Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1   Num. 6598  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a San Marcellino il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/11/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOMEAVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei
motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna, resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord, in data 1° dicembre 2022, con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., in relazione al reato di cui al capo A) (artt. 56, 575 cod. pen. per aver colpito ad un occhio il suo vicino di terreno a causa di un diverbio, con un ‘arma TARGA_VEICOLO), con assoluzione perché il fatto non sussiste dalla residua imputazione sub B) (artt. 4, 7 legge n. 895 del 1967).
2.Avverso  detto  provvedimento l’imputa to  ha  proposto  tempestivo  ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, AVV_NOTAIO, affidandosi a sei motivi, di seguito riassunti ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si denuncia inosservanza degli artt. 530, 533 cod. proc. pen., 56, 575, cod. pen., 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova.
Dalla ricostruzione, recepita dalla sentenza di primo grado, alla quale quella di appello si riporta, risulta che vi era soltanto un sospetto circa il fatto che la persona offesa avesse sparato per prima.
La  Corte  di  appello  ritiene,  sostanzialmente,  condivisibili  le  considerazioni del primo giudice con alcune precisazioni che riguardano la ricostruzione dei fatti.
La difesa aveva segnalato, con l’appello, la mancata effettuazione dello stub e di accertamenti di natura balistica riguardanti la persona offesa, onde verificare gli aspetti essenziali della vicenda, a fronte della denuncia di travisamento.
La Corte territoriale ha omesso di specificare quale ricostruzione alternativa della  vicenda  potesse  consentire  di  pervenire,  in  ogni  caso,  alla  responsabilità dell’imputato,  comunque,  sostenendo  che  a  sparare  per  prima  era  stata  la persona offesa.
Il  travisamento  concerne  l ‘ indicazione  del  soggetto  che  per  primo  ha sparato.
La difesa si riporta all’informativa del giorno 11 settembre 2014 che si allega al ricorso, dalla quale si evincerebbe che la persona offesa aveva affermato che era  stato  l’imputato  a  sparargli  all’occhio ,  mentre  era  intento  a  fare  una passeggiata.
Ancora, nelle p. 5 e 6 della citata informativa, si commenta la conversazione n.  11  del  giorno  11  luglio  2014,  dalla  quale  si  evince  la  volontà  della  persona offesa e di  sua moglie  di accordarsi per fornire ai  Carabinieri una versione dei fatti alterata.
Inoltre,  dalla  p.  12  della  stessa  informativa,  si  evincerebbe  che  i  soggetti escussi a vario titolo si erano organizzati per dare una versione dei fatti falsa e che solo uno di questi si era dissociato (come da conv. n. 35HQ del giorno 11 agosto 2014).
Si tratta di circostanze che erano state devolute con l ‘ impugnazione e che la Corte di appello, a parere della difesa, avrebbe completamente trascurato.
La  stessa  informativa  ha  riassunto  che  l’esito  delle  attività  di  indagine permetteva la ricostruzione dei fatti nel senso che, a causa di un diverbio tra i due vicini (l’imputato NOME COGNOME e la persona offesa NOME COGNOME), per ragioni connesse alla definizione dei confini dei loro terreni, era stato COGNOME, per primo, a esplodere un colpo di arma da fuoco, con ogni probabilità usando
una pistola, all’indirizzo del contendente, il quale aveva reagito con l’uso di un fucile.
Anzi,  dalla  ricostruzione  che  si ricava  dagli  stralci  delle  conversazioni intercettate, risulta,  a  parere  della  stessa  informativa,  che  a  sparare  nei confronti di COGNOME era stato COGNOME, con più colpi di pistola.
Dunque,  l’unico  a  sparare  più  colpi  di  pistola  era  stato  la  vittima  e  tale considerazione si collega al fatto che non è mai stato accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, se NOME avesse o meno sparato e soprattutto con quale arma.
La  Corte  di  appello  di  Napoli  valorizza  esclusivamente  le  dichiarazioni  di NOME COGNOME, figlio della persona offesa, ritenute in linea con quelle del suo amico NOME COGNOME.
Invece, le prime sommarie informazioni testimoniali, per la difesa, contrastano con quanto dichiarato dal l’amico NOME (cfr. p. 10 del ricorso dove si riporta stralcio delle dichiarazioni citate).
Con i motivi di appello era stato devoluto il tema della discrasia tra le dichiarazioni di NOME COGNOME e quelle dell’amico, nonché sul fatto che quelle di COGNOME non avevano trovato alcun conforto né nelle sommarie informazioni testimoniali rese da NOME né in quelle di NOME COGNOME, secondo i quali il padre non aveva controversie di nessun genere con nessuno; dunque, a parere della difesa, le dinamiche dell’accadimento non sarebbero state ricostruite adeguatamente da nessuna delle sentenze di merito, tanto che, nella fase delle indagini, non era stata raggiunta neppure la soglia della gravità indiziaria, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. , per l’adozione di misura cautelare.
