Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38607 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38607 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2023 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore gen
NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto
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udito il difensore delle parti civili, AVV_NOTAIO, per NOME COGNOME e NOME che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte e alla nota spese precisand stato revocato il gratuito patrocinio;
udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha concluso chie l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato la condanna, resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, in data 19 aprile 2016 all’esito di rito abbreviato, dichiarando l’intervenuta prescrizione del reato ascritto a NOME COGNOME al capo B, nonché rideterminando la pena irrogata all’imputato in quella di anni cinque di reclusione, con conferma delle statuizioni civili, per la residua imputazione sub A.
Il primo giudice aveva condanNOME l’imputato, con le concesse circostanze attenuanti e riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione, per il reato di cui al capo A (artt. 61 n. 1, 56, 8 comma primo, 575, 577 n. 4 cod. pen., tentato omicidio in danno di NOME COGNOME, nonché quello ai danni di NOME COGNOME) e per il reato di cui al capo B, concernente la detenzione illegale e il porto di una pistola TARGA_VEICOLO, utilizzata per commettere i reati di cui al capo A.
2.Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, l’imputato, affidandosi a quattro motivi, di seguito riassunti, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione degli artt. 56, 575 cod. pen., 192 cod. proc pen. e vizio di motivazione.
Quanto alli univocità e idoneità degli atti non è consentito al giudice di trarre tale requisito, per il delitto tentato, dal riferimento a propositi interni all’age dei quali non si abbia conoscenza attraverso dati obiettivamente riscontrabili.
L’idoneità va, poi, valutata con riferimento a un criterio probabilistico di realizzazione dell’evento delittuoso, ex ante, in relazione a quanto voluto dall’agente. Si richiamano precedenti giurisprudenziali indicati come in termini.
La Corte territoriale ha considerato che, nel premere il grilletto di un’arma da fuoco carica, a distanza ravvicinata di qualche metro, rivolta al petto della vittima, evento non verificatosi per l’involontario inceppamento della pistola, dovevano individuarsi gli estremi del tentativo di omicidio.
Nessun dubbio si può ricavare, secondo la Corte d’appello, circa l’idoneità degli atti e la volontà dell’imputato di attentare alla vita della vittima.
Questi, aveva il braccio teso, all’altezza del petto della persona offesa, perpendicolare al terreno, mentre tentava di esplodere due colpi di arma da fuoco che, ove l’arma avesse funzioNOME, avrebbero senz’altro attinto la vittima in una zona vitale del corpo, cagionandone certamente la morte.
Secondo la Corte di appello, non è rilevante che nella zona non è stato trovato alcun bossolo inesploso; tanto, considerata la circostanza che l’intervento degli investigatori è avvenuto in un momento concitato e ha avuto inizio quando COGNOME aveva fatto perdere le proprie tracce. Sicché, non è improbabile che l’imputato abbia recuperato i bossoli inesplosi.
La difesa, invece, sostiene che il fatto che i testimoni hanno sentito che il grilletto è stato premuto due volte, non vuoi dire che l’arma si è inceppata ma può essere che questa non fosse carica.
Infatti, sostiene il ricorrente che quando l’arma si inceppa non si percepisce alcun suono perché il meccanismo di inserimento della pallottola in canna, di caricamento del grilletto, di percussione della cartuccia, di esplosione della pallottola e di caricamento si blocca.
Invece, nella specie, l’arma non si è bloccata perché i testimoni hanno riferito di aver percepito il suono del grilletto che colpisce, per due volte, superficie metallica.
La Corte territoriale, invece, assume che la pistola si era inceppata e omette del tutto di considerare che nessun teste ha riferito di aver percepito di una eventuale azione di sblocco della pistola.
Peraltro, la conclusione cui giunge la Corte territoriale prescinde da quanto riferito dai testimoni e dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria: nessuno dei testi ha riferito di azioni poste in essere da COGNOME, di recupero di bossoli inesplosi e di reinserimento, di questi, nel caricatore.
Né può farsi riferimento a una non attenta repertazione, dal momento che la polizia giudiziaria ha esattamente recuperato tutti i colpi che i testimoni riferiscono essere stati esplosi al momento del fatto.
Peraltro, la circostanza che la pistola si era inceppata contrasta con quanto riferito dai testimoni e, cioè, che il marito della COGNOME, dopo che erano stati senti due click, si era avviciNOME all’imputato e aveva cercato di disarmarlo. Se a quel punto l’arma fosse stata carica, COGNOME avrebbe reagito all’azione di disturbo con l’esplosione di colpi.
