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Tentato omicidio: la valutazione corretta è ex ante

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che derubricava un’aggressione da tentato omicidio a lesioni aggravate. La Corte ha stabilito che la valutazione dell’idoneità dell’azione a causare la morte deve essere condotta con un giudizio “ex ante”, cioè mettendosi nei panni dell’aggressore al momento del fatto, e non “ex post”, basandosi sulle conseguenze effettive. La natura dell’arma e la parte del corpo colpita sono elementi cruciali per determinare il dolo omicidiario, anche in forma alternativa.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio o Lesioni? La Cassazione Chiarisce i Criteri di Valutazione

Stabilire il confine tra lesioni aggravate e tentato omicidio è una delle sfide più complesse del diritto penale. La differenza non risiede solo nella gravità del danno fisico, ma nell’intenzione dell’aggressore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha annullato una decisione di un Tribunale del riesame, riaffermando i principi fondamentali per una corretta qualificazione del reato, in particolare l’importanza di una valutazione “ex ante” e non basata sul mero esito fortuito della condotta.

I Fatti: Un’Aggressione Brutale

Il caso riguarda un’aggressione perpetrata da tre individui ai danni di una persona. La vittima era stata colpita ripetutamente alla testa e al volto con un oggetto contundente, descritto variamente come una spranga, un tubo metallico o una chiave a “L” di grandi dimensioni. A seguito del pestaggio, la persona offesa aveva riportato fratture al naso, un trauma cranico e facciale e diverse policontusioni.

La Decisione del Tribunale del Riesame

Inizialmente, l’accusa era di tentato omicidio. Tuttavia, il Tribunale del riesame aveva riqualificato il fatto in lesioni personali aggravate. La motivazione si basava su diversi elementi: l’arma utilizzata (una chiave a “L”) era stata ritenuta meno lesiva di una spranga; le lesioni, sebbene serie, non avevano messo in pericolo di vita la vittima né richiesto interventi chirurgici; gli aggressori avevano smesso di colpire pur potendo continuare; le minacce proferite erano incompatibili con l’intento omicida; infine, uno degli aggressori aveva accompagnato la vittima in ospedale.

Il Ricorso della Procura e la Valutazione del Tentato Omicidio

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa decisione, sostenendo che il Tribunale avesse commesso diversi errori di valutazione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, smontando punto per punto le argomentazioni del giudice del riesame e ribadendo i cardini interpretativi in materia.

L’arma utilizzata e la sua idoneità

La Cassazione ha criticato la comparazione tra la chiave a “L” e una spranga. Il punto non è se esistano armi più letali, ma se lo strumento effettivamente utilizzato, per le sue caratteristiche e per come è stato impiegato (colpi ripetuti al capo), fosse oggettivamente idoneo a uccidere. Un tubo metallico di oltre 20 cm, piegato a un’estremità, è un’arma insidiosa e potenzialmente mortale se usata contro zone vitali.

Il Criterio della Prognosi Postuma nel Tentato Omicidio

L’errore centrale del Tribunale, secondo la Suprema Corte, è stato condurre un giudizio “ex post”, cioè basato sul risultato finale. Il fatto che la vittima sia sopravvissuta o non abbia avuto bisogno di un’operazione non esclude il tentato omicidio. Il criterio corretto è quello della “prognosi postuma”, che impone al giudice di tornare al momento dell’azione e valutare, con un giudizio “ex ante”, se gli atti fossero capaci di causare la morte. Se si guardasse solo all’esito, il concetto stesso di “tentativo” perderebbe di significato, poiché ogni tentativo, per definizione, non raggiunge l’evento sperato.

L’analisi del Dolo Omicidiario

Anche la valutazione dell’intenzione (dolo) è stata ritenuta carente. Comportamenti successivi all’aggressione, come le minacce o l’accompagnamento in ospedale, non possono cancellare la natura della condotta principale. L’intenzione omicidiaria, anche nella forma del dolo alternativo (accettare la possibilità di uccidere pur mirando magari solo a ferire), deve essere desunta primariamente da elementi oggettivi dell’azione: la micidialità dell’arma, la parte del corpo colpita (la testa è una zona vitale per eccellenza), la violenza e la reiterazione dei colpi.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha concluso che il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione carente e incongrua. Ha omesso di applicare il corretto parametro di accertamento dell’idoneità degli atti, quello della prognosi postuma, formulando un giudizio basato erroneamente sull’esito non letale dell’aggressione. Inoltre, non ha adeguatamente considerato il contesto e le circostanze concrete dell’azione (pluralità di colpi con uno strumento di ferro al capo e al volto) per inferire la direzione della volontà dell’agente. L’apparato argomentativo del provvedimento impugnato, secondo la Corte, non ha fatto buon governo dei canoni ermeneutici che regolano la materia del tentativo, trascurando di ricostruire la direzione teleologica della volontà dell’agente a partire dalle concrete modalità dell’azione.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante promemoria sui principi che governano il tentato omicidio. La valutazione non può essere condizionata dalla fortuna della vittima. Ciò che conta è la potenzialità omicida dell’azione al momento in cui viene commessa. La decisione è stata annullata con rinvio al Tribunale di Perugia, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione, ovvero effettuando una corretta valutazione “ex ante” sia dell’idoneità degli atti che del dolo degli indagati.

Come si valuta l’idoneità di un’azione a causare la morte nel tentato omicidio?
La valutazione deve avvenire tramite un giudizio “ex ante” con il criterio della “prognosi postuma”. Il giudice deve cioè porsi nella stessa situazione dell’agente al momento dell’azione e accertare se gli atti, considerate le circostanze concrete, erano suscettibili di provocare la morte, a prescindere dal fatto che questa si sia poi verificata o meno.

Il fatto che la vittima non sia morta o non abbia riportato lesioni gravissime esclude automaticamente il tentato omicidio?
No. Secondo la Corte, condizionare il giudizio sull’idoneità degli atti agli effetti realmente raggiunti è un errore. Un’azione che non ha conseguito l’evento letale sarebbe, per definizione, sempre inidonea, rendendo la figura del tentativo giuridicamente inconcepibile. L’assenza dell’evento morte è la caratteristica del delitto tentato, non la prova della sua inesistenza.

Come si accerta l’intenzione di uccidere (animus necandi)?
L’intenzione di uccidere, anche nella forma del dolo alternativo, si desume da una serie di elementi oggettivi e sintomatici, tra cui: le caratteristiche dell’arma utilizzata e la sua idoneità a uccidere, la parte del corpo attinta (in particolare se vitale, come il capo), la reiterazione e la violenza dei colpi, il movente e le circostanze di tempo e luogo. Le fasi successive all’aggressione possono essere indicative, ma l’analisi deve concentrarsi primariamente sulla condotta diretta ad offendere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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