Si sottolinea, inoltre, che la perquisizione, svolta presso l’abitazione dell’imputato,  ha  condotto  al  reperimento  di  un  fucile  TARGA_VEICOLO  e  di  una  pistola TARGA_VEICOLO, armi reputate compatibili con il colpo esploso ma rispetto alle quali veniva escluso che avessero sparato di recente.
Dunque,  l’arma  che  avrebbe  attinto  l’occhio  COGNOME  non  è  mai  stata reperita.  Non  vi  sono  stati  accertamenti  di  tipo  balistico,  ne  è  stato  effettuato l’esame stub sull’imputato e sulla persona offesa.
Inoltre, si ricava, dal referto medico del 6 luglio 2014, che la vittima presentava multiple ferite da pallini da caccia, al tronco, al volto e agli arti superiori, con perdita del visus all’occhio sinistro. Ciò, secondo il ricorrente, comporta che la vittima non era stata attinta da un colpo di pistola TARGA_VEICOLO, ma era stata raggiunta da una rosa di pallini, esplosa da lunga distanza, da un fucile, tanto, comunque, da provocare lesioni non letali, in quanto lo sparo di un fucile caricato a pallini, da circa 30-40 metri non può comportare delle ferite letali.
Tale  dato  sarebbe  stato  completamente  trascurato  dai  giudici  di  secondo grado,  in  assenza  di  accertamenti  balistici  e  dello stub ,  nonché  di  verifiche sull’impiego dell’arma mai rinvenuta.
Né, infine, è stato appurato se lo sparo fosse stato indirizzato alla persona o alla  parte  superiore  del  corpo  di  questa,  tenuto  conto  che,  dalla  deposizione dell’amico  di  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME,  risulta  che  entrambi avevano  notato  che  il  padre  di  NOME  aveva  piccoli  fori,  dato  dal  quale, dunque, si doveva concludere nel senso della minima lesività del colpo sparato.
Da ultimo si denuncia travisamento del contenuto della informativa  (p. 14 15 e 16), con riferimento alle conversazioni n. 1075 e 1177, sull’utenza in uso a NOME  COGNOME,  figlio  dell’imputato:  dal  tenore  dei  dialoghi  emerge  che NOME, ha aiutato COGNOME nell’occultamento della pistola impiegata per gli spari  nei  confronti  del  padre  NOME;  del  resto,  il  giudice  di  primo  grado  ha assolto NOME dal delitto di cui al capo B).
2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 582, 56, 575 cod. pen. e vizio di motivazione.
La Corte di appello asserisce che la concentrazione dei pallini nella regione facciale,  sul  tronco  e  sugli  arti  superiori,  senza  attingere  la  restante  parte  del corpo della persona offesa, condurrebbe alla conclusione che il colpo era stato esploso  non  da  grande  distanza,  altrimenti  il  diametro  di  diffusione  dei  pallini sarebbe stato più ampio. Inoltre, i pallini hanno attinto tutte le regioni vitali.
Su tale punto, si denuncia travisamento probatorio. Si richiama la giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione tra lesioni personali e tentato omicidio.
Secondo  il  ricorrente,  i  giudici  della  Corte  di  appello  avrebbero  dovuto rendere motivazione adeguata  circa il peculiare  atteggiamento psicologico dell’imputato, circa la potenzialità dell’azione lesiva, l’idoneità dell’arma impiegata  che,  invece,  in  questo  caso  non  è  mai  stata  né  rinvenuta  né analizzata.
Ancora si sarebbe dovuta commentare la modalità dell’atto lesivo che, nella specie, non è mai stato conosciuto né oggetto di specifici accertamenti tecnici. Nessuna indagine tecnica, poi, è stata svolta in relazione alle ferite riportate da COGNOME rispetto alla  dinamica dell’azione e  alla situazione che  si presentava all’imputato al momento della condotta.
Si contesta travisamento del contenuto del referto medico del 6 luglio 2014 a fronte del quale si deve sostenere che il colpo, che ha attinto la vittima, era inidoneo  a  integrare  la  fattispecie  di  cui  agli  artt.  56  e  575  cod.  pen.  Si  è trattato,  infatti,  dell’esplosione  di  una  rosa  di  pallini,  con  un  fucile  da  lunga distanza, che ha provocato lesioni per nulla gravi o potenzialmente letali.
