Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7687 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2022 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
Procedimento a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con sentenza del 14/11/2022 la Corte di appello di Torino, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica e dalla parte civile, ha riformato la sentenza del Tribunale di Novara del 15 settembre 2020, dichiarando NOME COGNOME colpevole del delitto di tentato omicidio di NOME COGNOME e ritenendo il reato di detenzione d’arma da fuoco assorbito nella conCOGNOMEa di porto d’arma; ha quindi rideterminato la pena inflitta in anni cinque e mesi sei di reclusione; ha inoltre condannato l’imputato al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile di € 10.000, oltre spese.
1.1. Il 11/03/2019 l’imputato si recava presso il cantiere sito in Trecate INDIRIZZO, presso il quale lavorava il cognato NOME COGNOME, e, dopo essersi fermato ed essere sceso dalla macchina, raggiungeva il portone dello stabile ove si incontrava con la vittima; dopo un breve scambio di battute, l’imputato esplodeva due colpi d’arma da fuoco che infrangevano la porta vetrata prontamente chiusa dal COGNOME alla vista dell’arma; i due colpi non raggiungevano la persona offesa, e mandavano in frantumi i vetri del portone.
1.2. Il Tribunale di Novara, all’esito del giudizio ordinario, aveva riqualificato l’originaria imputazione di tentato omicidio in tentate lesioni gravi, valorizzando in tal senso:
-le dichiarazioni rese dalla teste NOME COGNOME, la quale, seduta a bordo della propria auto alla sinistra del portone, dichiarava di aver visto soltanto la parte posteriore della pistola impugnata dal COGNOME;
-la ricostruzione effettuata dal consulente tecnico della difesa, dr. COGNOME, il quale aveva concluso, sulla base degli accertamenti effettuati, che l’imputato non potesse aver esploso i colpi d’arma da fuoco in posizione frontale rispetto alla porta vetrata, bensì in posizione laterale; l’angolazione degli spari doveva quindi essere stata per entrambi i colpi inferiore a 45°, con una traiettoria molto laterale e angolata.
1.3. Investita dei gravami proposti dal Procuratore Generale presso la Corte territoriale, dalla parte civile e dall’imputato, la Corte d’appello di Torino, previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con audizione della teste NOME COGNOME e dei consulenti balistici del PM, dr. COGNOME, e della difesa, dr. COGNOME, hal” ritenuto corretta l’originaria qualificazione giuridica dei fatti ai sensi degli artt. 56, 575 cod. pen., condannando l’imputato alla pena dianzi indicata.
La Corte torinese ha 1` in particolare, ritenuto provata la posizione del COGNOME frontale rispetto alla porta vetrata (che pacificamente consentiva di vedere la sagoma di chi si trovava all’interno dell’edificio), sulla base sia delle dichiarazioni rese dalla COGNOME COGNOMEche vide l’imputato «in posizione frontale rispetto al portone»), sia degli accertamenti effettuati dal dr. COGNOME, ritenuti maggiormente attendibili rispetto a
quelli conCOGNOMEi dal dr. COGNOME: il CT del PM aveva infatti calcolato l’angolazione degli spari dopo aver conCOGNOMEo prove sperimentali su vetri analoghi, ed aveva stimato per il foro n. 1 (posto all’altezza di m 1,67 rispetto alla sede stradale, compatibile con la zona della testa del soggetto al di là del vetro) un’angolazione tra i 20 0 e i 30°, e per il foro n. 2 (posto all’altezza di m 1,24 rispetto alla sede stradale, compatibile con la zona del tronco del soggetto al di là del vetro) tra i 50° e 70°.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto provato l’animus necandi in capo all’imputato, avendo questi effettuato «un’aggressione premeditata e organizzata, (portò con sé l’arma), compiuta con l’ausilio di un’arma potenzialmente micidiale, diretta contro una vittima vicina e visibile che si trovava, quantomeno inizialmente / wilegerkPin posizione frontale rispetto all’aggressore».
