli indizi e della logica della condotta dell’agente. Non è necessario il ritrovamento dell’arma o l’esecuzione di ogni possibile accertamento tecnico quando la dinamica dei fatti, la parte del corpo attinta e la natura delle lesioni parlano chiaro. La decisione della Corte di Cassazione conferma che l’intento di uccidere può essere desunto, con ragionevole certezza, dalla manifesta idoneità dell’azione a produrre l’evento letale, consolidando un orientamento giurisprudenziale che privilegia la coerenza logica della ricostruzione fattuale rispetto a singole lacune investigative non decisive.

Quando un’aggressione si qualifica come tentato omicidio e non come semplici lesioni?
Si qualifica come tentato omicidio quando gli atti compiuti sono, per la loro natura, la parte del corpo colpita e la loro intensità, oggettivamente idonei a causare la morte e diretti in modo non equivoco a tale scopo. Nel caso di specie, i colpi ripetuti alla testa con un corpo contundente e il successivo tentativo di soffocamento sono stati ritenuti tali.

Il mancato ritrovamento dell’arma del delitto impedisce la condanna per tentato omicidio?
No. La sentenza chiarisce che il mancato ritrovamento dell’arma o del corpo contundente non è un elemento decisivo e non impedisce di affermare la responsabilità per tentato omicidio, se il resto del quadro probatorio (testimonianze, natura delle lesioni, dinamica dell’aggressione) è solido e coerente.

È sempre necessaria una perizia su un oggetto (es. un sacchetto) per provarne l’uso in un’aggressione?
No, non è sempre necessaria. La Corte ha stabilito che l’omissione di un accertamento peritale, come quello per le impronte o il sangue su un sacchetto, non inficia la validità della prova quando altri elementi oggettivi, come il suo ritrovamento sulla scena del crimine e la coerenza con la dinamica dei fatti, rendono superfluo tale accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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