Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6598 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a San Marcellino il 31/03/1958
avverso la sentenza del 06/11/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei
motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna, resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord, in data 1° dicembre 2022, con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., in relazione al reato di cui al capo A) (artt. 56, 575 cod. pen. per aver colpito ad un occhio il suo vicino di terreno a causa di un diverbio, con un ‘arma calibro 9×21), con assoluzione perché il fatto non sussiste dalla residua imputazione sub B) (artt. 4, 7 legge n. 895 del 1967).
2.Avverso detto provvedimento l’imputa to ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, Avv. NOME COGNOME affidandosi a sei motivi, di seguito riassunti ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si denuncia inosservanza degli artt. 530, 533 cod. proc. pen., 56, 575, cod. pen., 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova.
Dalla ricostruzione, recepita dalla sentenza di primo grado, alla quale quella di appello si riporta, risulta che vi era soltanto un sospetto circa il fatto che la persona offesa avesse sparato per prima.
La Corte di appello ritiene, sostanzialmente, condivisibili le considerazioni del primo giudice con alcune precisazioni che riguardano la ricostruzione dei fatti.
La difesa aveva segnalato, con l’appello, la mancata effettuazione dello stub e di accertamenti di natura balistica riguardanti la persona offesa, onde verificare gli aspetti essenziali della vicenda, a fronte della denuncia di travisamento.
La Corte territoriale ha omesso di specificare quale ricostruzione alternativa della vicenda potesse consentire di pervenire, in ogni caso, alla responsabilità dell’imputato, comunque, sostenendo che a sparare per prima era stata la persona offesa.
Il travisamento concerne l ‘ indicazione del soggetto che per primo ha sparato.
La difesa si riporta all’informativa del giorno 11 settembre 2014 che si allega al ricorso, dalla quale si evincerebbe che la persona offesa aveva affermato che era stato l’imputato a sparargli all’occhio , mentre era intento a fare una passeggiata.
Ancora, nelle p. 5 e 6 della citata informativa, si commenta la conversazione n. 11 del giorno 11 luglio 2014, dalla quale si evince la volontà della persona offesa e di sua moglie di accordarsi per fornire ai Carabinieri una versione dei fatti alterata.
Inoltre, dalla p. 12 della stessa informativa, si evincerebbe che i soggetti escussi a vario titolo si erano organizzati per dare una versione dei fatti falsa e che solo uno di questi si era dissociato (come da conv. n. 35HQ del giorno 11 agosto 2014).
Si tratta di circostanze che erano state devolute con l ‘ impugnazione e che la Corte di appello, a parere della difesa, avrebbe completamente trascurato.
La stessa informativa ha riassunto che l’esito delle attività di indagine permetteva la ricostruzione dei fatti nel senso che, a causa di un diverbio tra i due vicini (l’imputato NOME COGNOME e la persona offesa NOME COGNOME), per ragioni connesse alla definizione dei confini dei loro terreni, era stato COGNOME, per primo, a esplodere un colpo di arma da fuoco, con ogni probabilità usando
una pistola, all’indirizzo del contendente, il quale aveva reagito con l’uso di un fucile.
Anzi, dalla ricostruzione che si ricava dagli stralci delle conversazioni intercettate, risulta, a parere della stessa informativa, che a sparare nei confronti di COGNOME era stato COGNOME, con più colpi di pistola.
Dunque, l’unico a sparare più colpi di pistola era stato la vittima e tale considerazione si collega al fatto che non è mai stato accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, se Martino avesse o meno sparato e soprattutto con quale arma.
La Corte di appello di Napoli valorizza esclusivamente le dichiarazioni di NOME COGNOME figlio della persona offesa, ritenute in linea con quelle del suo amico NOME COGNOME
Invece, le prime sommarie informazioni testimoniali, per la difesa, contrastano con quanto dichiarato dal l’amico NOME COGNOME (cfr. p. 10 del ricorso dove si riporta stralcio delle dichiarazioni citate).