Le espresse considerazioni riguardano il primo episodio, mentre il secondo episodio di cui al capo A, per la difesa, consente di escludere del tutto l’esistenza della volontà omicidiaria.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56, 575 cod. pen., 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
La sentenza impugnata tratta il secondo episodio consistito nell’esplosione di cinque colpi di pistola, all’indirizzo della porta d’ingresso dell’abitazione del persone offese, tre dei quali trapassavano la porta e due di questi colpivano la gamba di NOME COGNOME, considerando sussistente la idoneità e univocità dell’azione.
La difesa aveva censurato la prima sentenza che aveva qualificato la condotta quale tentato omicidio nonostante il fatto che fori di ingresso dei proiettili avessero un’altezza di 5, 19 e 58 centrimetri dal suolo, altezze dimostrative del fatto che la direzione dei colpi era verso il basso.
Né risulta in alcun modo che l’imputato avesse consapevolezza del fatto che la porta era perforabile dai colpi di pistola.
Con riferimento a tale episodio, quindi, per la difesa non ricorrono gli estremi del tentato omicidio, perché l’imputato, nel momento in cui ha sparato, non aveva consapevolezza del fatto che questi colpi sarebbero stati idonei a perforare la porta e a colpire una persona che si trovava, in quel momento, dietro. Peraltro, detta consapevolezza non può, considerato il titolo di reato contestato, essere integrata nelle forme del dolo eventuale.
Si richiama pronuncia di questa Corte di legittimità n. 16665 del giorno 8 aprile 2015 che, in sede cautelare, ha annullato l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato la decisione del giudice, qualificando questo episodio come tentato omicidio.
Si evidenzia che, in quella sede, la Corte di legittimità, aveva rimarcato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’intenzione di uccidere si deve desumere dalle modalità dell’azione compiuta dall’imputato e che in questo caso la direzione dei colpi è un elemento essenziale per ricostruire l’intenzione della persona che ha sparato.
La decisione sul punto della Corte di appello ha disatteso la sentenza di legittimità.
Si omette del tutto di verificare se l’imputato avesse avuto o meno la consapevolezza della circostanza che la porta era perforabile, dato che è stato solo presunto.
Inoltre, la Corte territoriale ha omesso di valutare se l’imputato avesse o meno la percezione della presenza, dietro la porta, di una persona.
Invero, si deduce che l’esplosione di alcuni colpi contro una porta perforabile, nella consapevolezza che dietro di questa non vi fosse nessuno o assumendo soltanto come probabile la presenza della persona, non integra il dolo necessario a integrare il tentativo di omicidio.
Del resto, l’esistenza di un unico colpo, posto a 58 centimetri da terra, non è significativo della direzione del colpo medesimo. Il colpo in questo caso, infatti, risulta sparato dall’alto verso il basso e quindi non sussiste, senz’altro, in base alla direzione, la prova della volontà omicidiaria.
La Corte di appello non condivide le conclusioni della sentenza della Suprema Corte relativa alla fase cautelare, perché, al momento della pronuncia, incideva in maniera determinante la circostanza che fosse contestato all’imputato soltanto il secondo episodio e non anche il primo segmento della condotta ai t t
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danni di NOME COGNOME. Non si comprende, però, a parere della difesa, perché questo secondo episodio debba essere condizioNOME dall’intervenuta contestazione dell’episodio posto in essere nei confronti di una diversa persona offesa.
Del resto, anche nel caso dell’ordinanza resa dal Tribunale del riesame, era stata apprezzata l’integrale azione aggressiva caratterizzata dall’esplosione di plurimi colpi di arma da fuoco in direzione di più persone e dall’espressione univoca, usata dall’imputato, di minaccia di morte (“ora vi ammazzo tutti”).
2.3. Con il terzo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56, 575, cod. pen. 61 n. 1, 577 n. 4 cod. pen.
La circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno, di tale levità, banalità, sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare più che una causa determinante dell’evento un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento. Si riporta a giurisprudenza di legittimità in termini.
Si sostiene che la sentenza della Corte di appello ha dato atto che l’imputato si è reso responsabile del ferimento per prendere le difese della madre, NOME COGNOME, che aveva, a sua volta, avuto una lite con la vittima riferimento.
Si dà atto del fatto che una testimone, NOME COGNOME, ha ricostruito la genesi del litigio, riferendo che il diverbio con la madre dell’imputato sfociava in atti di violenza fisica reciproci.
