Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9659 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9659 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/11/2018 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; 1 , 11,14 , Wrrb trekolnYablico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
053 ha concluso per iscritto ai sensi della disciplina emergenziale chiedendo il rig del ricorso.
Ritenuto in atto
La Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, ha dichiarato il non doversi procedere in relazione al reato di ricettazione di arma ascritto al capo c), per intervenuta prescrizione.
Per il resto ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di tentato omicidio, aggravato dalla futilità dei motivi, in danno di NOME COGNOME, commesso esplodendo plurimi colpi di arma da fuoco all’indirizzo di una finestra dietro la quale si trovava la persona offesa (capo a); e per i delitti di illegale detenzione e porto in luogo pubblico dell’arma, clandestina, utilizzata per il tentativo di omicidio (capo b), fatti tutti commessi in Reggio Calabria il 9 gennaio 2016. Ha quindi rideterminato la pena in anni otto e mesi due di reclusione.
I fatti sono stati ricostruiti sulla base delle dichiarazioni della vittima NOME COGNOME, dei suoi prossimi congiunti e delle testimonianze degli appartenenti alla polizia giudiziaria che intervennero sui luoghi ove si verificò l’episodio, frutto di una lite familiare consumatasi nell’abitazione di NOME COGNOME sita al primo piano di uno stabile di INDIRIZZO.
L’imputato giunse armato sotto casa di NOME COGNOME, ove sapeva che si trovava NOME COGNOME che, poco prima, aveva schiaffeggiato il nipote NOME COGNOME. COGNOME citofonò e quando COGNOME si affacciò alla finestra esplose i colpi di arma. In ragione della tempistica con cui furono esplosi e in relazione al movimento compiuto dalla persona offesa, i colpi furono oggettivamente idonei a cagionare l’evento morte. I motivi dell’azione sono stati certamente futili, perché si sono sostanziati nello spirito di vendetta per l’onta subita dal nipote NOME COGNOME, che era stato schiaffeggiato da NOME, con una reazione del tutto sproporzionata rispetto al presunto torto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME, che ha articolato più motivi.
3.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione per mancanza di motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di tentato omicidio. La Corte di appello ha aderito assertivamente alla decisione di primo grado, senza argomentare sulla inconsistenza o sulla non pertinenza dei motivi. Ha omesso un vaglio sul primo motivo di appello relativo alla insussistenza del reato di cui al capo a) e sulla mancata derubricazione del reato di cui al capo a) in quello di danneggiamento nonché sul riconoscimento della desistenza attiva.
3.2. Con il secondo motivo, proposto in subordine, ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo alla invocata riqualificazione del reato di tentato omicidio in danneggiamento e tentativo di lesioni aggravate dall’uso dell’arma. La Corte territoriale ha sul punto affermato che ai fini del giudizio assume valore determinante l’apprezzamento in concreto della idoneità dell’azione, secondo una prognosi effettuata ex ante. Ma il ricorso al criterio ex ante cozza con l’apprezzamento in concreto della idoneità dell’azione, perché se un giudizio deve essere compiuto in concreto significa che deve essere compiuto ex post. Peraltro, la sentenza ha omesso di prendere in esame le ragioni della inverosimiglianza della ricostruzione operata dalla parte civile in dibattimento. Se avesse voluto attentare alla vita di NOME, il ricorrente avrebbe potuto sparare quando quest’ultimo aprì la finestra oppure avrebbe potuto aspettarlo sotto e colpirlo con sicurezza nel momento in cui appariva sulla porta.
3.3. Con il terzo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento alle circostanze e al trattamento sanzionatorio. I motivi abietti e futili non possono individuarsi nel mero sentimento di vendetta e la premeditazione non può consistere nella sola preordinazione dei mezzi.
La negata prevalenza delle attenuanti generiche non ha tenuto conto del contesto e quindi della specificità della vicenda, oltre che dell’atteggiamento pienamente collaborativo dell’imputato, della sua ineccepibile condotta processuale e del comportamento successivo al fatto.
Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha proposto conclusioni scritte con chi ha insistito nelle ragioni di ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
I primi due motivi sono infondati. L’affermazione di responsabilità per il delitto di tentato omicidio è adeguatamente motivata. La Corte di appello ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto di non accogliere la richiesta di rinnovazione istruttoria.
