Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30888 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30888 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 413/2025 UP – 06/06/2025 R.G.N. 10333/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 13/11/2024
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
1.3 Con il terzo motivo di appello, la difesa censura la eccessività della pena irrogata, non avendo il giudice di primo grado considerato che i fatti scaturivano da una prolungata situazione di conflittualità reciproca e non avendo considerato il profilo psichico dell’imputata al momento del fatto, che avrebbe imposto la concessione delle generiche.
Con i motivi di appello era stata chiesta l’applicazione dell’attenuante della provocazione, in quanto dal processo Ł emerso obiettivamente l’atteggiamento prevaricatore della persona offesa, che cercava in ogni modo di impedire all’imputata lo svolgimento della sua attività economica nella proprietà contigua alla sua abitazione.
GiacchØ si contesta il ‘travisamento della prova’, si dovrebbe, allora, avere riscontro circa il fatto che i giudici abbiano erroneamente ricostruito le risultanze emergenti dal filmato acquisito e che abbiano trasposto nella motivazione dati probatori diversi da quelli oggettivamente ricavabili dal supporto video.
¨ necessario, dunque, che il giudice di merito abbia indicato il contenuto della prova in modo difforme da quello reale e che la difformità risulti incontestabile (v., per esempio, Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 – 01).
Si intende dire che il valore assoluto della velocità toccata in un intervallo di tempo ridotto per effetto di una accelerazione considerevole va concretamente rapportato alla circostanza che il conducente del veicolo – peraltro, di notevoli dimensioni – si era predisposto non a frenare, ma anzi ad aumentare la velocità stessa in maniera sempre crescente fino al concreto impatto con cose o persone.
Peraltro, deve aggiungersi che la sentenza impugnata, rispondendo a tale doglianza rappresentata nei medesimi termini nell’atto d’appello, ha motivato adeguatamente sulla circostanza che non sarebbe stato possibile per la XXXXXX reiterare l’investimento, a cagione del fatto che, per effetto del repentino cambio di direzione e del conseguente impatto con la vittima, la sua autovettura si era bloccata sul marciapiede, collocato di fronte ad un muro che non le consentiva di avanzare ulteriormente.
Quest’ultimo peculiare aspetto deve essere raccordato con quello dell’elemento psicologico del tentato omicidio, che egualmente i difensori dell’imputata contestano.
Anche nel ragionamento dei giudici di merito, infatti, la valutazione dell’elemento soggettivo si collega strettamente alla ricostruzione del fatto, come conseguenza che discende dall’avvenuta attribuzione di un plausibile significato organico alle singole prove acquisite.
In questo contesto, le pronunce di merito muovono correttamente dalla osservazione secondo cui il dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, Ł compatibile con il tentativo (Sez. 1, n. 47339 del 24/9/2024, COGNOME, Rv.287335 – 01); Sez. 1, n. 43250 del 13/4/2018, COGNOME, Rv. 274402 01; Sez. 1, n. 9663 del 3/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259465 – 01).
Infatti, nel delitto di tentato omicidio Ł sufficiente, ai fini della sussistenza del reato, il
dolo diretto rappresentato dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione (Sez. 5, n. 23618 del 11/4/2016, COGNOME, Rv. 266915 – 01).
Ebbene, le sentenze di condanna dell’imputata hanno fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità in tema di elemento soggettivo del tentato omicidio, secondo cui la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere svolta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi (Sez. 1, n. 28175 dell’8/6/2007, Marin, Rv. 237177 – 01; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243370 – 01).
I giudici di merito hanno desunto dalla ricostruzione del fatto, come già sopra riportato, alcuni elementi obiettivi in cui si Ł estrinsecata l’azione, da cui hanno ricavato, in maniera nient’affatto manifestamente illogica, la prova della sussistenza di un comportamento indifferentemente volto alla lesione di piø beni giuridici (vita o incolumità fisica).
Di contro, i singoli dati valorizzati nei ricorsi presentati nell’interesse dell’imputata non sono idonei a inficiare la conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata sul punto dell’elemento soggettivo del tentato omicidio.
La valutazione circa l’esistenza o meno dell ‘animus necandi costituisce il risultato di un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che, ove rispetti uno standard di intrinseca razionalità e spieghi senza omissioni o travisamenti l’iter logico seguito per arrivare alla decisione, si sottrae al sindacato di legittimità.
