LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tentato omicidio: la motivazione della pena è d’obbligo

Un uomo, condannato per tentato omicidio dopo aver accoltellato tre volte un’altra persona, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo la derubricazione a lesioni e una pena minore. La Suprema Corte ha confermato la qualificazione di tentato omicidio, sottolineando l’idoneità dell’azione a uccidere, ma ha annullato la sentenza riguardo alla pena. I giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente motivato una sanzione così elevata, specialmente dopo aver concesso le attenuanti generiche. Il caso è stato rinviato per una nuova determinazione della pena.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio: quando la pena richiede una motivazione rafforzata

Il confine tra lesioni personali aggravate e tentato omicidio è spesso al centro di complesse valutazioni giudiziarie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4849/2024) offre spunti cruciali su due aspetti fondamentali: gli elementi che configurano l’intenzione di uccidere e l’obbligo del giudice di motivare adeguatamente la quantificazione della pena, specialmente quando si discosta significativamente dal minimo previsto dalla legge. Il caso analizzato riguarda un’aggressione con un coltello, in cui la Suprema Corte ha confermato la natura omicidiaria del gesto ma ha annullato la pena per difetto di motivazione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da una lite avvenuta il 27 agosto 2020 presso il mercato ittico di una grande città del sud Italia. Al culmine del litigio, un uomo colpiva un’altra persona con tre coltellate: una alla schiena e due al basso ventre. In primo grado, l’aggressore veniva condannato a nove anni e un mese di reclusione per tentato omicidio e porto d’arma. La Corte d’Appello, pur riformando parzialmente la sentenza (assolvendo per il porto d’arma e concedendo le attenuanti generiche), confermava la qualificazione del fatto come tentato omicidio, rideterminando la pena in sei anni di reclusione. L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il fatto dovesse essere riqualificato come lesioni personali e lamentando l’eccessività della pena base stabilita dai giudici di secondo grado.

La Decisione della Cassazione sul tentato omicidio

La Corte di Cassazione ha emesso una decisione che distingue nettamente tra la qualificazione giuridica del fatto e la commisurazione della pena. Da un lato, ha rigettato il motivo di ricorso volto a derubricare il reato a lesioni, confermando in pieno la valutazione dei giudici di merito. Dall’altro, ha accolto il motivo relativo alla pena, annullando la sentenza su questo punto con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha articolato il suo ragionamento su due binari paralleli.

La Conferma del Tentato Omicidio

Per i giudici, la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello era logica e coerente. Gli elementi che provavano l’intenzione di uccidere (il cosiddetto dolo diretto) erano inequivocabili:

* L’arma utilizzata: Un coltello con una lama di 8-10 cm, strumento assolutamente idoneo a provocare la morte.
* La reiterazione dei colpi: L’aggressore ha inferto ben tre fendenti, dimostrando una persistenza nell’azione aggressiva.
* Le zone corporee attinte: I colpi erano diretti verso distretti corporei (ipocondrio sinistro, fianco sinistro e regione dorso-lombare) dove si trovano organi vitali. La Corte ha sottolineato che solo “per puro caso” la lama non ha raggiunto un polmone, fermandosi a soli 2 cm di distanza. Inoltre, la robusta costituzione fisica della vittima ha impedito che altri colpi raggiungessero organi interni.

Secondo la Cassazione, questi elementi, valutati nel loro complesso e secondo una prospettiva ex ante (cioè al momento dell’azione), dimostravano che la condotta era “idonea e diretta in modo non equivoco a cagionare la morte”, integrando pienamente la fattispecie di tentato omicidio prevista dall’art. 56 del codice penale.

L’Annullamento della Pena per Difetto di Motivazione

Il punto di svolta della sentenza risiede nella critica mossa alla Corte d’Appello per come ha determinato la pena. I giudici di secondo grado avevano fissato una pena base di 13 anni di reclusione, un valore molto vicino al massimo della “forbice edittale” per il tentato omicidio (che va da 7 a 14 anni). Tuttavia, non avevano fornito alcuna spiegazione per giustificare una scelta così severa.

La Cassazione ha ricordato un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’irrogazione di una pena superiore al medio edittale richiede una “specifica motivazione” basata sui criteri dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere, etc.). Questa necessità diventa ancora più stringente quando, come in questo caso, la stessa corte aveva riconosciuto circostanze favorevoli all’imputato, quali:

* La concessione delle attenuanti generiche.
* L’assenza di precedenti penali e di legami con ambienti criminali.
* Un comportamento processuale “veramente apprezzabile”, con rinuncia a un motivo di appello e un “sostanzioso risarcimento” offerto alla vittima.

In assenza di una motivazione che spiegasse perché, nonostante questi elementi positivi, si fosse scelta una pena base così alta, la decisione risultava arbitraria e quindi illegittima. Per questo motivo, la sentenza è stata annullata limitatamente a questo aspetto.

Le Conclusioni

Questa pronuncia della Suprema Corte ribadisce due principi cardine del diritto penale. In primo luogo, la distinzione tra tentato omicidio e lesioni si basa su una valutazione oggettiva della condotta (arma, numero di colpi, zone attinte) che permette di inferire l’intento soggettivo dell’agente. In secondo luogo, e con grande rilevanza pratica, sottolinea che il potere discrezionale del giudice nella determinazione della pena non è assoluto. Deve essere esercitato attraverso un percorso logico-giuridico trasparente, spiegando le ragioni delle proprie scelte, soprattutto quando queste si traducono in una sanzione severa. La motivazione della pena non è un mero formalismo, ma una garanzia fondamentale per l’imputato e un presidio di legalità e razionalità della giustizia.

Quali elementi distinguono il tentato omicidio dalle lesioni personali in questo caso?
La Corte di Cassazione ha confermato che il reato era tentato omicidio sulla base di una valutazione complessiva degli atti. Gli elementi decisivi sono stati: la natura dell’arma usata (un coltello da punta e taglio), la reiterazione dei colpi (tre coltellate), e le sedi corporee attinte (addome e schiena, zone con organi vitali), che dimostravano un’azione idonea e diretta a causare la morte.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza pur confermando il reato?
L’annullamento ha riguardato esclusivamente la determinazione della pena. La Corte d’Appello aveva fissato una pena base di 13 anni (vicina al massimo di 14 anni) senza fornire un’adeguata motivazione. Secondo la Cassazione, una pena così superiore al medio edittale richiede una spiegazione specifica basata sui criteri dell’art. 133 c.p., cosa che in questo caso mancava.

Il fatto che l’arma fosse un piccolo coltello ha influito sulla decisione?
No, l’argomento difensivo secondo cui un piccolo coltello (lama da 8-10 cm) non sarebbe idoneo a uccidere è stato respinto. I giudici hanno ritenuto che un’arma del genere fosse pienamente capace di raggiungere organi vitali. Infatti, la sentenza riporta che uno dei fendenti è arrivato a soli 2 cm da un polmone e solo la corporatura robusta della vittima ha impedito lesioni ancora più gravi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati