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Tentato omicidio: quando è solo lesione personale?

Un uomo viene condannato per tentato omicidio dopo un litigio stradale. La Cassazione, pur confermando l’aggressione, annulla la condanna per tentato omicidio, riqualificando potenzialmente il reato in lesioni personali per mancanza di prova certa sull’intenzione di uccidere, criticando la valutazione sull’arma usata.

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Pubblicato il 30 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio o Lesioni? La Cassazione Annulla e Spiega la Differenza

La distinzione tra tentato omicidio e lesioni personali aggravate è una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto penale. L’elemento chiave che differenzia le due fattispecie è l’intenzione dell’aggressore, il cosiddetto animus necandi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 25800/2024) offre un importante chiarimento su come i giudici debbano valutare questo elemento, annullando una condanna proprio per l’incertezza sulla volontà di uccidere.

I Fatti: Dal Litigio alla Duplice Condanna

Il caso ha origine da un violento litigio tra due automobilisti. Secondo la ricostruzione dei giudici di primo e secondo grado, un uomo, al culmine della discussione, aveva tentato di investire la controparte con la propria auto, l’aveva ferito, aveva danneggiato il suo veicolo e, infine, lo aveva denunciato per minacce e lesioni, pur sapendolo innocente. Sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e di un testimone, l’aggressore era stato condannato sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello per tentato omicidio, danneggiamento e calunnia.

Il Ricorso in Cassazione: I Motivi della Difesa

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, sia procedurali che di merito. Il punto centrale del ricorso riguardava la qualificazione del reato principale. Secondo i legali, non vi erano prove sufficienti per dimostrare l’intenzione di uccidere (animus necandi). La motivazione della Corte d’Appello si basava in modo acritico sulla presunta ‘micidialità’ di un oggetto metallico mai chiaramente identificato, senza un’analisi approfondita delle reali circostanze, della modesta entità della ferita riportata e del comportamento successivo dell’imputato, che aveva autonomamente chiamato le forze dell’ordine.

La Decisione della Cassazione sul tentato omicidio

La Suprema Corte ha rigettato gran parte dei motivi di ricorso, confermando la correttezza della valutazione dei giudici di merito sulla credibilità dei testimoni e sull’insussistenza della legittima difesa o della provocazione. Tuttavia, ha accolto pienamente le censure relative alla qualificazione del reato come tentato omicidio.

Le motivazioni: L’illogicità sulla ‘micidialità’ dell’arma

I giudici di legittimità hanno ritenuto ‘illogica’ la motivazione della sentenza d’appello. Affermare la sussistenza dell’animus necandi basandosi quasi esclusivamente sulla presunta ‘micidialità’ di un oggetto non identificato, sulla base delle sole conclusioni del consulente di parte civile, rappresenta un vizio argomentativo. Per distinguere il tentato omicidio dalle lesioni, è necessario un esame rigoroso di tutti gli elementi: la sede corporea attinta, l’idoneità dell’arma, le modalità dell’azione e ogni altro dato che possa rivelare in modo non equivoco la volontà dell’agente. In assenza di prove certe e di una valutazione complessiva di tutti gli elementi raccolti, la conclusione della Corte d’Appello è risultata carente e basata su congetture.

Le conclusioni: Annullamento con Rinvio

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del reato di tentato omicidio. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che dovrà procedere a un nuovo esame, più approfondito e rigoroso, per stabilire se l’azione debba essere qualificata come tentato omicidio o, più correttamente, come lesioni personali aggravate. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale: una condanna per un reato così grave non può fondarsi su deduzioni illogiche o su una valutazione parziale delle prove, ma richiede una dimostrazione certa e inequivocabile dell’intento omicida.

Quando un’aggressione si qualifica come tentato omicidio e non come semplici lesioni?
Si qualifica come tentato omicidio quando l’azione è potenzialmente idonea a causare la morte e, soprattutto, quando è sorretta dall’intenzione di uccidere (animus necandi). Questo intento deve essere desunto da elementi oggettivi come la sede corporea colpita, la natura dell’arma usata e le modalità complessive dell’aggressione.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna per tentato omicidio in questo caso?
La Corte ha annullato la condanna perché la motivazione dei giudici d’appello è stata ritenuta illogica. Essa basava la sussistenza dell’intento omicida quasi esclusivamente sulla presunta ‘micidialità’ di un oggetto che non è mai stato chiaramente individuato, senza un’analisi approfondita e complessiva di tutti gli altri elementi del fatto, come l’effettiva entità delle ferite.

La testimonianza della persona offesa è sufficiente per una condanna?
Sì, la giurisprudenza ammette che la testimonianza della persona offesa possa essere posta da sola a fondamento di un’affermazione di responsabilità penale, ma la sua attendibilità deve essere vagliata con particolare rigore. La sua credibilità deve trovare riscontro in altri elementi di prova, come in questo caso le dichiarazioni di un altro testimone e gli elementi oggettivi (la ferita riportata).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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