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, articolando cinque motivi di impugnazione, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen., in relazione al rigetto della declaratoria di inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero. L’appello del requirente, oltre a recare alcuni errori tali da rendere mancanti i requisiti minimi dell’impugnazione, difetttd – i specificità dei motivi, mancando di operare una critica alla tenuta argomentativa della sentenza, e riproponendo, in modo frammentario, generico e perplesso, la propria versione dei fatti.
2.2. Con un secondo motivo il ricorrente denuncia vizi ex artt. 218, 220 e 606 lett. c) cod. proc. pen. per il mancato espletamento di una perizia sulla traiettoria dei colpi. La Corte territoriale ha omesso di motivare sul diniego di un accertamento peritale, richiesto sia dal Procuratore Generale sia dallo stesso imputato, limitandosi a, genericamente, riferirsi ad un “intervenuto mutamento dello stato dei luoghi”.
2.3. Con un terzo motivo il ricorrente denuncia vizi ex artt. 125 c. 3, 533 c.1, 605, 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. per avere ritenuto l’imputato colpevole del delitto di tentato omicidio; la Corte è incorsa in vizio di travisamento della prova con riferimento alla testimonianza della COGNOME.
2.4. Con un quarto motivo il ricorrente denuncia vizi ex artt. 43, 56 c. 1 e 3 cod. pen., 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di cui al capo a) nella fattispecie di cui agli artt. 56, 582, 585 cod pen., ritenuta nella sentenza di primo grado, o quella di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen., come richiesto dalla difesa in sede di gravame. Si duole il ricorrente che la Corte territoriale abbia “acriticamente” aderito alla tesi del dr.
COGNOME, consulente dell’accusa, escludendo l’attendibilità della consulenza del difesa.
2.5 Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, la difesa si duole della liquidazio della provvisionale riconosciuta in sentenza.
Il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, con requisitoria scritta, concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato.
L’art. 581 cod. proc. pen., nella formulazione determinata dall’art. 1, comma 55, della legge 23 giugno 2017 n. 103 prevede, a pena di inammissibilità, che, nell’atto di impugnazione, l’appellante indichi, con enunciazione specifica, í capi e punti della decisione che intende contestare, le richieste avanzate al giud dell’appello e i motivi in fatto e diritto che sostengono tali richieste.
Nel caso di specie, il PM appellante ha individuato con esattezza l’atto impugnato (con specifica indicazione del R.G. N.R., del nome dell’imputato, dei difensori che lo assistevano, dell’autorità emittente la sentenza, della data di depo della pronuncia); ha con precisione individuato il capo della sentenza oggetto censura (l’avvenuta riqualificazione del contestato reato di tentato omicidio in quel di tentate lesioni); ha quindi indicato diffusamente le ragioni, ancorandole a elementi probatori, poste a fondamento della richiesta di riforma dell’impugnata sentenza. Ne consegue l’infondatezza della doglianza difensiva.
Il secondo motivo, volto a censurare il mancato espletamento di una perizia balistica da parte della Corte territoriale, è inammissibile in quanto reiterati analoga istanza rigettata dai Giudici di appello con motivazione incensurabile sotto profilo della correttezza giuridica e della esaustività delle ragioni illustrate.
Correttamente, infatti, è stato richiamato il criterio della indispensabilità d rinnovazione istruttoria, nel cui ambito si inquadra anche l’espletamento di un perizia, sancito normativamente dall’art. 603, comma 3, cod. proc. pen.
La Corte torinese ha in particolare ritenuto l’invocata attività istruttoria necessaria, «a fronte degli elaborati tecnici in atti e dei chiarimenti forniti sia da COGNOME COGNOME dal COGNOME. COGNOME anche in sede di rinnovazione dell’attività istruttor grado di appello», ritenendo in conclusione da un lato sufficiente la piattaform probatoria acquisita, dall’altro che la «mutazione dello stato dei luogh
pacificamente intervenuta, fosse tale da escludere l’apporto di nuovo elementi di conoscenza da parte di una nuova perizia.