Con i motivi di appello era stato devoluto il tema della discrasia tra le dichiarazioni di NOME COGNOME e quelle dell’amico, nonché sul fatto che quelle di COGNOME non avevano trovato alcun conforto né nelle sommarie informazioni testimoniali rese da NOME né in quelle di NOME COGNOME, secondo i quali il padre non aveva controversie di nessun genere con nessuno; dunque, a parere della difesa, le dinamiche dell’accadimento non sarebbero state ricostruite adeguatamente da nessuna delle sentenze di merito, tanto che, nella fase delle indagini, non era stata raggiunta neppure la soglia della gravità indiziaria, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. , per l’adozione di misura cautelare.
Si sottolinea, inoltre, che la perquisizione, svolta presso l’abitazione dell’imputato, ha condotto al reperimento di un fucile cal. 12 e di una pistola calibro 9×21, armi reputate compatibili con il colpo esploso ma rispetto alle quali veniva escluso che avessero sparato di recente.
Dunque, l’arma che avrebbe attinto l’occhio COGNOME non è mai stata reperita. Non vi sono stati accertamenti di tipo balistico, ne è stato effettuato l’esame stub sull’imputato e sulla persona offesa.
Inoltre, si ricava, dal referto medico del 6 luglio 2014, che la vittima presentava multiple ferite da pallini da caccia, al tronco, al volto e agli arti superiori, con perdita del visus all’occhio sinistro. Ciò, secondo il ricorrente, comporta che la vittima non era stata attinta da un colpo di pistola calibro 9×21, ma era stata raggiunta da una rosa di pallini, esplosa da lunga distanza, da un fucile, tanto, comunque, da provocare lesioni non letali, in quanto lo sparo di un fucile caricato a pallini, da circa 30-40 metri non può comportare delle ferite letali.
Tale dato sarebbe stato completamente trascurato dai giudici di secondo grado, in assenza di accertamenti balistici e dello stub , nonché di verifiche sull’impiego dell’arma mai rinvenuta.
Né, infine, è stato appurato se lo sparo fosse stato indirizzato alla persona o alla parte superiore del corpo di questa, tenuto conto che, dalla deposizione dell’amico di NOME COGNOME, NOME COGNOME risulta che entrambi avevano notato che il padre di NOME aveva piccoli fori, dato dal quale, dunque, si doveva concludere nel senso della minima lesività del colpo sparato.
Da ultimo si denuncia travisamento del contenuto della informativa (p. 14 15 e 16), con riferimento alle conversazioni n. 1075 e 1177, sull’utenza in uso a NOME NOME, figlio dell’imputato: dal tenore dei dialoghi emerge che NOME ha aiutato COGNOME nell’occultamento della pistola impiegata per gli spari nei confronti del padre NOME; del resto, il giudice di primo grado ha assolto NOME dal delitto di cui al capo B).
2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 582, 56, 575 cod. pen. e vizio di motivazione.
La Corte di appello asserisce che la concentrazione dei pallini nella regione facciale, sul tronco e sugli arti superiori, senza attingere la restante parte del corpo della persona offesa, condurrebbe alla conclusione che il colpo era stato esploso non da grande distanza, altrimenti il diametro di diffusione dei pallini sarebbe stato più ampio. Inoltre, i pallini hanno attinto tutte le regioni vitali.
Su tale punto, si denuncia travisamento probatorio. Si richiama la giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione tra lesioni personali e tentato omicidio.
Secondo il ricorrente, i giudici della Corte di appello avrebbero dovuto rendere motivazione adeguata circa il peculiare atteggiamento psicologico dell’imputato, circa la potenzialità dell’azione lesiva, l’idoneità dell’arma impiegata che, invece, in questo caso non è mai stata né rinvenuta né analizzata.
Ancora si sarebbe dovuta commentare la modalità dell’atto lesivo che, nella specie, non è mai stato conosciuto né oggetto di specifici accertamenti tecnici. Nessuna indagine tecnica, poi, è stata svolta in relazione alle ferite riportate da COGNOME rispetto alla dinamica dell’azione e alla situazione che si presentava all’imputato al momento della condotta.
Si contesta travisamento del contenuto del referto medico del 6 luglio 2014 a fronte del quale si deve sostenere che il colpo, che ha attinto la vittima, era inidoneo a integrare la fattispecie di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen. Si è trattato, infatti, dell’esplosione di una rosa di pallini, con un fucile da lunga distanza, che ha provocato lesioni per nulla gravi o potenzialmente letali.
