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Tentato omicidio: quando l’azione è idonea a uccidere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per tentato omicidio. La Corte ha confermato che per configurare il reato non è necessario l’evento morte, ma è sufficiente che l’azione, valutata per i mezzi usati e la direzione, sia idonea a cagionare la morte e supportata da dolo omicidiario, come nel caso di un accoltellamento al torace.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Quando un’Azione è Idonea a Uccidere? La Sentenza della Cassazione

Recentemente, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di tentato omicidio, ribadendo i principi fondamentali per la configurazione di questo grave reato. La decisione sottolinea come, per affermare la responsabilità, non sia necessario il verificarsi dell’evento morte, né tantomeno di lesioni gravi. Sono invece determinanti l’idoneità dell’azione a provocare il decesso e la presenza di un chiaro intento omicida (dolo) nell’aggressore. Analizziamo insieme questa importante ordinanza.

I Fatti del Caso: un’Aggressione Violenta

La vicenda trae origine da una violenta aggressione ai danni di un agente di Polizia. L’imputato, servendosi di un coltello a serramanico con una lama di sei centimetri, aveva colpito l’agente all’addome. Un altro individuo, intervenuto per difendere l’agente, era stato a sua volta ferito al fianco. L’aggressore aveva inoltre opposto resistenza all’arresto e danneggiato l’auto di servizio. Per questi fatti, era stato condannato in primo e secondo grado a dieci anni di reclusione per tentato omicidio, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento.

Il Ricorso in Cassazione: la Tesi Difensiva

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la qualificazione del fatto come tentato omicidio. La difesa sosteneva, in sostanza, che l’azione commessa non fosse concretamente idonea a causare la morte della vittima. Secondo questa tesi, mancava un elemento essenziale del reato tentato: l’idoneità degli atti a raggiungere l’obiettivo criminale, ovvero l’uccisione dell’agente.

Il Dolo nel Tentato Omicidio: l’Analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, definendo il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva correttamente e logicamente desunto la sussistenza del dolo omicidiario da una serie di elementi oggettivi e inequivocabili:

1. La potenzialità dell’arma: Un coltello a serramanico con lama di sei centimetri è uno strumento con un’elevata capacità di ledere e penetrare in profondità i tessuti, rendendolo assolutamente idoneo a uccidere.
2. La zona del corpo colpita: L’aggressore ha indirizzato fendenti violenti verso il busto e l’addome, aree del corpo che ospitano organi vitali. Colpire queste zone dimostra una chiara volontà di causare un danno letale.
3. Le circostanze dell’azione: La morte è stata evitata solo grazie alla pronta reazione difensiva della vittima e all’immediato intervento di altre persone. Questo fattore esterno non diminuisce la gravità dell’intento iniziale.
4. Le minacce di morte: L’imputato aveva rivolto reiterate minacce di morte alla vittima, un elemento che rafforza ulteriormente la prova del suo dolo omicidiario.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ricordato che, ai sensi dell’art. 56 del codice penale, per configurare il tentativo non si deve guardare all’evento finale (che, per definizione, non si è verificato), ma alla condotta dell’agente. È necessario valutare quali mezzi siano stati usati, come siano stati usati e se l’azione, nel suo complesso, fosse diretta in modo non equivoco a commettere il delitto. Di conseguenza, può esistere un tentato omicidio anche nel caso in cui la vittima rimanga completamente illesa, se l’azione era potenzialmente mortale e sorretta dalla volontà di uccidere. Il ricorso è stato giudicato inammissibile anche perché si limitava a riproporre una diversa lettura dei fatti, compito che non spetta al giudice di legittimità, il cui ruolo è solo quello di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio cardine del diritto penale in materia di tentato omicidio. La valutazione del giudice deve concentrarsi sull’intenzione dell’aggressore e sulla pericolosità oggettiva della sua condotta al momento in cui viene posta in essere. Il fatto che la vittima si salvi per fortuna, per la propria abilità difensiva o per l’aiuto di terzi non è sufficiente a escludere la gravità del reato. La decisione conferma che la giustizia valuta non solo il risultato, ma soprattutto l’intenzione criminale e il pericolo concreto creato dalla condotta illecita.

Per configurare il tentato omicidio è necessario che la vittima subisca lesioni gravi?
No, la Corte chiarisce che può esistere il delitto tentato di omicidio anche se la vittima designata rimane illesa. Ciò che conta è che l’azione sia oggettivamente idonea a causare la morte e che l’agente abbia agito con l’intento di uccidere.

Quali elementi usa la Corte per accertare l’intento di uccidere (dolo omicidiario)?
La Corte ha dedotto l’intento omicidiario da elementi oggettivi quali: la potenzialità lesiva dell’arma usata (un coltello a serramanico), la direzione dei colpi verso zone vitali del corpo (busto e addome) e le reiterate minacce di morte rivolte alla vittima.

Qual è il compito della Corte di Cassazione in un caso come questo?
Il compito della Corte di Cassazione non è riesaminare i fatti, ma verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e fornito una motivazione logica, coerente ed esaustiva per la loro decisione, senza contraddizioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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