Si trattava di una lite, secondo le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, tra la vicina di casa NOME COGNOME e i suoi familiari, a causa di un incidente stradale avvenuto all’interno del cortile condominiale.
La motivazione, per il ricorrente, è palesemente illogica non avendo mai NOME COGNOME riferito che NOME COGNOME brandisse un coltello e che avesse cercato di disarmarla; né una simile circostanza è stata riferita dagli altri test L’aggressione ai danni della madre dell’imputato si è realizzata dopo che NOME COGNOME si era chiusa in casa e, in quel momento, la donna non brandiva alcun coltello.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 n. 577 n. 4 cod. pen.
Si invoca l’annullamento della sentenza in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante dei futili motivi e il conseguente annullamento con riferimento al mancato riconoscimento della provocazione.
La Corte di appello ha ritenuto di escludere la circostanza attenuante solo per il principio secondo cui la provocazione è incompatibile con la circostanza
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aggravante dei futili motivi. Deriva, quindi, dalla richiesta di annullamento della sentenza circa la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi, anche quella di annullamento del diniego della circostanza attenuante invocata.
3.La difesa ha fatto pervenire a mezzo p.e.c., in data 19 giugno 2024, dichiarazione con la quale ha chiesto la trattazione orale, a mente dell’art. 23, comma 8, del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024, ex art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modif. dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18.
All’odierna udienza, le parti presenti, all’esito della discussione orale, hanno concluso nel senso riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1.11 primo motivo di ricorso è infondato.
Le convergenti sentenze di merito ricostruiscono, in punto responsabilità, i fatti (le sentenze di merito in caso di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale: tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615 – 01) facendo riferimento a una complessiva condotta, nella quale sono descritti tutti e due gli episodi contestati al capo A, entrambi verificatisi all’interno del condominio dove si trovava l’abitazione della famiglia NOME, cui appartengono le persone offese.
Si sottolinea che l’intervento della polizia giudiziaria faceva reperire cinque bossoli calibro 380 e un frammento di ogiva (cfr. p. 5 della sentenza di appello) rinvenuta nella pozza di sangue trovata, nel cucinino, sito all’interno dell’abitazione della famiglia NOME.
Circa il movente dei fatti, si riporta la circostanza che NOME COGNOME, sentita a sommarie informazioni testimoniali, aveva riferito che NOME COGNOME, padre dell’imputato, la stessa sera dei fatti, aveva urtato con la propria autovettura il suo scooter facendolo cadere. Lei era uscita di casa e, da qui, era scaturita una violenta discussione che aveva coinvolto, da un lato, la stessa COGNOME, fidanzata di NOME COGNOME e i componenti della famiglia COGNOME, dall’altro, NOME COGNOME madre dell’imputato, il marito di questa NOME COGNOME e, infine, il figlio NOME, odierno ricorrente.
Le sentenze di merito evidenziano che, secondo la teste COGNOME, la discussione era degenerata tanto che NOME COGNOME aveva esploso colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di NOME COGNOME, madre di NOME.
La stessa COGNOME, secondo la ricostruzione recepita nei provvedimenti di merito, aveva riferito che il litigio era intervenuto con la madre di NOME COGNOME ed era sfociato in reciproci atti di violenza fisica, nonché in un tentativo di aggressione armata da parte della stessa COGNOME (parte del narrato giudicato confermato dal reperimento, da parte della polizia giudiziaria, di un coltello marca Dich Ergogrip, con lama di circa trenta centimetri, indicato come l’arma usata dalla COGNOME per minacciare la COGNOME: cfr. p.8 della sentenza di primo grado). Tanto che la dichiarante aveva riferito di essere rientrata in casa per sfuggire all’aggressione e di aver sentito degli spari, notando, poi, che la suocera, la quale ormai si trovava all’interno del cucinino dell’abitazione, perdeva sangue dalla gamba.
Le sentenze di merito, inoltre, rappresentano che NOME COGNOME aveva riferito di essere torNOME a casa e di aver trovato la moglie e la nuora che litigavano con la vicina NOME COGNOME e aveva raccontato di aver udito il figlio di quest’ultima, uscito dall’abitazione, profferire le parole “ora vi ammazzo a tutti quanti siete qua”. Il teste ha dichiarato, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, che l’imputato era stato visto impugnare una pistola, puntata in direzione dei presenti e che aveva sentito per due volte, un suono metallico (click).