Tale tipo di fucile, per il ricorrente, ha un’apertura maggiore quanto maggiore è la distanza del bersaglio.
Sicché, il fucile caricato a pallini ove esploda colpi da circa 30 – 40 metri, non può risultare letale e, in ogni caso, l’esplosione di un colpo da distanza superiore a 35 metri denota, per il ricorrente, l’assenza di volontà omicida.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 52, 56, 575 cod. pen. e vizio di motivazione.
La sentenza rende motivazione apparente quanto all’esclusione della legittima difesa.
In primo luogo, si osserva che la Corte di appello non si confronta con il tema del dubbio rilevante ai fini dell’applicabilità della legittima difesa: si richiama giurisprudenza di legittimità n. 4413 del 18 giugno 1999.
Si riporta stralcio del prog. n. 348 HQ del giorno 11 agosto 2014; secondo tale atto di indagine, COGNOME aveva sparato all’indirizzo di NOME più colpi di arma da fuoco che erano finiti all’interno dei balloni , considerazioni che erano state anche devolute con l’atto di appello.
In secondo luogo, la difesa evidenzia che il tema era stato introdotto rispetto alla motivazione della sentenza di primo grado, dove veniva specificato che era stato Martino a sparare per primo. Si tratta di dato, per il ricorrente, sconfessato anche da quanto affermato dalla stessa Corte di appello, secondo la quale a sparare per prima era stata la vittima utilizzando una pistola calibro 9×21, da cui era stato rilasciato il bossolo rinvenuto dalla polizia giudiziaria durante il sopralluogo.
Si tratta, per la Corte territoriale, di azione alla quale seguiva non con carattere immediata consequenzialità, la reazione dell’imputato che a sua volta esplodeva almeno un colpo di fucile a pallini, provocando alla persona offesa le ferite refertate.
Alcun argomento viene speso, poi, secondo il ricorrente, circa la ritenuta sussistenza della legittima difesa putativa o in tema di eccesso colposo di legittima difesa.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 603 cod. proc. pen.
La Corte d’appello ha completamente omesso di pronunciarsi sulle richieste avanzate onde ricostruire l’esatta dinamica della vicenda.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione ed erronea applicazione degli artt. 62bis , 132, 133 cod. pen., sia con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sia alla irrogazione della pena non nei minimi edittali.
La Corte di appello contesta il comportamento dell’imputato (rimasto latitante anche se per breve periodo, per nascondere l’arma usata) e si richiama
alla giurisprudenza di legittimità resa in tema di mancata confessione e circa l’incidenza di tale comportamento sul diniego delle circostanze quanti generiche.
Quanto alla misura della pena, la Corte di appello avrebbe trascurato quanto dedotto con i motivi di gravame, dove si era messo in risalto il dato delle condizioni personali e sociali dell’imputato, l’età, la vetustà dei fatti in contestazione e la mancanza di carichi pendenti.
2.6. Con il sesto motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 6 legge n. 152 del 1975.
La Corte di appello ha ritenuto legittima la confisca avendo l’imputato impiegato armi da fuoco per futili motivi. Si tratta, però, di armi, quelle confiscate, che non sono quelle impiegate per il delitto come si evince dalla informativa dei Carabinieri del giorno 11 settembre 2014.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME per l ‘ udienza del 12 luglio 2024, ha concluso con requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa, per quell ‘udienza , ha fatto pervenire, a mezzo p.e.c. del 19 giugno 2024, dichiarazione di adesione all’astensione indetta , per i giorni 10, 11 e 12 luglio 2024, dall’Unione Camere penali.
Il Collegio, esaminati gli atti, ha rilevato che il procedimento doveva essere trattato con discussione orale, ai sensi dell’art. 23 , comma 8, del d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024, ai sensi dell’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, così come modificato dal d. l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18 e che, pertanto, risultava rilevante la dichiarazione di adesione all’astensione di categoria fatta pervenire dal difensore.
