Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10043 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1   Num. 10043  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AVV_NOTAIO della Repubblica presso il tribunale di Perugia
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Perugia del 20/8/2024
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la  requisitoria del  Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 20.8.2024, il Tribunale di Perugia, in funzione di giudice del riesame, ha provveduto su un appello di COGNOME NOME avverso l’ordinanza  del  giudice  per le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Spoleto  del
30.7.2024 con cui era stata rigettata una richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere, applicata per il reato di tentato omicidio.
Dopo aver disatteso un primo motivo di impugnazione, relativo alla preventiva notifica dell’istanza di revoca alla persona offesa, il Tribunale ha invece accolto le doglianze di merito relative alla diversa qualificazione del fatto contestato come integrante il reato di cui agli artt. 582-585, comma 2, n. 2), cod. pen., peraltro conformemente ad altra precedente decisione riguardante un coindagato, di cui sono state espressamente richiamate le motivazioni.
In primo luogo, il Tribunale ha osservato che la certificazione medica in atti attesta che la persona offesa abbia subito lesioni al naso fratturato e alla nuca, alla regione frontale e parietale, con diagnosi alle dimissioni di trauma cranico e facciale commotivo e policontusioni (torace, addome, rachide) e con prognosi di venti giorni.
In secondo luogo, i giudici del riesame, quanto al mezzo adoperato per procurare le lesioni, hanno richiamato le dichiarazioni del coindagato COGNOME, secondo cui si trattava di una chiave a ‘ L ‘ a maschio, componente di un kit di riparazione delle gomme in dotazione del veicolo del coindagato COGNOME, ove è stata effettivamente rinvenuta. Si tratta di un mezzo di offesa connotato da minore capacità lesiva, ove rapportato ad una ‘spranga’, ovvero l’oggetto indicato nel capo di imputazione. La persona offesa ha parlato di un tubo metallico con una piegatura all’estremità, ma si tratta di o ggetto insuscettibile di impiego con le modalità descritte dalla stessa parte lesa. Anche il riferimento che lo stesso indagato ha operato nel suo interrogatorio ad un ‘crick’ deve intendersi fatto in un’accezione a -tecnica (tanto è vero che l’ha chiamato indifferentemente anche ‘spranga’).
In terzo luogo, il Tribunale ha valorizzato il contenuto delle frasi minatorie pronunciate dagli aggressori, che alludevano a ritorsioni in caso di azioni delatorie dell’aggredito, evidentemente incompatibili con l’animu s necandi.
In quarto luogo, ha osservato che, tenuto conto delle lesioni lievi riportate infine dall’aggredito, è evidente che i tre aggressori, ove avessero voluto (anche solo come dolo alternativo) la morte della persona offesa, avrebbero continuato a colpirla con maggior veemenza e reiteramente, anche perché inerme e incapace di difendersi.
Ancora, il Tribunale ha messo in evidenza che l’azione etero -aggressiva si sia sviluppata  lungo  due  segmenti  temporali  distinti  (una  iniziale  aggressione,  a seguito della quale la persona offesa veniva caricata sull’auto e poi ulteriormente aggredita in una diversa località), con la conseguente possibilità per gli agenti di infierire ad libitum sulla vittima inerme: la circostanza che invece non si sia agito in questo modo è indicativa dell’assenza di dolo omicidiario.
Anche la circostanza che sia stato uno degli indagati a trasportare in ospedale la persona offesa mal si concilia -secondo i giudici del riesame -con la volontà di cagionarne  la  morte  ed  è  più  coerente,  piuttosto,  con  l’ipotesi  che  si  volesse infliggere solo una ‘punizione esemplare’.
Avverso  la  predetta  ordinanza,  ha  proposto  ricorso  il  AVV_NOTAIO  della Repubblica presso il Tribunale di Spoleto, articolandolo in cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce un vizio della motivazione sul tipo di arma utilizzata.
Nel capo di imputazione, l ‘arma è stata indicata come ‘spranga o tubo’ sulla base delle dichiarazioni della persona offesa; anche gli indagati COGNOME e COGNOME hanno parlato nel loro interrogatorio di un ‘crick’ della Fiat Panda di proprietà di COGNOME.  In  questa  auto,  sono  stati  sequestratati  sia  un  crick  che  una  chiava esagonale (tubo metallico piegato a ‘ L ‘ della lunghezza di oltre cm. 20).
Quindi, il tribunale ha tenuto conto delle sole dichiarazioni di COGNOME e non ha spiegato perché abbia ritenuto inattendibili gli altri due indagati, nè perché l’utilizzo del termine crick da parte di COGNOME fosse a -tecnico.