Tale  tipo  di  fucile,  per  il  ricorrente,  ha  un’apertura  maggiore  quanto maggiore è la distanza del bersaglio.
Sicché, il fucile  caricato a pallini  ove esploda colpi  da circa 30 – 40 metri, non  può  risultare  letale  e,  in  ogni  caso,  l’esplosione  di  un  colpo  da  distanza superiore a 35 metri denota, per il ricorrente, l’assenza di volontà omicida.
2.3.  Con  il  terzo  motivo  si  denuncia  inosservanza  ed  erronea  applicazione degli artt. 52, 56, 575 cod. pen. e vizio di motivazione.
La sentenza rende motivazione apparente quanto all’esclusione della legittima difesa.
In  primo  luogo,  si  osserva  che  la  Corte  di  appello  non  si  confronta  con  il tema  del  dubbio  rilevante  ai  fini  dell’applicabilità  della  legittima  difesa:  si richiama giurisprudenza di legittimità n. 4413 del 18 giugno 1999.
Si riporta stralcio del prog. n. 348 HQ del giorno 11 agosto 2014; secondo tale atto di indagine, COGNOME aveva sparato all’indirizzo di COGNOME più colpi di arma da fuoco  che erano finiti  all’interno  dei balloni ,  considerazioni  che  erano state anche devolute con l’atto di appello.
In secondo luogo, la difesa evidenzia che il tema era stato introdotto rispetto alla motivazione della sentenza di primo grado, dove veniva specificato che era stato NOME a sparare per primo. Si tratta di dato, per il ricorrente, sconfessato anche da quanto affermato dalla stessa Corte di appello, secondo la quale a sparare per prima era stata la vittima utilizzando una pistola TARGA_VEICOLO, da cui era stato rilasciato il bossolo rinvenuto dalla polizia giudiziaria durante il sopralluogo.
Si  tratta,  per  la  Corte  territoriale,  di  azione  alla  quale  seguiva  non  con carattere immediata consequenzialità, la reazione dell’imputato che a sua volta esplodeva almeno un colpo di fucile a pallini, provocando alla persona offesa le ferite refertate.
Alcun  argomento  viene  speso,  poi,  secondo  il  ricorrente,  circa  la  ritenuta sussistenza  della  legittima  difesa  putativa  o  in  tema  di  eccesso  colposo  di legittima difesa.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 603 cod. proc. pen.
La Corte d’appello ha completamente omesso di pronunciarsi sulle richieste avanzate onde ricostruire l’esatta dinamica della vicenda.
2.5.  Con  il  quinto  motivo  si  denuncia  vizio  di  motivazione  ed  erronea applicazione  degli  artt.  62bis ,  132,  133  cod.  pen.,  sia  con  riferimento  alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sia alla irrogazione della pena non nei minimi edittali.
La Corte di appello contesta  il  comportamento  dell’imputato  (rimasto latitante anche se per breve periodo, per nascondere l’arma usata) e si richiama
alla  giurisprudenza  di  legittimità  resa  in  tema  di  mancata  confessione  e  circa l’incidenza di tale comportamento sul diniego delle circostanze quanti generiche.
Quanto alla misura della pena, la Corte di appello avrebbe trascurato quanto dedotto  con  i  motivi  di  gravame,  dove  si  era  messo  in  risalto  il  dato  delle condizioni personali e sociali dell’imputato, l’età, la vetustà dei fatti in contestazione e la mancanza di carichi pendenti.
2.6.  Con  il  sesto  motivo  si  denuncia  inosservanza  ed  erronea  applicazione dell’art. 6 legge n. 152 del 1975.
La  Corte  di  appello  ha  ritenuto  legittima  la  confisca  avendo  l’imputato impiegato  armi  da  fuoco  per  futili  motivi.  Si  tratta,  però,  di  armi,  quelle confiscate,  che  non  sono  quelle  impiegate  per  il  delitto  come  si  evince  dalla informativa dei Carabinieri del giorno 11 settembre 2014.
 Il  Sostituto  Procuratore  generale,  NOME  COGNOME,  per  l ‘ udienza del 12 luglio 2024, ha concluso con requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa, per quell ‘udienza , ha fatto pervenire, a mezzo p.e.c. del 19 giugno 2024, dichiarazione di adesione all’astensione indetta ,  per  i  giorni  10,  11  e  12 luglio 2024, dall’RAGIONE_SOCIALE.
Il Collegio, esaminati gli atti, ha rilevato che il procedimento doveva essere trattato con discussione orale, ai sensi dell’art. 23 , comma 8, del d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024, ai sensi dell’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, così come modificato dal d. l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18 e che, pertanto, risultava rilevante la dichiarazione di adesione all’astensione di categoria fatta pervenire dal difensore.