Quindi, il procedimento veniva rinviato con sospensione dei termini di prescrizione sino all’odierna udienza , nel corso della qu ale, all’esito della discussione orale, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato limitatamente al motivo relativo alla disposta confisca delle armi in sequestro, mentre, nel resto, deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Si osserva, invero, conformemente all’indirizzo costante espresso da questa Suprema Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 -01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 2, n. 47035 del 3710/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438) che nel caso di cd. doppia
conforme affermazione di responsabilità, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Inoltre il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774).
Nella specie, il ricorrente non indica la decisività del dato probatorio che si assume travisato e, in definitiva, sollecita una rilettura dell’informativa di polizia giudiziaria, del giorno 11 settembre 2014, allegata al ricorso, nonché di alcuni stralci di sommarie informazioni testimoniali o di conversazioni registrate (in particolare, quelle n. 1075 e 1177) senza, peraltro, l’integrale esposizione , quanto a queste ultime fonti di prova, di quelle che si assumono travisate.
Secondo la ricostruzione alternativa della difesa, prospettata anche con i motivi di gravame -ma del tutto incompatibile con il complesso della motivazione della Corte territoriale -l’unico a sparare più colpi di pistola sarebbe stato NOME COGNOME, con carenza di prova circa l’effettiva esplosione di colpi di arma da fuoco da parte d ell’imputato e, soprattutto, senza che si sia giunti all ‘individuazione dell’arma da lla quale questi sarebbero partiti, mancando l’esame stub e accertamenti balistici riguardanti la persona offesa. La difesa, su tale punto, segnala anche l’ esito negativo della perquisizione a carico dell’imputato in quanto era stato trovato soltanto un fucile calibro 12 e una pistola calibro 9×21 che, però, si era acclarato essere armi che non avevano sparato di recente.
La Corte territoriale, a fronte di tale prospettazione, con ragionamento completo e immune da illogicità manifesta, colloca la vicenda nell’ambito di rapporti conflittuali tra confinanti, peraltro, legati da rapporti di affinità (la figlia della persona offesa NOME COGNOME, COGNOME, era sposata con il figlio di NOME COGNOME, NOME) e descrive (cfr. p. 4 e ss.) i fatti, ricavati dal complesso delle fonti di prova esaminate, come inseriti in un clima di forte omertà da parte dei componenti delle due famiglie, alcuni dei quali escussi a sommarie informazioni testimoniali nelle immediatezze del fatto.
Viene precisato che NOME COGNOME immediatamente dopo gli accadimenti, si era reso irreperibile e si era costituito il successivo 9 luglio 2014. Condotta che aveva giustificato l’intercettazione delle utenze telefoniche in uso a Nazaro Del
COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME nonché l ‘ intercettazione ambientale disposta nella vettura Lancia Y in uso a Colomba Del Canto.
Da queste ultime risulta, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, che il marito della donna, NOME COGNOME aveva riferito al suo interlocutore che era stato il suocero (NOME COGNOME) a sparare per primo, cioè la persona offesa e che, comunque, NOME confermava alla moglie che era stato suo padre, NOME COGNOME a sparare negli occhi alla persona offesa.
Dal complesso dell’attività di captazione emergeva, poi, l’esistenza di un diverbio, intervenuto tra l’imputato e la persona offesa, proprio nel giorno dei fatti.
La Corte di appello, dunque, alla stregua di tali fonti di prova, ha condiviso, con ragionamento immune da illogicità manifesta, la ricostruzione recepita nella sentenza di primo grado con alcune precisazioni.
In primo luogo, la Corte territoriale ha escluso che si sia verificata, da parte del primo giudice, violazione della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato perché se è vero che è contestato al capo A) il reato di tentato omicidio eseguito con un’arma calibro 9×21, si precisa, nella sentenza di primo grado, che tale arma è genericamente indicata e che viene specificato, nella motivazione, essere un fucile a pallini. Dunque, la contestazione per la quale la parte si è difesa, riguardava un fatto più grave rispetto al quale, comunque, l’imputato ha potuto espletare tutte le sue prerogative difensive.
In secondo luogo, i giudici di appello hanno valorizzato le decisive dichiarazioni di NOME COGNOME figlio della persona offesa, nonché le risultanze delle intercettazioni , concludendo, in base all’esame logico e immune da vizi di merito di queste fonti di prova, nel senso che, per effetto di un diverbio connesso a contrasti tra i due confinanti, vi era stat a l’esplosione di più colpi di arma da fuoco.