In  ogni  caso,  anche  a  ritenere  che  si  trattasse  di  una  chiave,  la  capacità offensiva dello strumento non sarebbe affatto minima, anche perché è regola di comune  esperien za  che  l’offensività  di  un’arma  dipende,  non  solo  dalle  sue caratteristiche intrinseche, ma anche dalla modalità di utilizzo e dalla zona del corpo colpita: nel caso di specie, i colpi sono stati plurimi, violenti e indirizzati verso il capo e il viso della vittima.
2.2 Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al criterio di accertamento della c.d. prognosi postuma.
Il Tribunale ha escluso il tentato omicidio anche sulla base del fatto che non fosse  insorto  pericolo  di  vita  per  la  vittima  e  che  non  fosse  stato  necessario sottoporla ad intervento chirurgico, così dando ingresso ad un accertamento della idoneità degli atti condotto ex post e non con riferimento alla situazione che si presentava al momento del compimento degli atti.
I  giudici  del  riesame  hanno  omesso  ogni  motivazione  sulla  tipologia  delle lesioni riportate (in sede parietale e occipitale) e si sono limitati alla descrizione dei certificati. Si trattava, però, di profonde ferite lacere, significative di colpi inferti in rapida sequenza e tali da produrre una commozione cerebrale.
Il  tribunale, inoltre, ha omesso anche di valutare che le conseguenze sono state  meno  gravi  in  ragione  della  difesa  opposta  dalla  vittima,  che  infatti  ha riportato lesioni anche al braccio con cui tentava di ripararsi.
2.3  Con  il  terzo  motivo,  deduce  un  vizio  di  motivazione  sulla  natura  delle lesioni e sull’assenza di lesioni da difesa agli arti superiori.
L’affermazione  secondo  cui  gli  aggressori  avrebbero  potuto  infierire  s ulla vittima inerme non tiene conto che invece la vittima ha detto di essersi difesa in ogni modo parando i colpi con gli arti superiori: il tribunale, sotto questo profilo, non ha dato conto per nulla delle dichiarazioni della persona offesa.
Inoltre, il collegio ha ritenuto non significative le lesioni agli arti superiori con una motivazione contraddittoria, che non ha tenuto conto che esse sono state proprio la conseguenza del tentativo della vittima di proteggersi dai numerosi colpi sferrati al suo indirizzo.
2.4 Con il quarto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla disponibilità di una pistola scacciacani da parte degli indagati.
I giudici del riesame hanno affermato che l’ordinanza applicativa della misura cautelare era fondata anche sul fatto che gli indagati avevano a disposizione una pistola e che, se avessero davvero voluto uccidere la vittima, l’avrebbero utilizzata.
In realtà, però, nemmeno nel capo di imputazione si fa riferimento alla pistola, perché nessun o aveva riferito che si trattasse effettivamente di un’arma comune da sparo anziché di una scacciacani.
Dunque, il Tribunale ha valorizzato immotivatamente la disponibilità di una scacciacani  come  dimostrativa  della  inidoneità  dell’azione,  che  invece  è  sta ta commessa utilizzand o tutt’altro mezzo.
2.5 Con il quinto motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza del dolo e alle dichiarazioni del coindagato COGNOME.
Il  tribunale  ha  omesso  di  confrontarsi  con  l’ipotesi del  dolo  alternativo sostenuta dal g.i.p. nell’ordinanza genetica.
Le circostanze dell’aggressione, la natura dell’arma, la pluralità dei colpi, la sede  corporea  attinta,  il  movente,  l’aggressività,  sono  tutti  elementi  idonei  a configurare sia l’elemento m ateriale che quello psicologico del tentato omicidio.
Anche la circostanza valorizzata dal tribunale per escludere il dolo omicidiario, e cioè che la vittima fosse stata accompagnata in ospedale da NOME, dipende dalla mancata considerazione del fatto che quest’ultimo ha dichiarato che gli altri indagati avrebbero voluto abbandonare la vittima nel luogo isolato in cui era stata portata e che fu una sua iniziativa quella del trasporto in ospedale.
Con requisitoria scritta trasmessa il 31.10.2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, evidenziando  che  in  data  16.10.2024  fosse  stata  già  annullata  dalla  Corte  di Cassazione  l’ordinanza  del Tribunale  del  riesame  relativa  al  coindagato  COGNOME e riportandosi alla requisitoria scritta già depositata in quel procedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che saranno di seguito esposti, non prima di aver  precisato  che  la  trattazione  dei  motivi  avverrà  in  modo  collegato  e complessivo, in quanto tutti attinenti, in ultima analisi, alla qualificazione giuridica del fatto nelle sue componenti oggettiva e soggettiva.