Infine, si rende conto che la persona offesa NOME COGNOME, escusso a sommarie informazioni aveva raccontato di aver visto l’imputato avvicinarsi e che, puntatagli contro la pistola all’altezza del petto, aveva premuto il grillett per due volte (cfr. p. 8 e ss.).
La motivazione svolta dalla Corte territoriale, immune da illogicità manifesta e da vizi di ogni tipo, è esauriente nel senso di reputare l’imputato quale autore di atti idonei, diretti in modo non equivoco ad attentare alla vita dei membri della famiglia RAGIONE_SOCIALE, come contestato al capo A (cfr. p. 11 della sentenza di secondo grado).
La motivazione, invero, valuta congiuntamente i due episodi, uno consistito nel premere il grilletto di un’arma da fuoco carica, a distanza ravvicinata di qualche metro, in direzione del petto, per due volte prima di rendersi conto che i colpi non partivano. L’altro, consistito nello sparare perforando la porta di casa dietro la quale si trovavano NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, dove, immediatamente dopo il primo episodio, questi avevano cercato riparo.
La volontà omicida viene ricavata, secondo un ragionamento ineccepibile, da plurimi elementi.
Si valorizza, all’uopo, la dichiarazione espressa, di NOME COGNOME, di farsi giustizia ammazzando i suoi contendenti, manifestata alla presenza anche delle
persone offese, nonché dalla reiterazione di colpi che, peraltro, non erano andati a segno soltanto per l’imprevisto inceppamento dell’arma, ma erano orientati al petto,
Invero, secondo i giudici di merito, l’imputato non si era limitato a puntare l’arma contro il suo contraddittore, ma aveva esploso due colpi, da distanza ravvicinata e ad altezza d’uomo, con uno strumento, peraltro, senz’altro funzionante e potenzialmente lesivo, come dimostra la circostanza che, immediatamente dopo, dalla stessa pistola, erano stati esplosi altri colpi che avevano perforato la porta di alluminio dell’abitazione e ferito alla gamba una delle persone che si trovavano all’interno di questa.
Si tratta di motivazione del tutto in linea con la costante giurisprudenza di legittimità secondo la quale (tra le altre, Sez. 1, n. 7574 del 14/06/1993, Angella, Rv. 194782 – 01) per l’individuazione dell’elemento psicologico del reato in genere e nei delitti contro la persona in particolare, occorre assumere come elemento sintomatico della sua esistenza quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità semantica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente.
Tali dati possono emergere, nella fattispecie del delitto di tentato omicidio, dalla reiterazione dei colpi esplosi dall’agente, dalla zona corporale della parte offesa attinta dai proiettili, dalla distanza tra offensore ed offeso: elementi tut che, singolarmente e complessivamente presi in considerazione, sono sicuro indice delle finalità perseguite dall’agente (tra le altre, Sez. n. 35006 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257208 – 01; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014 – 01).
Del resto, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, per l’individuazione dell’animus sorreggente un comportamento all’apparenza indifferentemente volto alla lesione di più beni giuridici, ove non soccorra la confessione, è necessario far ricorso alla valutazione degli elementi obiettivi in cui si sia estrinsecata l’azione. Pertanto, la volontà omicida va desunta dalla micidialità del mezzo usato, dall’eventuale pluralità di colpi, dalla vitalità del zona (del corpo umano) colpita o avuta di mira e da ogni altro utile fattore obiettivo, ritualmente acquisito al processo, mediante indagine valutativa che, ove tradotta in una motivazione adeguata – come quella resa nella specie immune da omissioni o travisamento – è sottratta al sindacato di legittimità attenendo esclusivamente al merito. Infatti, in tema di omicidio tentato, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’animus necandi, è noto che assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post, ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni
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umanamente prevedibili del caso (tra le altre, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012-01; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339 – 01; Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, COGNOME, Rv. 215511 – 01; Sez. 1, n. 7906 del 24/03/1988, COGNOME, Rv. 178825 – 01).
Infine, è appena il caso di osservare che la ricostruzione difensiva che vuole non idonea la condotta e, comunque, non univoca, per essere stata usata un’arma scarica che, quindi, non aveva esploso i colpi non perché inceppata involontariamente, è prospettazione alternativa, rispetto a quella cui sono pervenute le convergenti sentenze di merito, fondate su ragionamento immune da illogicità manifesta, non attinto da valida denuncia di travisamento di prove, comunque non rivedibile nella presente sede di legittimità.