Infine, la Corte territoriale ha condiviso la ricostruzione difensiva secondo la quale a sparare per prima era stata proprio la persona offesa, utilizzando una pistola calibro 9×21, incrociando i contenuti delle intercettazioni con la circostanza del reperimento, sul posto, di un bossolo di tale calibro. Tuttavia, con ragionamento completo e immune da vizi di ogni tipo, si è evidenziato -diversamente da quanto assunto dalla difesa per la quale NOME non avrebbe mai sparato -che, dopo quell’azione, era intervenuta senz’altro la condotta contestata all’imputato il quale aveva esploso (almeno) un colpo di fucile a pallini, provocando alla vittima le ferite refertate, riportando, a p. 11, il complesso delle fonti di prova utilizzate a sostegno di tale ricostruzione.
La sentenza di secondo grado tiene conto, dunque, della circostanza che non era stato svolto l ‘ esame stub per imputato e persona offesa. Tuttavia, a conforto della ricostruzione esposta, sono indicate come decisive le conversazioni
ambientali in cui NOME COGNOME aveva commentato col suo interlocutore che era stato il suocero a sparare per primo e quella tra NOME COGNOME e la moglie NOME COGNOME in cui il primo aveva rinfacciato alla seconda che era stato suo padre a sparare e che i colpi esplosi si trovavano ancora nelle balle di fieno.
Ancora, si valorizza la deposizione decisiva di NOME COGNOME il quale aveva accreditato, immediatamente, la versione secondo la quale a sparare a suo padre era stato NOME COGNOME proprietario del fondo confinante e suocero di sua sorella NOME
Si tratta di denuncia considerata, con ragionamento immune da illogicità manifesta, attendibile perché svolta nelle immediatezze, non concordata con il padre o con altri congiunti e ritenuta convergente rispetto al contenuto delle captazioni, nelle quali era stato proprio NOME COGNOME ad affermare che suo padre gli aveva detto che a sparare era stato NOME e di essere stato colto di sorpresa.
La sentenza di secondo grado, peraltro, spiega che NOME COGNOME era stato l ‘ unico tra i familiari delle parti, a non mostrarsi omertoso con gli investigatori e a rendere dichiarazioni convergenti rispetto al contenuto delle captazioni registrate, a differenza dei suoi familiari e di quelli dell ‘ imputato.
Inoltre, si valorizzano le sommarie informazioni testimoniali rese dall’amico di NOME COGNOME, NOME COGNOME (cfr. p. 11 e ss.). Questi, secondo la pronuncia impugnata, aveva riferito anche di una colluttazione avvenuta mentre, assieme all’amico NOME, aveva prestato i primi soccorsi al ferito, perché erano sopraggiunte due donne e un uomo, riconosciuto in NOME COGNOME, con i quali lo stesso NOME aveva avuto una colluttazione.
Il dedotto contrasto tra le dichiarazioni di NOME COGNOME e dell’amico non risulta compiutamente denunciato, risultando non illustrato, specificamente, il rilievo decisivo della dedotta discrasia (cfr. p. 10 del ricorso).
Quanto sostenuto dalla difesa, poi, circa la carenza di dichiarazioni testimoniali conformi rispetto al contenuto delle intercettazioni, da parte di NOME e NOME COGNOME, non tiene conto del descritto clima di omertà circa i reali accadimenti emerso dalle captazioni e, comunque, del contenuto delle intercettazioni riportate dalla Corte territoriale che, invece, depone per un ‘ univoca, coerente e lineare ricostruzione delle condotte.
Infine, la dedotta scarsa vis lesiva dell’arma, per ché il fucile a pallini, nella specie, era stato utilizzato da lunga distanza e, comunque, per essere quella usata, arma con caratteristiche tali per cui lo sparo non avrebbe potuto comportare ferite letali in quanto esploso da circa 30 – 40 metri, è osservazione versata in fatto, non corroborata dall’indicazione di nessun dato tecnico -scientifico su cui fondare la prospettata conclusione né di dati probatori emersi,
in ta l senso, dall’istruttoria svolta o indebitamente trascurati dai giudici di merito.
