Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9173 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9173 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in COSTA D’AVORIO il 12/06/2000
avverso la sentenza del 04/07/2024 della Corte d’appello di Palermo
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza del 16/01/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale dell medesima città, che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole dei reati di tentato omicidio e lesioni in danno di poliziotti, nonché resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento (per aver accoltellato all’addome l’Assistente di P.S. NOME COGNOME servendosi di un coltello a serramanico con lama lunga e appuntita; per aver attinto – con il medesimo strumento – NOME COGNOME intervenuto per difendere COGNOME attingendolo all’altezza dell’ipocondrio sinistro e, in tal mo provocandogli lesioni accompagnate da prognosi di guarigione di diciotto giorni; per aver opposto resistenza alle pattuglie di poliziotti, intervenuti nella quasi flagranza degli episodi di t omicidio e lesioni; per aver tagliato gli pneumatici dell’autovettura di proprietà di NOME COGNOME e – previa esclusione delle circostanze attenuanti generiche concesse in primo grado – lo ha condannato alla pena di anni dieci di reclusione, con le già applicate pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale, durante il tempo di esecuzio della pena, oltre che con condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civ
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, a mezzo del quale vengono cumulativamente denunciati vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., sostenend erronea applicazione degli artt. 56 e 575 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla ritenuta idoneità della condotta a cagionare l’eve morte.
Giova ricordare, in primo luogo, come il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; la Corte d cassazione ha il diverso compito, infatti, di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutt elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica, nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta d determinate conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv 203428; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv 235507).
3.1. Svolta la sopra indicata premessa di tenore metodologico, si rileva che la contestata valutazione organica delle risultanze processuali è stata, invece, correttamente ed esaustivamente condotta, da parte della Corte di merito. I giudici di secondo grado hanno svolto, infatti, le argomentazioni in rapporto alle doglianze difensive poste a fondamento dei punti de gravame, che hanno analiticamente ripercorso in modo puntuale; non hanno mancato di
confrontarsi, peraltro, con l’esposizione dei fatti e con la specifica e articolata disamina d emergenze probatorie, contenute nella sentenza del primo Giudice.
3.2. La censura attinente al reato di tentato omicidio, che la difesa auspica venga ritenuto insussistente, sulla base del fatto che l’azione non fosse idonea a cagionare l’evento dannoso (sostiene la difesa, in particolare, la inadeguatezza a determinare esiti letali del col adoperato) risulta radicalmente inammissibile, in quanto confutativa e reiterativa. I giudici merito, in realtà, hanno desunto la sussistenza del dolo omicidiario, nel comportamento tenuto dal ricorrente nei confronti della vittima, attraverso una ponderazione del tutto corretta, in ord alle concrete modalità esecutive che hanno connotato la condotta incriminata. La Corte ha sottolineato, dunque, la sussistenza del dolo omicidiario, ricavandolo dal ferreo collegamento logico fra i seguenti elementi oggettivi:
la sicura potenzialità lesiva dello strumento adoperato (un coltello a serramanico con lama di sei centimetri, ossia uno strumento sicuramente dotato di particolare attitudine a lacerare tessuti, nonché a penetrare in profondità);
l’aver indirizzato plurimi e veementi fendenti verso il busto e l’addome della vittima, che no hanno sortito l’effetto mortale grazie alla pr’ontezza difensiva della vittima e all’immedi intervento, in suo soccorso, di numerosi passanti;
le reiterate minacce di morte, rivolte dall’imputato alla vittima.
3.3. Questo Collegio, quindi, può limitarsi a sottolineare come il convincimento raggiunto dai giudici del merito – in tema di sussistenza del fatto e di qualificazione giuridica dello st in termini di tentato omicidio – sia stato esposto attraverso una struttura motivaziona rigorosamente coerente, oltre che ampia ed esaustiva. Può ricordarsi, peraltro, che la norma di cui all’art. 56 cod. pen. prende in considerazione l’evento solo in punto di sussistenza dell volontaria desistenza o del ravvedimento attuoso; ciò sta a significare che – ai fini de configurabilità del tentativo – si deve considerare non l’evento stesso, bensì la condotta e, quind valutare quali siano e come siano stati adoperati i mezzi del delitto, se l’azione abbia avuto un direzione non equivoca e, infine, quale sia l’elemento soggettivo che sorregge l’azione. Deriva da ciò che ben può esservi delitto tentato di omicidio, anche nel caso in cui – essendo andati a vuoto i mezzi impiegati – la vittima designata sia restata illesa, dunque in assenza di un event genuinamente lesivo.
3.4. A fronte delle sopra riassunte argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici e espresse in maniera coerente e non contraddittoria, la difesa ricorrente – come sopra già detto – non va oltre la proposizione di deduzioni aspecifiche, interamente versate in fatto e fortemente apodittiche.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escluderne la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186
del 2000), anche al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 febbraio 2025.