Quindi,  il  procedimento  veniva  rinviato  con  sospensione  dei  termini  di prescrizione sino all’odierna  udienza , nel corso della  qu ale, all’esito della discussione orale, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato limitatamente al motivo relativo alla disposta confisca delle armi in sequestro, mentre, nel resto, deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Si osserva, invero, conformemente all’indirizzo costante espresso da questa Suprema Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 -01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 2, n. 47035  del 3710/2013, COGNOME, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060  del 12/12/2013,  dep.  2014,  Capuzzi,  Rv.  258438)  che  nel  caso  di  cd.  doppia
conforme affermazione di responsabilità, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Inoltre il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774).
Nella specie, il ricorrente non indica la decisività del dato probatorio che si assume travisato e, in definitiva, sollecita una rilettura dell’informativa di polizia giudiziaria,  del  giorno  11  settembre  2014, allegata al  ricorso, nonché  di alcuni stralci  di  sommarie  informazioni  testimoniali  o  di  conversazioni  registrate  (in particolare,  quelle  n.  1075  e  1177)  senza,  peraltro, l’integrale  esposizione , quanto a queste ultime fonti di prova, di quelle che si assumono travisate.
Secondo la ricostruzione alternativa della difesa, prospettata anche con i motivi di gravame -ma del tutto incompatibile con il complesso della motivazione della Corte territoriale -l’unico a sparare più colpi di pistola sarebbe stato NOME COGNOME, con carenza di prova circa l’effettiva esplosione di colpi di arma da fuoco da parte d ell’imputato e, soprattutto, senza che si sia giunti all ‘individuazione dell’arma da lla quale questi sarebbero partiti, mancando l’esame stub e accertamenti balistici riguardanti la persona offesa. La difesa, su tale punto, segnala anche l’ esito negativo della perquisizione a carico dell’imputato in quanto era stato trovato soltanto un fucile calibro TARGA_VEICOLO e una pistola TARGA_VEICOLO che, però, si era acclarato essere armi che non avevano sparato di recente.
La Corte territoriale, a fronte di tale prospettazione, con ragionamento completo e immune da illogicità manifesta, colloca la vicenda nell’ambito di rapporti conflittuali tra confinanti, peraltro, legati da rapporti di affinità (la figlia della persona offesa NOME COGNOME, NOME, era sposata con il figlio di NOME COGNOME, NOME) e descrive (cfr. p. 4 e ss.) i fatti, ricavati dal complesso delle fonti di prova esaminate, come inseriti in un clima di forte omertà da parte dei componenti delle due famiglie, alcuni dei quali escussi a sommarie informazioni testimoniali nelle immediatezze del fatto.
Viene precisato che NOME COGNOME, immediatamente dopo gli accadimenti, si era reso irreperibile e si era costituito il successivo 9 luglio 2014. Condotta che aveva giustificato l’intercettazione delle utenze telefoniche in uso a  NOME
COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonché l ‘ intercettazione ambientale disposta nella vettura Lancia Y in uso a NOME Del COGNOME.
Da queste ultime risulta, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, che il marito della donna, NOME COGNOME, aveva riferito al suo interlocutore che era stato il suocero (NOME COGNOME) a sparare per primo, cioè la persona offesa e che, comunque, NOME confermava alla moglie che era stato  suo padre, NOME COGNOME, a sparare negli occhi alla persona offesa.
Dal  complesso  dell’attività  di  captazione  emergeva,  poi,  l’esistenza  di  un diverbio,  intervenuto  tra  l’imputato  e  la  persona  offesa,  proprio  nel  giorno  dei fatti.
La Corte di appello, dunque, alla stregua di tali fonti di prova, ha condiviso, con ragionamento immune da illogicità manifesta, la ricostruzione recepita nella sentenza di primo grado con alcune precisazioni.
In primo luogo, la Corte territoriale ha escluso che si sia verificata, da parte del primo giudice, violazione della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato perché se è vero che è contestato al capo A) il reato di tentato omicidio eseguito con un’arma TARGA_VEICOLO, si precisa, nella sentenza di primo grado, che tale arma è genericamente indicata e che viene specificato, nella motivazione, essere un fucile a pallini. Dunque, la contestazione per la quale la parte si è difesa, riguardava un fatto più grave rispetto al quale, comunque, l’imputato ha potuto espletare tutte le sue prerogative difensive.