In definitiva, dunque, i rilievi difensivi prospettano per larga parte una non consentita lettura diversa dei fatti sulla base di una interpretazione alternativa degli elementi probatori, a fronte di un tessuto argomentativo della sentenza caratterizzato invece da coerenza logica e da un’attenta disamina del materiale acquisito.
Di conseguenza, i motivi relativi alla qualificazione giuridica del fatto e all’elemento psicologico del tentato omicidio devono essere disattesi.
Quanto alle diverse censure articolate con il secondo motivo del ricorso dell’avvocato COGNOME, la prima riguarda la doglianza di violazione di legge e di carenza di motivazione con riferimento alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2), cod. pen.
A questo proposito, deve rilevarsi, invece, che la sentenza impugnata, nel motivare il diniego dell’attenuante in questione, ha appropriatamente considerato che difettasse innanzitutto il presupposto del ‘fatto ingiusto altrui’.
Si tratta di una osservazione aderente alle risultanze probatorie diffusamente riportate in sentenza, essendo emerso che il giardino dinanzi al quale
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX era solito parcheggiare la sua autovettura non fosse di proprietà dell’imputata e invece fosse in uso al cugino da diversi anni.
Di conseguenza, nessun fatto connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche o a regole sociali, Ł ravvisabile nel caso di specie.
In secondo luogo, la sentenza impugnata rimarca adeguatamente che, in ogni caso, la condotta della XXXXXX, anche a voler ritenere ingiusto il fatto della vittima, sarebbe da considerarsi sproporzionata, e quindi inidonea a giustificare una mitigazione del trattamento sanzionatorio.
In questo modo, Ł stata fatta corretta applicazione del principio secondo cui la circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e
proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, n. 604 del 14/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258678 – 01; sez. %, n. 8945 del 19/1/2022, COGNOME, Rv. 282823 – 01).
Quanto, poi, alla doglianza relativa alle circostanze attenuanti generiche che – secondo il motivo di ricorso – avrebbero dovuto essere concesse in ragione della condizione psichica dell’imputata al momento del fatto, la Corte d’Appello ne ha motivato il diniego con il congruo riferimento alle ‘modalità del fatto, sintomatiche di un disvalore particolarmente apprezzabile’, già evocate dal giudice di primo grado, e all’assenza di elementi positivi valutabili in favore dell’imputata, che i giudici di secondo grado non illogicamente hanno escluso potessero essere integrati dal profilo psichico dell’imputata, già valutato ai fini della diminuente della seminfermità di mente.
Il richiamo alle modalità del fatto ben si inscrive nel solco della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha piø volte affermato che la diminuente del vizio parziale di mente Ł compatibile con una maggiore intensità del dolo che può giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa (Sez. 1, n. 43216 del 16/1/2018, Cremona, Rv. 274409 – 01; Sez. 5, n. 19639 dell’8/4/2011, COGNOME, Rv. 250110 – 01). Sussistendo anche in tal caso una sia pur ridotta capacità di intendere e volere, la condotta criminosa dell’imputato può comunque manifestarsi con dolo molto intenso, desumibile anche dalle gravi modalità del fatto (Sez. 1, n. 2159 del 6/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197476 – 01).
Quanto, infine, alla misura della pena irrogata, la Corte d’Appello ha ritenuto adeguato un trattamento sanzionatorio solo di poco superiore al minimo edittale per il reato di tentato omicidio, facendo adeguato riferimento alle ‘accertate ragioni sottese al palesato odio e rancore della XXXXXX’, al comportamento dell’imputata antecedente e successivo all’investimento, alla gravità del reato desunta dalle ‘allarmanti modalità della condotta’.
Si tratta di una indicazione rispondente al principio secondo cui non Ł necessaria una specifica e dettagliata motivazione nell’ipotesi in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01; Sez. 5, n. 46412 del 5/11/2015, COGNOME, Rv. 265283 – 01), nel qual caso Ł sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., anche con il mero richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 4, n. 27959 del 18/6/2013, COGNOME, Rv. 258356 – 01).
Anche questo motivo, pertanto, Ł complessivamente infondato e va disatteso.
Alla luce di quanto fin osservato, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Si deve disporre, inoltre, che, in caso di diffusione del presente provvedimento, vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 06/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME