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Tentato omicidio: la prova dell’intento di uccidere

Un uomo spara due colpi verso una porta a vetri dietro cui si era rifugiato il cognato. La Corte di Cassazione conferma la condanna per tentato omicidio, rigettando la tesi della difesa che mirava a derubricare il reato a lesioni. La sentenza si concentra sulla valutazione degli elementi oggettivi, come la posizione frontale dello sparatore e l’altezza dei colpi diretti a zone vitali, per dimostrare la sussistenza dell’intento di uccidere.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio: quando sparare contro una porta integra l’intento di uccidere

La distinzione tra tentato omicidio e tentate lesioni personali aggravate è una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto penale. La differenza non risiede tanto nell’azione materiale, quanto nell’elemento psicologico dell’aggressore: l’intenzione era quella di ferire o di uccidere? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7687/2024) offre chiarimenti cruciali su come i giudici debbano valutare gli indizi per accertare il cosiddetto animus necandi (l’intento di uccidere), anche quando la vittima si trova dietro un ostacolo, come una porta a vetri.

I fatti del processo

La vicenda ha origine in un cantiere edile. Un uomo si reca sul posto di lavoro del cognato e, dopo un breve alterco, estrae un’arma da fuoco. Il cognato, vedendo la pistola, si rifugia prontamente all’interno dello stabile, chiudendo una porta a vetri. L’aggressore esplode due colpi che mandano in frantumi il vetro della porta, senza però attingere la vittima.

L’iter giudiziario: dal primo grado alla Cassazione

Il percorso giudiziario di questo caso è emblematico delle difficoltà interpretative.

* In primo grado, il Tribunale aveva derubricato l’accusa da tentato omicidio a tentate lesioni gravi. La decisione si basava principalmente sulla consulenza tecnica della difesa, secondo cui i colpi erano stati sparati da una posizione molto laterale e angolata, non idonea a colpire mortalmente, e sulla testimonianza di una persona che aveva visto solo parzialmente l’arma.
* La Corte d’Appello, invece, ha ribaltato la sentenza. Dopo aver rinnovato l’istruttoria e risentito testimoni e consulenti balistici, ha ritenuto più attendibile la ricostruzione dell’accusa. Secondo i giudici di secondo grado, l’imputato si trovava in posizione frontale rispetto alla porta, la sagoma della vittima era visibile attraverso il vetro e i colpi erano stati sparati ad un’altezza compatibile con zone vitali del corpo (tronco e testa). Per questi motivi, ha ripristinato l’originaria accusa di tentato omicidio.

L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione delle prove e la qualificazione giuridica del fatto.

Le motivazioni della Cassazione sul tentato omicidio

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna per tentato omicidio. Le motivazioni della sentenza sono fondamentali per comprendere i criteri di valutazione dell’intento omicida.

L’intento di uccidere (animus necandi) si prova con gli indizi

La Corte ha ribadito che l’animus necandi deve essere accertato attraverso un’analisi logica di elementi oggettivi e sintomatici. Nel caso di specie, i giudici hanno considerato decisivi:
1. L’arma utilizzata: una pistola, strumento con un’elevata potenzialità lesiva e micidiale.
2. La dinamica dell’azione: l’imputato si è posizionato frontalmente rispetto alla vittima, a breve distanza.
3. La direzione dei colpi: gli spari erano diretti ad un’altezza compatibile con parti vitali del corpo della vittima, la cui sagoma era visibile attraverso la porta a vetri.

Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha correttamente concluso che l’insieme di questi elementi dimostrava in modo adeguato un’aggressione premeditata e organizzata, diretta contro una vittima vicina e visibile, con un’arma potenzialmente mortale. L’azione era quindi inequivocabilmente diretta a cagionare la morte.

I limiti del giudizio di Cassazione

Un altro punto chiave della sentenza riguarda i limiti del ricorso in Cassazione. La difesa ha contestato la scelta della Corte d’Appello di ritenere più attendibile la perizia dell’accusa rispetto a quella della difesa e ha lamentato la mancata disposizione di una nuova perizia.

La Suprema Corte ha respinto queste censure, chiarendo che:
* Il giudice di merito è libero di scegliere quale consulenza tecnica ritenere più convincente, purché motivi adeguatamente la sua decisione.
* Il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti. La Corte non può rivalutare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Il suo compito è solo verificare che la motivazione sia logica, coerente e non viziata da errori di diritto.
* La rinnovazione dell’istruttoria in appello (come una nuova perizia) è un evento eccezionale, rimesso alla discrezionalità del giudice quando lo ritenga assolutamente necessario per decidere.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio consolidato: per configurare il tentato omicidio, non è necessario che la vittima venga effettivamente colpita. È sufficiente che l’azione, valutata nel suo complesso, sia oggettivamente idonea a provocare la morte e soggettivamente diretta a tale scopo. La valutazione dell’intento omicida è un’indagine basata su indizi precisi e concordanti, come il tipo di arma, la distanza, la parte del corpo mirata e la dinamica complessiva dell’evento. Sparare verso la sagoma di una persona, anche se protetta da un fragile ostacolo come un vetro, integra pienamente gli estremi del delitto se le circostanze rivelano la volontà di uccidere.

Sparare contro una porta dietro cui si trova una persona è sempre tentato omicidio?
No, non sempre. La sentenza chiarisce che si configura il tentato omicidio quando le circostanze oggettive dimostrano l’intenzione di uccidere (animus necandi). In questo caso, sono stati determinanti la posizione frontale dell’aggressore, l’uso di un’arma letale, la visibilità della sagoma della vittima e l’altezza dei colpi, diretti verso parti vitali come il tronco e la testa.

Perché la Corte di Cassazione non ha ordinato una nuova perizia balistica come richiesto dalla difesa?
La Corte ha ritenuto la richiesta inammissibile perché la rinnovazione dell’istruttoria in appello è un istituto eccezionale. I giudici hanno considerato sufficienti gli elaborati tecnici già presenti agli atti e i chiarimenti forniti dai consulenti, ritenendo che una nuova perizia non avrebbe apportato elementi di conoscenza nuovi e decisivi, anche a causa del mutamento dello stato dei luoghi.

È possibile contestare l’attendibilità di un testimone nel ricorso in Cassazione?
No. Il giudizio della Corte di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare le prove o rivalutare l’attendibilità di un testimone. Può solo verificare se la motivazione della sentenza impugnata è logica, coerente e priva di vizi giuridici. Proporre una diversa lettura delle prove, come fatto dalla difesa, è inammissibile in questa sede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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