In secondo luogo, i giudici di appello hanno  valorizzato le decisive dichiarazioni  di  NOME  COGNOME,  figlio  della  persona  offesa,  nonché  le risultanze delle intercettazioni , concludendo, in base all’esame logico e immune da vizi di merito di queste fonti di prova, nel senso che, per effetto di un diverbio connesso a contrasti tra i due confinanti, vi era stat a l’esplosione di più colpi di arma da fuoco.
Infine, la Corte territoriale ha condiviso la ricostruzione difensiva secondo la quale a sparare per prima era stata proprio la persona offesa, utilizzando una pistola TARGA_VEICOLO, incrociando i contenuti delle intercettazioni con la circostanza del reperimento, sul posto, di un bossolo di tale calibro. Tuttavia, con ragionamento completo e immune da vizi di ogni tipo, si è evidenziato -diversamente da quanto assunto dalla difesa per la quale COGNOME non avrebbe mai sparato -che, dopo quell’azione, era intervenuta senz’altro la condotta contestata all’imputato il quale aveva esploso (almeno) un colpo di fucile a pallini, provocando alla vittima le ferite refertate, riportando, a p. 11, il complesso delle fonti di prova utilizzate a sostegno di tale ricostruzione.
La sentenza di secondo grado tiene conto, dunque, della circostanza che non era stato svolto l ‘ esame stub per imputato e persona offesa. Tuttavia, a conforto della ricostruzione esposta, sono indicate come  decisive le conversazioni
ambientali in cui NOME COGNOME aveva commentato col suo interlocutore che era  stato  il  suocero  a  sparare  per  primo  e  quella  tra  NOME  COGNOME  e  la moglie NOME COGNOME, in cui il primo aveva rinfacciato alla seconda che era stato suo padre a sparare e che i colpi esplosi si trovavano ancora nelle balle di fieno.
Ancora, si valorizza la deposizione decisiva di NOME COGNOME, il quale aveva  accreditato,  immediatamente,  la  versione  secondo  la  quale  a  sparare  a suo padre era stato NOME COGNOME, proprietario del fondo confinante e suocero di sua sorella NOME.
Si  tratta  di  denuncia  considerata,  con  ragionamento  immune  da  illogicità manifesta, attendibile perché  svolta  nelle  immediatezze,  non  concordata  con  il padre  o  con  altri  congiunti  e  ritenuta  convergente  rispetto  al  contenuto  delle captazioni, nelle quali era stato proprio NOME COGNOME ad affermare che suo padre gli aveva detto che a sparare era stato NOME e di essere stato colto di sorpresa.
La sentenza di secondo grado, peraltro, spiega che NOME COGNOME era stato  l ‘ unico  tra  i  familiari  delle  parti,  a  non  mostrarsi  omertoso  con  gli investigatori  e  a  rendere  dichiarazioni  convergenti  rispetto  al  contenuto  delle captazioni registrate, a differenza dei suoi familiari e di quelli dell ‘ imputato.
Inoltre, si valorizzano le sommarie informazioni testimoniali rese dall’amico di NOME COGNOME, NOME COGNOME (cfr. p. 11 e ss.). Questi, secondo la pronuncia impugnata, aveva riferito anche di una colluttazione avvenuta mentre, assieme  all’amico  NOME,  aveva  prestato  i  primi  soccorsi  al  ferito,  perché erano sopraggiunte due donne e un uomo, riconosciuto in NOME COGNOME, con i quali lo stesso NOME aveva avuto una colluttazione.
Il  dedotto  contrasto tra le dichiarazioni di NOME  COGNOME e dell’amico non risulta compiutamente denunciato, risultando non illustrato, specificamente, il rilievo decisivo della dedotta discrasia (cfr. p. 10 del ricorso).
Quanto sostenuto dalla difesa, poi, circa la carenza di dichiarazioni testimoniali  conformi  rispetto  al  contenuto  delle  intercettazioni,  da  parte  di NOME e NOME COGNOME, non tiene conto del descritto clima di omertà circa i  reali  accadimenti  emerso  dalle  captazioni  e,  comunque,  del  contenuto  delle intercettazioni riportate dalla Corte territoriale che, invece, depone per un ‘ univoca, coerente e lineare ricostruzione delle condotte.
Infine, la dedotta scarsa vis lesiva dell’arma, per ché il fucile a pallini, nella specie,  era  stato  utilizzato  da  lunga  distanza  e,  comunque,  per  essere  quella usata,  arma  con  caratteristiche  tali  per  cui  lo  sparo  non  avrebbe  potuto comportare ferite letali in quanto esploso da circa 30 – 40 metri, è osservazione versata in fatto, non  corroborata  dall’indicazione di  nessun  dato  tecnico -scientifico su cui fondare la prospettata conclusione né di dati probatori emersi,
in  ta l  senso,  dall’istruttoria  svolta o  indebitamente  trascurati  dai  giudici  di merito.