L’esito del giudizio di responsabilità fondato, come nel caso in esame, su motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria del giudice di appello, non può essere invalidato da prospettazioni alternative, che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto, ovvero nell’autonoma assunzione di diversi parametri di ricostruzione e di valutazione dei fatti, da preferirsi a quel adottati dai giudici di merito, perché indicati come più plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità probatoria (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226).
Del tutto ipotetiche, infine, appaiono le considerazioni circa la mancata testimonianza relativa ad azioni di recupero di bossoli inesplosi e quanto al numero di quelli reperiti, nonché in merito alla condotta che avrebbe dovuto tenere COGNOME, ove l’arma si fosse soltanto inceppata.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Va premesso che è pacifico lo strumentale rapporto esistente tra i procedimenti di cognizione e quello cautelare, nonché l’autonomia della decisione cautelare, rispetto a quella resa, dal giudice di merito, all’esito del giudizio cognizione, con sentenza anche non irrevocabile (in conformità anche con quanto enunciato dalla Corte costituzionale: sent. n. 71 del 1996; cfr. anche l’argomento espresso da Sez. 5, n. 22235 del 07/05/2008, COGNOME, Rv. 240425; Sez. 1, n. 13040 del 23/01/2001, Avignone, Rv. 218582).
Non rappresenta ostacolo alla conferma della pronunciata condanna, all’esito di rito abbreviato, da parte della Corte territoriale in relazione al reato continuato contestato al capo A, l’intervenuto annullamento, peraltro con rinvio, da parte di questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 16665 – 15 del 8/04/2015) dell’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva confermato la misura cautelare personale a carico di COGNOME, in relazione al reato continuato di tentato omicidio contestato al capo A.
Si osserva, invero, che in quella sede, la sentenza rescindente aveva notato che il Tribunale aveva ritenuto, in relazione soltanto alle risultanze relative a questa seconda fase, il dolo di omicidio in capo a COGNOME, ai danni delle quattro persone che si trovavano dietro la porta di alluminio dell’abitazione, tenuto conto dell’avvertita presenza di queste dietro la porta, del fatto che la stessa era risultata facilmente perforabile, della reiterazione dei colpi, del ferimento della COGNOME.
Secondo la Corte di cassazione, tuttavia, in fase cautelare, non si era tenuto conto della direzione dei colpi, pacificamente reputata dalla giurisprudenza di legittimità un elemento essenziale al fine di ricostruire l’intenzione della persona che ha sparato, peraltro potendosi facilmente stabilire, dall’altezza del foro di entrata dei colpi e dal punto di impatto del proiettile, dopo aver perforato la porta, quale fosse la direzione di ciascun colpo, secondo i rilievi della polizia giudiziaria acquisiti.
La stessa sentenza rescindente aveva, però, indicato al giudice del rinvio, di individuare ulteriori elementi chiarificatori sull’elemento soggettivo del reato ascritto a COGNOME in via provvisoria, sulla base di una più accurata ricostruzione della prima fase della condotta, reputando non chiara nemmeno la contestazione cautelare e quale fosse l’ulteriore tentativo di omicidio che avrebbe commesso COGNOME nella prima fase, svoltasi nel cortile del condominio e se vi fossero elementi per poter ricavare la gravità indiziaria anche per i delitti di detenzione e porto abusivi della pistola.
Dunque, all’esito del giudizio di cognizione, definito con il rito abbreviato, i giudici di merito sono addivenuti alla ricostruzione definitiva della condotta unitaria, sottolineando la riscontrata strettissima connessione non solo temporale, tra le due fasi, pur se poste in essere ai danni di diverse persone fisiche, segnalando l’immediata progressione dell’azione, tenuto conto che le persone, appartenenti alla famiglia NOME, erano entrate in casa solo pochi secondi prima degli spari esplosi dall’imputato, proprio all’indirizzo della porta di ingresso, richiusa alle loro spalle e che una di queste, la COGNOME, era stata, comunque, colpita a una gamba. Questa, infatti, attinta due volte, riporterà ferite alla gamba destra all’altezza della coscia, nonché la frattura del perone, con prognosi di trenta giorni (come da verbale di ricovero al pronto soccorso: cfr. p. 13 della sentenza di primo grado).
Dunque, i giudici di merito segnalano, con ragionamento ineccepibile e immune da illogicità manifesta, che era senz’altro chiaro allo sparatore che queste persone, appena entrate, si trovavano in linea di tiro, schermate solo dalla porta in alluminio, ostacolo immediatamente percepito come flebile, proprio in considerazione del materiale da cui era fatto, con ragionamento fondato sull’id quod plerumque accidit. Tale conclusione (cfr. p. 13 e ss. della sentenza di primo
grado) non integra, dunque, in alcuna parte mera congettura o conclusione priva di plausibilità.