Ha illustrato, richiamandosi alle argomentazioni critiche svolte dal giudice di primo grado, il coerente e completo materiale probatorio, che dimostra, da un lato, che NOME COGNOME esplose plurimi colpi di arma da fuoco, ben sei, all’indirizzo
della finestra che NOME COGNOME stava per chiudere, dopo essersi affacciato per rispondere alla intimazione di scender giù per un chiarimento dopo il diverbio familiare; dall’altro, che la direzione dei numerosi colpi di arma da fuoco fu dal basso verso l’alto e che furono sparati da una distanza di non più di quatto metri; che i colpi furono esplosi in modo tale da colpire NOME COGNOME, perché questi si trovava in piedi, ancora a stretto contatto con la finestra, che in quel frangente stava per chiudere, riuscendo a gettarsi a terra appena in tempo per evitare che i colpi lo raggiungessero in pieno.
La Corte di appello ha corroborato tali conclusioni, coerenti con il materiale probatorio puntualmente descritto e valutato dal giudice di primo grado, aggiungendo che la posizione dei fori rilevati sulla finestra, le scalfitture riscontrate sui muri esterni e interni all’abitazione, causate dai proiettili esplosi, la tempistica degli spari attestano la probabilità che la vittima potesse essere mortalmente colpita. Ciò non si verificò, come lo stesso COGNOME ha spiegato, perché ebbe la prontezza di gettarsi in terra e schivare i colpi che altrimenti lo avrebbero raggiunto.
Quanto alla volontà omicida, la Corte di appello ha ben argomentato, osservando che il primo colpo di arma da fuoco fu esploso mentre NOME stava per chiudere le imposte della finestra e quindi era un bersaglio ben visibile e non protetto da alcun ostacolo. Ha in tal modo desunto, con piena logicità di argomenti, la sussistenza dell’animus necandi.
Così ricostruita l’aggressione armata, non v’è alcuno spazio per derubricazione in fattispecie criminose meno gravi o, addirittura, per la configurazione della desistenza attiva, potendo qui essere sufficiente il richiamo, tra le molte, a Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012 Ud, Rv. 252259, secondo cui “in tema di reati di danno a forma libera (nella specie, omicidio), la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il cosiddetto recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento”.
In ordine al criterio di apprezzamento della idoneità e univocità degli atti, è appena il caso di evidenziare che la Corte territoriale ha ben operato, facendo ricorso al giudizio prognostico ex ante, che non è un giudizio meramente astratto, come sembra voler dire il ricorso per censurare la ricostruzione di sentenza, atteso che esso viene comunque sviluppato tenendo conto di tutte le circostanze concretamente presenti al momento in cui gli atti sono compiuti. Si tratta, come è stato da tempo precisato anche nella giurisprudenza di legittimità, di riferire, nei reati di danno, l’idoneità degli atti “all’insieme complessivo dell’attività posta in
essere dal soggetto, tenendo conto di tutte le modalità e circostanze effettive di essa nell’ambito della situazione contingente”, sicché l’idoneità “va ritenuta sussistente se risultino dotati di oggettiva pericolosità in concreto rispetto all’interesse protetto, con valutazione, quindi, ex ante, anche se la prognosi è necessariamente postuma rispetto all’attività svolta” – Sez. 1, n. 17787 del 03/11/1988, dep. 1989, Rv. 182929 -.
Anche il terzo motivo è infondato. Anzitutto deve precisarsi che l’aggravante della premeditazione è stata esclusa già all’esito del giudizio di primo grado.
L’aggravante, invece, dei motivi abietti e futili è stata correttamente ritenuta, in forza di argomenti che rendono una motivazione compiuta e non censurabile in sede di legittimità. La futilità del motivo è stata apprezzata non soltanto nel sentimento di vendetta che animò l’imputato, che intendeva rispondere all’offesa subita dal nipote NOME COGNOME che aveva ricevuto uno schiaffo da NOME, ma anche nella evidente sproporzione tra il contenuto della offesa e la reazione. Vale allora il principio di diritto per il quale “ricorre circostanza aggravante dei motivi futili quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, del tutto insufficiente a causare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale. Ne consegue che la circostanza aggravante in questione ha natura soggettiva, dovendosi individuare la ragione giustificatrice della condotta nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto” – Sez. 1, n. 17309 del 19/03/2008, Rv . . 240001 -.
3.1. Non è censurabile, perché adeguatamente motivato, il giudizio espresso dalla Corte di appello di non prevalenza delle già riconosciute attenuanti generiche, in ragione della gravità del fatto. La formula espressiva è sintetica, ma certo non rivela una insufficienza di motivazione nella misura in cui gli indici di gravità sono stati ben evidenziati dal complesso delle argomentazioni spese per dare conto della affermata responsabilità dell’imputato.
Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 23 gennaio 2024.