Tale motivazione appare del tutto adeguata, alla luce della giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione (Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 Ud., dep. 25/03/2016, rv. 266820) secondo la quale «la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti».
Va anche osservato come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano affermato il principio per cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività – Sez. U, Sentenza n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 – 01.
Il terzo motivo, con il quale la difesa denuncia il travisamento della prova testimoniale resa dalla teste NOME COGNOME, risulta0S’ del tutto aspecifict2 e genericaè, oltre che non autosufficiente perciò inammissibile il ricorrente non ha allegato le trascrizioni dibattimentali (di primo e di secondo grado), né ha riportato integralmente in ricorso le medesime, con la conseguenza che il Collegio non è messo in grado di esaminare nel complesso il compendio probatorio di riferimento.
Ciò premesso, la Corte territoriale (pag. 11) ha evidenziato come la teste COGNOME, risentita in sede di rinnovazione istruttoria in grado di appello, ebbe a dichiarare che «una volta sceso dall’auto il COGNOME si mise in posizione frontale rispetto al portone, rimanendo proprio sulla porta. (…) Le dichiarazioni della teste, conformi a quanto dichiarato in primo grado, ma ribadite con assoluta chiarezza in sede di rinnovazione, dimostrano che quando fece fuoco, il COGNOME non si trovava in posizione estremamente angolata rispetto al portone come ipotizzato dal Dott. COGNOME e dalla difesa dell’imputato … bensì sostanzialmente frontale».
Ebbene, osserva la Corte come la difesa, in ricorso, non deduca in realtà un effettivo travisamento della prova, ma ne proponrma riconsiderazione ed una rivalutazione, introducendo dubbi sull’attendibilità della teste, finendo per virare verso la proposta di un’alternativa lettura del quadro probatorio, inammissibile in sede di legittimità.
Va ribadito, sul punto, che la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per
travisamento della prova con il ricorso per cassazione è limitata all’ipotesi in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente, ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, con la conseguenza che – qualora la prova che si assume travisata provenga dall’escussione di una fonte dichiarativa – l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice. Al di fuori dell’indicato perimetro, si deve considerare la deposizione come il frutto della percezione soggettiva del testimone, rispetto alla cui valutazione il giudice di merito è inevitabilmente chiamato a selezionare il contenuto del narrato anche depurandolo dalle cause di interferenza che siano in concreto individuate, operazione che, per essere apprezzata, sottende la conoscenza dell’intero compendio probatorio e un’analisi comparativa che rimane preclusa al giudice di legittimità, il quale deve, invece, verificarne le modalità e gli esiti sotto i profili della congruità e della tenuta logica del corrispondente discorso giustificativo (Sez. 5, Sentenza n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 4, n. 15556 del 12/02/2008, Trivisonno, Rv. 239533).
4. Il quarto motivo è infondato.
Occorre, preliminarmente, ricordare che, sui limiti del giudizio di legittimità, la giurisprudenza di questa Corte è univoca, avendo ripetutamente affermato che: «Il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione aCOGNOMEata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione» (così Sez. 6, n. 10951 del 15/3/2006, COGNOME, Rv. 233708 – 01). È stato, più volte, ribadito, che non può integrare il vizio di legittimità soltanto una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, semmai prospettata in maniera più utile per il ricorrente (Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01; Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, dep. 6/2/2004, COGNOME ed altri, Rv. 229369 01; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 – 01), dal momento che, come noto, è preclusa a questa Corte la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione impugnata o l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione, preferiti a quelli aCOGNOMEati dal giudice del merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, invero, la Cassazione nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti aCOGNOMEati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
Esaminata in quest’ottica, la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, in quanto, scevra da evidenti incongruenze o interne contraddizioni, ha illustrato in modo adeguato le ragioni per le quali ha ritenuto di valorizzare gli elementi probatori atti a suffragare, al di là di ogn ragionevole dubbio, la sussistenza del reato di tentato omicidio ascritto al COGNOME nelle sue componenti oggettiva e soggettiva, e ad escludere la derubricazione dell’accusa originaria nella meno grave fattispecie di tentate lesioni personali.