Il  ricorso eccepisce, innanzitutto, il vizio della motivazione dell’ordinanza impugnata con riferi mento alla individuazione dell’arma utilizzata per l’aggressione, le cui caratteristiche il Tribunale di Perugia ha considerato come un elemento di rilievo nella valutazione dell’idoneità degli atti a cagionare la morte della vittima.
A tal proposito, deve rilevarsi, sotto un primo profilo, che la motivazione, pur dando  atto  che  vi  fosse  un  contrasto  tra  le  dichiarazioni  di  COGNOME  e  le dichiarazioni  di  COGNOME  sulla  precisa  indicazione  del  mezzo  utilizzato  per l’aggressione e che tanto il cric quanto la mazzetta di ferro (o chiave a ‘L’) fossero stati rinvenuti nell’auto d el terzo coindagato COGNOME, è carente nella indicazione delle ragioni per cui preferisce, infine, l’una piuttosto che l’altra versione.
Ma, soprattutto, l’ordinanza impugnata , sotto un secondo profilo, si attarda sulla comparazione delle differenti caratteristiche dei due strumenti in questione e fonda il suo giudizio di inidoneità essenzialmente sulla circostanza che il tubo o chiave a ‘L’ sia un ‘mezzo di offesa connotato da minore capacità lesiva’ rispetto ad una spranga o ad un cric.
In  questo  modo,  tuttavia,  il  Tribunale -anche  a  voler  accedere  alla  sua prospettazione della qualificazione nominativa del mezzo utilizzato -non si misura correttamente con i l requisito dell’idoneità de gli atti, perché la capacità del mezzo non va valutata in rapporto ad un altro mezzo che sia dotato di maggiore attitudine offensiva.
Il  requisito  dell’idoneità  ha  natura  oggettiva  e  rich iede,  nella  specifica prospettiva qui in esame, di valutare, tra l’a ltro, se il mezzo utilizzato, quand ‘anche meno funzionale allo scopo di un altro, sia adeguato rispetto alla realizzazione del delitto e sia potenzialmente capace di causarne la verificazione.
Da questo punto di vista, allora, l’ordinanza non spiega perché picchiare la vittima  con  una  mazzetta  di  ferro  o  una  chiave  di  almeno  venti  centimetri (piuttosto che con un cric), peraltro recante una piegatura all’estremità – ciò che oggettivamente rendeva l’attrezzo ancora più insidioso e pericoloso , non fosse atto  idoneo  a  cagionare  la  morte  della  vittima  stessa,  ove  in  tal  modo  colpita ripetutamente al capo e al viso.
Il parametro di accertamento dell’idoneità consiste in un giudizio ex ante e in concreto, secondo il criterio della c.d. prognosi postuma, in virtù del quale il giudice deve collocarsi nella medesima posizione dell’agente all’inizio dell’attività criminosa e accertare se gli atti, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, erano suscettibili di sfociare nella commissione del reato.
Il Tribunale non ha fatto buon governo di questo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 36311 del 12/7/2019, Rv. 277032 -02; Sez. 2, n. del 7/7/2014, Rv. 260855 -01) e ha formulato un giudizio carente e quantomeno incongruo, che non ha preso in considerazione tutte le circostanze, oggettive e soggettive, presenti al momento del compimento dell’azione criminosa, e non le ha valutate con un criterio prognostico necessariamente postumo rispetto all’attività svolta.
In secondo luogo, il ricorso lamenta, sempre nell’ottica della c.d. prognosi postuma, che il Tribunale abbia escluso il tentato omicidio anche sulla base della natura delle lesioni riportate dalla vittima, così dando ingresso ad un accertamento della idoneità degli atti condotto ex post e non con riferimento alla situazione che si presentava al momento del compimento degli atti.
Sotto  questo  profilo,  deve  osservarsi che  effettivamente  l’ordinanza si  è limitata a richiamare testualmente le lesioni refertate alla persona offesa e non ha poi fatto seguire una motivazione specifica sulla loro rilevanza ai fini della diversa qualificazione  della  condotta  in  termini  di  lesioni  personali  anziché  di  tentato omicidio.
In questo punto, la motivazione aggiunge soltanto la indicazione della durata della prognosi e la circostanza che al ricovero della vittima non abbia fatto seguito un  intervento  chirurgico,  quasi  che  si  tratti  di  elementi  ex  se  sufficienti  ad escludere la configurabilità del reato di tentato omicidio.
Ma, in questo modo, il Tribunale nuovamente omette di confrontarsi con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di delitto tentato, il giudizio di idoneità degli atti consiste in una prognosi compiuta “ex post” con riferimento alla situazione presentatasi all’imputato al momento dell’azione, che non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti (Sez. 1, n. 32851 del 10/6/2013, Rv. 256991 -01). Diversamente, l’azione che non abbia conseguito l’evento sarebbe sempre inidonea e, quindi, la stessa figura del tentativo non sarebbe giuridicamente concepibile (Sez. 1, n. 597 del 9/11/1984, dep. 1985, Rv. 167463 -01).