Da ultimo, è appena il caso di osservare, circa il mancato riscontro, nella fase cautelare, di elementi indiziari gravi tali da condurre all’emissione del titolo custodiale richiesto a carico dell ‘ indagato, che è pacifico lo strumentale rapporto esistente tra i procedimenti di cognizione e quello cautelare, nonché l’autonomia della decisione cautelare, rispetto a quella resa, dal giudice di merito, all’esito del giudizio di cognizione, con sentenza anche non irrevocabile (in conformità anche con quanto enunciato dalla Corte costituzionale: sent. n. 71 del 1996; cfr. anche l’argomento espresso da Sez. 5, n. 22235 del 07/05/2008, Pipitone, Rv. 240425; Sez. 1, n. 13040 del 23/01/2001, Avignone, Rv. 218582).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Ineccepibile è la qualificazione del fatto come tentativo di omicidio.
Questa tiene conto della collocazione del colpo esploso in direzione della parte alta del corpo della vittima, del fatto che i pallini avevano attinto una zona interessata da organi vitali , tanto che avevano raggiunto l’occhio della persona offesa con perdita del visus , della circostanza che era stata utilizzata un’arma da fuoco del tipo fucile , della condotta dell’ imputato successiva alla commissione del reato. Del resto, il referto medico indicato anche dalla difesa attesta che il colpo esploso aveva cagionato plurime lesioni da arma da fuoco, al tronco, al volto e agli arti superiori, oltre che all’occhio sinistro.
Il ragionamento svolto dai giudici di merito, ai fini della qualificazione della condotta quale tentativo di omicidio invece che di lesioni personali, è, dunque, in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato (nella specie l’imputato ha rinunciato ad offrire la sua versione dei fatti: cfr. p. 8 della sentenza di primo grado), ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’ animus necandi , assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post , ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili (tra le altre, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012-01; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339 – 01; Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, COGNOME, Rv. 215511 – 01; Sez. 1, n. 7906 del 24/03/1988, COGNOME, Rv. 178825 01). La valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario, anche nelle forme del dolo alternativo, può essere raggiunta, dunque, attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Rv. 275012; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 2009, Rv. 243370)
Quanto all’idoneità degli, atti si osserva che secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  ai  fini  della punibilità del  tentativo  rileva l’idoneità  causale  degli  atti  compiuti  al  conseguimento  dell’obiettivo  delittuoso, nonché  l’univocità  della  loro  destinazione,  da  apprezzarsi  con  valutazione ex ante , in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta (Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, Rv. 250932 – 01).
Non rileva, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702; Sez. 1, n. 24173 del 5/04/2022, Rv. 283390 – 01) la scarsa entità (o anche l’inesistenza) delle lesioni provocate alla persona offesa. Si tratta di circostanze non considerate idonee ad escludere, di per sé, l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente (come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa).
Non sono condivisibili i rilievi difensivi in ordine alla scarsa vis lesiva dell’arma usata e del colpo messo a segno, in considerazione della distanza dalla quale il fucile era stato usato. Invero, si osserva che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, in tema di delitti contro la persona, per distinguere il reato di lesione personale da quello di tentato omicidio occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva, ma tali dati sono desumibili dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata, nonché dalle modalità dell’atto lesivo (Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rv. 283390 -01).
Nella specie, si è trattato, secondo entrambe le sentenze di merito, di un colpo di fucile a pallini indirizzato al capo della vittima, tanto che questa era stata attinta all’occhio, con perdita del visus oltre ad aver riportato altre ferite al tronco, al volto e agli arti superiori. Ciò, a dimostrazione della destinazione del colpo in zona ove hanno sede organi vitali. Inoltre, la Corte territoriale valorizza il dato della concentrazione di tutte le ferite nella regione facciale e agli arti superiori, nonché l ‘ assenza di pallini in altri punti del corpo, concludendo, anzi, nel senso che la distanza dello sparatore dalla vittima designata non doveva essere eccessiva.
La motivazione svolta sul punto appare coerente e ineccepibile e viene contestata dal ricorrente con argomenti in fatto o rivalutativi, lamentando, peraltro, la mancanza di accertamenti sull’arma impiegata per commettere il delitto, circostanza, tuttavia, dovuta alla circostanza che gli investigatori non sono mai venuti in possesso, perché mai reperita. Peraltro, le osservazioni circa la distanza considerevole tra lo sparatore e la vittima sono, del pari, versate in fatto, così come le deduzioni relative alla sostanziale inoffensività di colpi di fucile a pallini laddove questi siano esplosi da oltre trenta metri, distanza tra
sparatore e vittima non accertata, secondo i giudici di merito, nella consistenza indicata dal ricorrente.