Del resto è noto, circa l’utilizzo da parte del giudice di nnerito,di massime di esperienza, che il controllo della Corte di legittimità sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, PG c. Romano, Rv. 281385 – 01).
Dunque, appare senz’altro immune da vizi di ogni tipo il ragionamento dei convergenti provvedimenti di merito, nella parte in cui hanno reputato assistito da dolo diretto il comportamento dell’imputato che, dopo aver immediatamente prima, manifestato apertamente il proprio intento omicida nei confronti di tutti i suoi contraddittori e aver premuto il grilletto due volte ad altezza d’uomo (anzi al petto) nei confronti di uno di questi, tentando di esplodere i colpi, si ponga immediatamente al seguito delle persone che avevano trovato riparo dietro la porta di ingresso dell’abitazione, in alluminio, dell’abitazione, ben consapevole della presenza di queste, sparando, questa volta, almeno due colpi ad un’altezza significativa (58 centimetri), in quanto diretti verso zone del corpo ove sono siti organi vitali (fasce muscolari, vasi sanguigni, come attestato dalla polizia scientifica che ha repertato abbondante fuoriuscita di sangue).
Tanto, aggiungendo all’esame specifico della direzione di almeno due colpi, il numero complessivo di questi, nonché quello di tutte le condotte precedenti e successive, ivi compresa l’aperta manifestazione di intento omicidiario che ha accompagNOME l’azione ai danni di NOME COGNOME. A ciò, il giudice di primo grado ha aggiunto l’esame della condotta successiva al ferimento di quest’ultima, essendo emerso, dalle dichiarazioni testimoniali di NOME COGNOME e dal reperimento di un’ogiva deformata in casa, che l’imputato aveva sparato un altro colpo, dopo aver ferito la donna e nonostante avesse udito le urla di questa.
Tanto, in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la valutazione dell’esistenza del dolo onnicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Rv. 275012; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 2009, Rv. 243370).
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Osserva il Collegio che la peculiare caratteristica del motivo futile è data proprio dall’enorme sproporzione, correttamente ravvisata nel caso di specie, tra il motivo e l’azione delittuosa, che suscita un senso di riprovazione da parte della
g eneralità delle persone in cui vive e a g isce il so gg etto attivo del reato (tra le altre, Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103).
La motivazione offerta sul punto (cfr. p. 15 della sentenza di appello) è immune da illo g icità manifesta e specifica che l’imputato era intervenuto non per difendere la madre la q uale, anzi, nell’ambito della lite aveva brandito un coltello, all’indirizzo della COGNOME (arma poi, successivamente, o gg etto di seq uestro).
Questi, invece, è intervenuto in un liti g io, acceso tra vicini per motivi banali, con estrema e sproporzionata violenza, per ra g ioni tali da apparire mero pretesto per sfo g are i propri cruenti impulsi violenti.
La prospettazione difensiva, peraltro, è reiterativa del g ravame con arg omenti cui la Corte territoriale ha risposto con ra g ionamento immune da illo g icità manifesta e ineccepibile in diritto. Peraltro, le censure formulate sono, in parte versate in fatto, concentrandosi sul momento preciso in cui è intervenuto COGNOME e sulla circostanza che la madre, al momento in cui la NOME era rientrata nell’abitazione, non brandiva alcun coltello. Tanto, senza però considerare la parte iniziale della condotta in esame, cioè q uella messa a se g no nei confronti della prima delle persone offese.
1.4.11 q uarto motivo è inammissibile.
Si tratta di motivo proposto subordinatannente alla richiesta di esclusione della circostanza a gg ravante dei futili motivi che, invece, risulta confermata nella presente sede.
2.Seg ue il ri g etto del ricorso e la condanna del ricorrente al pa g amento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., nonché la condanna al pa g amento delle spese del presente g iudizio sostenute dalle parti civili, come da dispositivo (essendo intervenuta revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, secondo q uanto dichiarato dal difensore).
P.Q.M.
Rig etta il ricorso e condanna il ricorrente al pa g amento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di COGNOME GLYPH rappresentanza e difesa sostenute nel presente g iudizio dalle parti civili COGNOME NOME NOME COGNOME NOMENOME NOME li q uida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di le gg e.
Così deciso, il 12 lu g lio 2024