La Corte di appello (pag. 10) ha spiegato come le ricostruzioni dei consulenti rispettivamente dell’accusa e della difesa divergessero fondamentalmente su un singolo aspetto di rilievo: secondo il Dott. COGNOME, consulente del PM, l’imputato esplose il primo sparo mentre si trovava di fronte al portone ed il secondo sparo da un’angolazione maggiore. Di contro il consulente della difesa, Dott. COGNOME, ha ritenuto che entrambi i proiettili fossero stati sparati da traiettorie molto angolate, come desumibile dal luogo di rinvenimento delle ogive; secondo quest’ultirno consulente i segni di impatto dei proiettili sul muro non furono trovati perché non furono cercati avendo fin da subito gli inquirenti ipotizzato una traiettoria dei proiettil sostanzialmente perpendicolare.
La Corte ha quindi ritenuto maggiormente attendibili le conclusioni del consulente del PM rispetto a quelle del consulente della difesa, avendo il Dott. COGNOME calcolato l’angolazione degli spari dopo aver conCOGNOMEo prove sperimentali su vetri analoghi a quello attinto dai colpi esplosi dall’imputato. Ha inoltre argomentato come le considerazioni del Dott. COGNOME implicavano necessariamente che i due proiettili fossero rimbalzati sulla parete destra dell’androne mentre di tale rimbalzo non è stata rinvenuta alcuna traccia in sede di rilievi tecnici. E’ appena il caso di osservare, sul punto, che se tali tracce vi fossero state, sarebbero state rilevate dagli inquirenti e se ne sarebbe trovato riscontro in atti, dovendosi ritenere che la mancanza di fotografie relative alle pareti dell’androne sia esclusivamente da ascrivere al mancato reperimento di tracce utili alla ricostruzione del fatto. Ogni
considerazione ulteriore sul punto da parte della difesa ricorrente appare del tutto congetturale.
Peraltro, osservavano i Giudici d’appello, la ricostruzione del consulente del Pubblico Ministero ha trovato conferma nelle già esaminate dichiarazioni rese dalla COGNOME che ha collocato l’imputato in posizione sostanzialmente frontale rispetto al portone e in prossimità del medesimo al momento dell’esplosione degli spari.
La Corte ha quindi tratto dalla citata ricostruzione dei fatti, la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di tentato omicidio, osservando come COGNOME, recatosi presso il cantiere ove la p.o. lavorava recando con sé un’arma da sparo, esplose ben due colpi mentre si trova a poca distanza dalla vittima, in posizione almeno inizialmente frontale; tale posizione gli permetteva di vedere la sagoma del COGNOME, ed egli sparò ad un’altezza idonea ad attingere la vittima in parti vitali del corpo, quali il tronco e la testa.
A fronte di un costrutto argomentativo ancorato ai dati processuali e ordinato in una sequenza esplicativa coerente, il ricorso si limita a sviluppare rilievi di mero fatto sulla ricostruzione e valutazione dei dati suddetti, rilievi che, all’evidenza, non sono proponibili in questa sede, atteso che il logico percorso valutativo seguito dal Giudice del merito non può essere alterato da una integrale “rilettura” delle emergenze probatorie, magari di equivalente logicità, ma che non vale, tuttavia, a dimostrare la manifesta illogicità della motivazione richiesta, per l’annullamento del provvedimento impugnato su tale punto, dall’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., e ciò anche dopo la riforma introCOGNOMEa con la legge 20.2.2006 n. 46 (Sez. 2, n. 19584 del 5.6.2006, COGNOME ed altri, Rv. 233774).
E’ infine inammissibile il quinto motivo inerente la concessione della provvisionale, in quanto la determinazione della provvisionale non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773 – 02).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Callf GLYPH Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
m GLYPH Così deciso, il 3 novembre 2023