È, infine, appena il caso di osservare che la sentenza di secondo grado, laddove indica l ‘ avvenuta esplosione da parte di NOMECOGNOME di almeno un colpo, quindi ipotizzando l ‘ esplosione di più colpi, non è convergente con il referto medico che attesta l ‘esistenza di plu rime lesioni da arma da fuoco ma non indica il numero dei colpi esplosi (cfr. referto del 6 luglio 2014 prodotto dal ricorrente in allegato). In ogni caso, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il reato di tentato omicidio la condotta dell’agente che abbia indirizzato anche un solo colpo di arma da fuoco con l’intento di uccidere un avversario, non riuscendovi per imperizia balistica (Sez. 1, n. 30336 del 14/06/2013, COGNOME, Rv. 256797 -01)
1.3. Il terzo motivo è infondato.
La  Corte  territoriale,  con  ragionamento  stringato,  ma  comunque  lineare  e immune da vizi logici, motiva l’esclusione della legittima difesa (cfr. p. 12 della sentenza  di secondo  grado)  a  causa  del verificarsi  di  una  reazione  non contestuale da parte dell’ imputato, rispetto alla condotta della vittima.
Secondo  la  Corte  di  appello,  l’azione  intimidatoria  della  persona  offesa  e quella di NOME si sono susseguite in una frazione temporale non strettissima. Questo convincimento trae la Corte d’appello, secondo un ragionamento immune da illogicità manifesta, dalla dichiarazione del figlio della persona offesa NOME COGNOME, il quale aveva riferito che suo padre, quando era stato soccorso, gli aveva detto che era stato preso alla sprovvista, di sorpresa da NOME.
Tanto, a conferma di un ‘ azione, da parte di ciascuna delle parti, che non era stata contestuale e del fatto che, al momento dell ‘ esplosione del colpo d ‘ arma da fuoco da parte di COGNOME, la situazione di aggressione da parte di COGNOME non era  più  in  atto  e  la  cessazione  della  situazione  di  pericolo  non  dipendeva  più, necessariamente, da una situazione difensiva, potendo COGNOME sottrarsi diversamente al confronto.
Si tratta di dichiarazioni reputate dalla Corte territoriale altamente significative  e  sicuramente  veridiche  anche  perché  NOME  COGNOME,  nelle conversazioni intercettate, viene rimproverato dai suoi familiari circa il comportamento  assunto,  cioè  quello  di  aver  detto  la  verità  agli  investigatori, invece di provvedere diversamente attuando una ritorsione.
Quindi, secondo la ricostruzione immune da illogicità manifesta dei giudici di merito, le due azioni non erano state contestuali, circostanza di fatto idonea ad escludere la sussistenza della causa di giustificazione invocata.
La sentenza impugnata ha conseguentemente escluso, in termini giuridicamente ineccepibili e conformi alla giurisprudenza di legittimità sul punto, che NOME versasse o potesse ritenere di versare in una situazione di pericolo
attuale  per  la  propria  incolumità  fisica,  tale  da  rendere  necessitata  e  priva  di alternative la sua reazione armata, nei modi in cui  si è concretizzata, così che l’azione dell’imputato si è  tradotta nell’aggressione consapevole e volontaria del bene della vita di COGNOME, superando gli schemi legali dell’esimente invocata (Sez. 1. n. 51262 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 272080 -01;  Sez.  1  n.  45425  del 25/10/2005, Rv. 233352; Sez. 1 n. 5697 del 28/01/2003, Rv. 223441).
Con riferimento all ‘eccesso colposo di legittima difesa, va esposto che questo si verifica quando la giusta proporzione fra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, ovvero per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza, mentre si fuoriesce da esso tutte le volte in cui i limiti della necessità della difesa vengano superati in conseguenza di una scelta cosciente e volontaria, così trasformando la reazione in uno strumento di aggressione (tra le altre, Sez. 3, n. 30910 del 27/04/2018, L., Rv. 273731; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, COGNOME, Rv. 256017; conformi n. 45407 del 2004, Rv. 230393; n. 32282 del 2006 Rv. 235181). Si osserva, inoltre, in adesione a conforme indirizzo di questa Corte di legittimità (Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., Rv. 247898; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008, dep. 2009, Olari, Rv. 242349) che l’assenza dei presupposti della legittima difesa, in specie del bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo nella medesima scriminante, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati.