Da ultimo, è appena il caso di osservare, circa il mancato riscontro, nella fase cautelare, di elementi indiziari gravi tali da condurre all’emissione del titolo custodiale richiesto a carico dell ‘ indagato, che è pacifico lo strumentale rapporto esistente tra i procedimenti di cognizione e quello cautelare, nonché l’autonomia della decisione cautelare, rispetto a quella resa, dal giudice di merito, all’esito del giudizio di cognizione, con sentenza anche non irrevocabile (in conformità anche con quanto enunciato dalla Corte costituzionale: sent. n. 71 del 1996; cfr. anche l’argomento espresso da Sez. 5, n. 22235 del 07/05/2008, COGNOME, Rv. 240425; Sez. 1, n. 13040 del 23/01/2001, Avignone, Rv. 218582).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Ineccepibile è la qualificazione del fatto come tentativo di omicidio.
Questa tiene conto della collocazione del colpo esploso in direzione della parte alta del corpo della vittima, del fatto che i pallini avevano attinto una zona interessata da organi vitali , tanto che avevano raggiunto l’occhio della persona offesa con perdita del visus , della circostanza che era stata utilizzata un’arma da fuoco del tipo fucile , della condotta dell’ imputato successiva alla commissione del reato. Del resto, il referto medico indicato anche dalla difesa attesta che il colpo esploso aveva cagionato plurime lesioni da arma da fuoco, al tronco, al volto e agli arti superiori, oltre che all’occhio sinistro.
Il ragionamento svolto dai giudici di merito, ai fini della qualificazione della condotta quale tentativo di omicidio invece che di lesioni personali, è, dunque, in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato (nella specie l’imputato ha rinunciato ad offrire la sua versione dei fatti: cfr. p. 8 della sentenza di primo grado), ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’ animus necandi , assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post , ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili (tra le altre, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012-01; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339 – 01; Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, COGNOME, Rv. 215511 – 01; Sez. 1, n. 7906 del 24/03/1988, COGNOME, Rv. 178825 01). La valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario, anche nelle forme del dolo alternativo, può essere raggiunta, dunque, attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Rv. 275012; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 2009, Rv. 243370)
Quanto all’idoneità degli, atti si osserva che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della punibilità del tentativo rileva l’idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché l’univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante , in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta (Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, Rv. 250932 – 01).
Non rileva, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702; Sez. 1, n. 24173 del 5/04/2022, Rv. 283390 – 01) la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa. Si tratta di circostanze non considerate idonee ad escludere, di per sé, l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente (come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa).
Non sono condivisibili i rilievi difensivi in ordine alla scarsa vis lesiva dell’arma usata e del colpo messo a segno, in considerazione della distanza dalla quale il fucile era stato usato. Invero, si osserva che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, in tema di delitti contro la persona, per distinguere il reato di lesione personale da quello di tentato omicidio occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva, ma tali dati sono desumibili dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata, nonché dalle modalità dell’atto lesivo (Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rv. 283390 -01).
Nella specie, si è trattato, secondo entrambe le sentenze di merito, di un colpo di fucile a pallini indirizzato al capo della vittima, tanto che questa era stata attinta all’occhio, con perdita del visus oltre ad aver riportato altre ferite al tronco, al volto e agli arti superiori. Ciò, a dimostrazione della destinazione del colpo in zona ove hanno sede organi vitali. Inoltre, la Corte territoriale valorizza il dato della concentrazione di tutte le ferite nella regione facciale e agli arti superiori, nonché l ‘ assenza di pallini in altri punti del corpo, concludendo, anzi, nel senso che la distanza dello sparatore dalla vittima designata non doveva essere eccessiva.