Di conseguenza, la motivazione è carente, soprattutto perché non considera adeguatamente i l contesto e le circostanze concrete dell’aggressione del soggetto passivo, fatto oggetto di più colpi con uno strumento di ferro al capo e al volto
(oltre che di calci e pestoni) che gli hanno causato traumi di vario genere in diverse parti del corpo.
Il  ricorso  censura,  ancora,  l’incongruità,  nel  discorso  motivazionale,  del riferimento che il Tribunale opera ad una pistola scacciacani, la cui disponibilità da parte  degli  indagati  è  stata  valorizzata  per  inferirne  la  oggettiva  inidoneità dell’azione.
In ordine a questo profilo, la motivazione dell’ordinanza impugnata è effettivamente inadeguata e contraddittoria, perché annette al fatto che la pistola non fosse una arma comune da sparo una valenza confermativa della inidoneità dell’azione, senza tenere conto che l’accusa non postula in alcun modo che nell’aggressione la pistola sia stat a utilizzata come se fosse destinata a sparare e trascurando di confrontarsi con la formulazione dell’imputazione, nella quale lo stesso pubblico ministero contesta che la pistola sia stata, più limitatamente, impiegata per minacciare la vittima e per colpirla con il calcio.
Il ricorso, infine, lamenta che il tribunale abbia immotivatamente escluso la sussistenza del dolo alternativo del tentato omicidio, che era stata affermata nell’ordinanza genetica.
Per vero, questo profilo è stato affrontato nella parte conclusiva dell’ordinanza,  e quindi  dopo  che  il  tribunale  aveva  sostenuto  prima  ancora  la inidoneità degli atti posti in essere dagli indagati, sicché la valutazione dei giudici del riesame in ordine alla univocità dei medesimi atti risente indubbiamente del precedente apprezzamento sull’elemento oggett ivo del reato contestato.
Non a caso, infatti, la motivazione, in questa seconda parte, trae conferma della  mancanza  dell’animus  necandi  da  due  comportamenti  successivi  degli indagati (o di alcuni di essi), quali le minacce volte a persuadere la vittima a non presentare denuncia e la circostanza che il coindagato COGNOME avesse infine lui stesso accompagnato la vittima in ospedale.
Tuttavia,  il  dolo  alternativo  del  tentato  omicidio  deve essere  valutato principalmente  con  riferimento al  momento  dell’azione aggressiva  e  alle  sue peculiarità estrinseche.
La prova del dolo del tentato omicidio può essere tratta da una serie di elementi sintomatici ritenuti utili, secondo le regole di esperienza e l'”id quod plerumque accidit”, per la individuazione della direzione teleologica della volontà dell’agente verso la morte della vittima, ma innanzitutto in relazione alle caratteristiche della azione, quali la idoneità del mezzo usato, la reiterazione delle lesività, la sede corporea attinta, il movente, le situazioni di tempo e di luogo che
favoriscano l’azione cruenta, la pluralità degli aggressori che agiscono simultaneamente contro l’unico aggredito .
Anche le fasi successive possono essere sintomatiche della sussistenza ovvero della mancanza del dolo omicidiario, ma è in primo luogo dalla condotta diretta ad offendere che devono essere tratti gli elementi di giudizio per stabilire se l’azione sia accompagnata dalla cosciente volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione (cfr. Sez. 5, n. 23618 del 11/4/2016, Rv. 266915 -01).
Invece, una  lettura del profilo psicologico della vicenda che attenga prevalentemente a momenti diversi e successivi rispetto a quello di attuazione del proposito  criminoso  rende  le  argomentazioni  del  Tribunale  criticabili,  perché omette di procedere dapprima ad accertare se, per le modalità operative concrete, l’azione fosse idonea a causare la morte della vittima.
Anche su questo punto, in definitiva, l’apparato argomentativo della ordinanza impugnata non fa buon governo dei canoni ermeneutici che regolano la materia, in base ai quali, in tema di tentativo, il requisito dell’univocità degli atti va accertato ricostruendo, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo (Sez. 1, n. 2910 del 18/6/2019, Rv. 276401 -01).
Alla luce di quanto fin qui considerato, dunque, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con il conseguente rinvio al Tribunale di Perugia per un nuovo giudizio, da eseguirsi nel rispetto dei principi che si sono sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Perugia competente ai sensi dell’art. 310 c.p.p.
Così deciso il 21.11.2024