Di qui l ‘inammissibilità della ce nsura svolta sul punto. Del pari inammissibile, per le ragioni sin qui svolte, in tema di insussistenza della legittimità difesa, anche è la censura relativa alla carenza di motivazione circa la richiesta di riconoscimento della legittima difesa putativa. È noto, peraltro, che è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, COGNOME, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263157).
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Generica risulta la richiesta di rinnovazione istruttoria in grado di appello, tenuto conto, peraltro, che nel secondo grado la rinnovazione istruttoria ha carattere eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine sia stata esauriente con le acquisizioni del primo grado, sicché il potere del giudice è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820; Sez. U, 24/01/1996,
Panigoni; Sez. 1, n. 3972 del 2014). Atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato  all’apprezzamento  del  giudice  di  appello,  restando  incensurabile  nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato, deve sottolinearsi che a fronte di una motivazione che, nel suo complesso, dà conto, in modo univoco, del fatto che  è  stato  ritenuto  sicuramente  non  impossibile  decidere  allo  stato  degli  atti, alcun fondamento ha la censura difensiva.
1.5. Il quinto motivo è infondato.
Sul trattamento sanzionatorio e circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della Corte territoriale è esauriente e in linea con la giurisprudenza di questa Corte (cfr. p. 12) secondo la quale non è necessario che siano confutate, da parte del giudice di secondo grado, tutte le considerazioni svolte in sede di gravame per reputare non concedibile il beneficio di cui all ‘ art. 62bis cod. pen., purché siano indicate le ragioni ritenute prevalenti che ne hanno giustificato il diniego. Nella specie, viene indicato che l ‘ imputato si è reso irreperibile, sia pure per breve periodo e che ha fatto uso di arma da fuoco per risolvere una banale questione di vicinato, ragionamento sufficiente, al di là del riferimento alla mancanza di segni di resipiscenza che la difesa giustifica con la legittima scelta di protestarsi innocente. Anche l ‘ entità della pena non è priva di giustificazione se si considera il complessivo tenore della motivazione, dove il riferimento alla condotta dell ‘ imputato e, in particolare, all ‘ utilizzo di armi per risolvere conflitti con un confinante è valutazione che soddisfa lo standard di cui all ‘ art. 133 cod. pen., quanto alla gravità della condotta e allo svolto giudizio circa la personalità dell ‘ imputato sotto il profilo della capacità a delinquere e pericolosità.
1.6. Il sesto motivo è fondato nei limiti di seguito indicati.
Sulla  disposta  confisca  la  Corte  di  appello  svolge  motivazione  circa  la pericolosità  delle  armi  in  sequestro.  La  sentenza  di  primo  grado,  invece,  si  è limitata  ad  esporre  che  le  armi  e  munizioni  in  sequestro  dovevano  essere confiscate.
Tuttavia,  da  entrambe  le  motivazioni  di  merito,  non  si  comprende  quali siano le armi oggetto del provvedimento ablativo.
Sicuramente,  per  come  è  stato  ricostruito  l ‘ accaduto,  non  si  tratta  per entrambe  le  sentenze,  di  quella  usata  per  commettere  il  delitto,  perché  mai reperita, tanto che, peraltro, l ‘ imputato è stato assolto dal reato di cui al capo B).
Inoltre,  si  osserva  che  dalla  sentenza  di  secondo  grado  risulta  che  quelle reperite nel corso della perquisizione domiciliare e del veicolo di COGNOME erano armi  che  erano  risultate  legittimamente  detenute.  Né  diversa  indicazione  si ricava dalla sentenza di primo grado.
Si impone, dunque, l ‘annullamento della sentenza impugnata, con rinvio su tale punto per approfondire il tema della disposta confisca delle armi e munizioni in  sequestro  e  chiarire  il  titolo  per  il  quale  questa  è  giustificata,  anche  per verificare,  in  sede  di  merito,  se,  nei  confronti  di  COGNOME,  sia  stato  emesso provvedimento prefettizio ex art. 39 TULP.
Segue l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto concernente la disposta confisca delle armi e munizioni in sequestro, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli e rigetto, nel resto, del ricorso.
Va  dichiarata,  ai  sensi  dell’art. 624  cod.  proc.  pen.  l ‘ irrevocabilità  della sentenza quanto alla responsabilità e circa il trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla  la  sentenza  impugnata  limitatamente  alla  confisca  delle  armi  e munizioni  in  sequestro  e  rinvia  per  nuovo  giudizio  sul  punto  ad  altra  sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso. Visto l’art. 624 cod. proc.  pen.  dichiara  irrevocabili  l’accertamento  di  penale  responsabilità  e  la determinazione della pena.
Così deciso, il 13 novembre 2024