La motivazione svolta sul punto appare coerente e ineccepibile e viene contestata dal ricorrente con argomenti in fatto o rivalutativi, lamentando, peraltro, la mancanza di accertamenti sull’arma impiegata per commettere il delitto, circostanza, tuttavia, dovuta alla circostanza che gli investigatori non sono mai venuti in possesso, perché mai reperita. Peraltro, le osservazioni circa la distanza considerevole tra lo sparatore e la vittima sono, del pari, versate in fatto, così come le deduzioni relative alla sostanziale inoffensività di colpi di fucile a pallini laddove questi siano esplosi da oltre trenta metri, distanza tra
sparatore e vittima non accertata, secondo i giudici di merito, nella consistenza indicata dal ricorrente.
È, infine, appena il caso di osservare che la sentenza di secondo grado, laddove indica l ‘ avvenuta esplosione da parte di Martino, di almeno un colpo, quindi ipotizzando l ‘ esplosione di più colpi, non è convergente con il referto medico che attesta l ‘esistenza di plu rime lesioni da arma da fuoco ma non indica il numero dei colpi esplosi (cfr. referto del 6 luglio 2014 prodotto dal ricorrente in allegato). In ogni caso, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il reato di tentato omicidio la condotta dell’agente che abbia indirizzato anche un solo colpo di arma da fuoco con l’intento di uccidere un avversario, non riuscendovi per imperizia balistica (Sez. 1, n. 30336 del 14/06/2013, COGNOME, Rv. 256797 -01)
1.3. Il terzo motivo è infondato.
La Corte territoriale, con ragionamento stringato, ma comunque lineare e immune da vizi logici, motiva l’esclusione della legittima difesa (cfr. p. 12 della sentenza di secondo grado) a causa del verificarsi di una reazione non contestuale da parte dell’ imputato, rispetto alla condotta della vittima.
Secondo la Corte di appello, l’azione intimidatoria della persona offesa e quella di NOME si sono susseguite in una frazione temporale non strettissima. Questo convincimento trae la Corte d’appello, secondo un ragionamento immune da illogicità manifesta, dalla dichiarazione del figlio della persona offesa NOME COGNOME il quale aveva riferito che suo padre, quando era stato soccorso, gli aveva detto che era stato preso alla sprovvista, di sorpresa da NOME.
Tanto, a conferma di un ‘ azione, da parte di ciascuna delle parti, che non era stata contestuale e del fatto che, al momento dell ‘ esplosione del colpo d ‘ arma da fuoco da parte di NOME, la situazione di aggressione da parte di COGNOME non era più in atto e la cessazione della situazione di pericolo non dipendeva più, necessariamente, da una situazione difensiva, potendo Martino sottrarsi diversamente al confronto.
Si tratta di dichiarazioni reputate dalla Corte territoriale altamente significative e sicuramente veridiche anche perché NOME COGNOME nelle conversazioni intercettate, viene rimproverato dai suoi familiari circa il comportamento assunto, cioè quello di aver detto la verità agli investigatori, invece di provvedere diversamente attuando una ritorsione.
Quindi, secondo la ricostruzione immune da illogicità manifesta dei giudici di merito, le due azioni non erano state contestuali, circostanza di fatto idonea ad escludere la sussistenza della causa di giustificazione invocata.
La sentenza impugnata ha conseguentemente escluso, in termini giuridicamente ineccepibili e conformi alla giurisprudenza di legittimità sul punto, che Martino versasse o potesse ritenere di versare in una situazione di pericolo
attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione armata, nei modi in cui si è concretizzata, così che l’azione dell’imputato si è tradotta nell’aggressione consapevole e volontaria del bene della vita di COGNOME, superando gli schemi legali dell’esimente invocata (Sez. 1. n. 51262 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 272080 -01; Sez. 1 n. 45425 del 25/10/2005, Rv. 233352; Sez. 1 n. 5697 del 28/01/2003, Rv. 223441).
Con riferimento all ‘eccesso colposo di legittima difesa, va esposto che questo si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza, mentre si fuoriesce da esso tutte le volte in cui i limiti della necessità della difesa vengano superati in conseguenza di una scelta cosciente e volontaria, così trasformando la reazione in uno strumento di aggressione (tra le altre, Sez. 3, n. 30910 del 27/04/2018, L., Rv. 273731; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, COGNOME, Rv. 256017; conformi n. 45407 del 2004, Rv. 230393; n. 32282 del 2006 Rv. 235181). Si osserva, inoltre, in adesione a conforme indirizzo di questa Corte di legittimità (Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., Rv. 247898; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242349) che l’assenza dei presupposti della legittima difesa, in specie del bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo nella medesima scriminante, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati.
Di qui l ‘inammissibilità della ce nsura svolta sul punto. Del pari inammissibile, per le ragioni sin qui svolte, in tema di insussistenza della legittimità difesa, anche è la censura relativa alla carenza di motivazione circa la richiesta di riconoscimento della legittima difesa putativa. È noto, peraltro, che è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, COGNOME, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263157).
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Generica risulta la richiesta di rinnovazione istruttoria in grado di appello, tenuto conto, peraltro, che nel secondo grado la rinnovazione istruttoria ha carattere eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine sia stata esauriente con le acquisizioni del primo grado, sicché il potere del giudice è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820; Sez. U, 24/01/1996,
COGNOME; Sez. 1, n. 3972 del 2014). Atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato all’apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato, deve sottolinearsi che a fronte di una motivazione che, nel suo complesso, dà conto, in modo univoco, del fatto che è stato ritenuto sicuramente non impossibile decidere allo stato degli atti, alcun fondamento ha la censura difensiva.
1.5. Il quinto motivo è infondato.
Sul trattamento sanzionatorio e circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della Corte territoriale è esauriente e in linea con la giurisprudenza di questa Corte (cfr. p. 12) secondo la quale non è necessario che siano confutate, da parte del giudice di secondo grado, tutte le considerazioni svolte in sede di gravame per reputare non concedibile il beneficio di cui all ‘ art. 62bis cod. pen., purché siano indicate le ragioni ritenute prevalenti che ne hanno giustificato il diniego. Nella specie, viene indicato che l ‘ imputato si è reso irreperibile, sia pure per breve periodo e che ha fatto uso di arma da fuoco per risolvere una banale questione di vicinato, ragionamento sufficiente, al di là del riferimento alla mancanza di segni di resipiscenza che la difesa giustifica con la legittima scelta di protestarsi innocente. Anche l ‘ entità della pena non è priva di giustificazione se si considera il complessivo tenore della motivazione, dove il riferimento alla condotta dell ‘ imputato e, in particolare, all ‘ utilizzo di armi per risolvere conflitti con un confinante è valutazione che soddisfa lo standard di cui all ‘ art. 133 cod. pen., quanto alla gravità della condotta e allo svolto giudizio circa la personalità dell ‘ imputato sotto il profilo della capacità a delinquere e pericolosità.
1.6. Il sesto motivo è fondato nei limiti di seguito indicati.
Sulla disposta confisca la Corte di appello svolge motivazione circa la pericolosità delle armi in sequestro. La sentenza di primo grado, invece, si è limitata ad esporre che le armi e munizioni in sequestro dovevano essere confiscate.
Tuttavia, da entrambe le motivazioni di merito, non si comprende quali siano le armi oggetto del provvedimento ablativo.
Sicuramente, per come è stato ricostruito l ‘ accaduto, non si tratta per entrambe le sentenze, di quella usata per commettere il delitto, perché mai reperita, tanto che, peraltro, l ‘ imputato è stato assolto dal reato di cui al capo B).
Inoltre, si osserva che dalla sentenza di secondo grado risulta che quelle reperite nel corso della perquisizione domiciliare e del veicolo di NOME erano armi che erano risultate legittimamente detenute. Né diversa indicazione si ricava dalla sentenza di primo grado.
Si impone, dunque, l ‘annullamento della sentenza impugnata, con rinvio su tale punto per approfondire il tema della disposta confisca delle armi e munizioni in sequestro e chiarire il titolo per il quale questa è giustificata, anche per verificare, in sede di merito, se, nei confronti di NOME, sia stato emesso provvedimento prefettizio ex art. 39 TULP.
Segue l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto concernente la disposta confisca delle armi e munizioni in sequestro, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli e rigetto, nel resto, del ricorso.
Va dichiarata, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen. l ‘ irrevocabilità della sentenza quanto alla responsabilità e circa il trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca delle armi e munizioni in sequestro e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso. Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabili l’accertamento di penale responsabilità e la determinazione della pena.
Così deciso, il 13 novembre 2024