Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26577 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a CARIATI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG ASSUNTA COCOMELLO
ludito il difensore
Trattazione scritta.
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa NOME COGNOME, Sostituta procuratrice generale presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 luglio 2023, il Tribunale di Catanzaro, adito per il riesame, confermava il provvedimento del 7 luglio 2023 con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’applicazione, nei confronti di NOME COGNOME, della misura cautelare della custodia in carcere, avendo ritenuto a suo carico, in presenza di esigenze cautelari, gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentato omicidio in danno di NOME COGNOME.
In base alla ricostruzione fattuale recepita dal Tribunale, che confermava la qualificazione del fatto come tentato omicidio, NOME, avendo appreso tramite telefonata che NOME aveva rimproverato il figlio dello stesso NOME, aveva raggiunto NOME, lo aveva minacciato di morte e gli aveva sferrato alcuni fendenti al torace e alla schiena con un coltello dalla lama lunga circa cm 10, salvo poi allontanarsi a seguito delle urla della moglie di NOME e dei passanti. Secondo tale ricostruzione, NOME era stato ricoverato al RAGIONE_SOCIALE Soccorso, erano state accertate ferite da arma bianca nella regione sottoscapolare sinistra e nell’emicostato posteriore sinistro, nonché una profonda «a livello della parete toracico addominale», e una lesione del polo inferiore della milza.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale, della quale ha chiesto l’annullamento, deducendo violazioni di legge e vizi di motivazione in riferimento alle valutazioni circa sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari.
Il ricorrente afferma che il Tribunale avrebbe dovuto qualificare il fatto come lesione personale e non come tentativo di omicidio, avuto riguardo ad alcuni elementi oggettivi emersi dalle indagini, tra i quali: il numero dei colpi, che eran stati solo due e non «plurimi» come ritenuto erroneamente dal Tribunale; le parti del corpo di NOME attinte, che erano state il fianco sinistro e la regione scapolare sinistra nelle quali sono assenti organi vitali, non la parete toracico-addominale; il comportamento di NOME che, dopo l’accoltellamento, aveva desistito, non si era allontanato subito per le urla dei passanti, come ritenuto erroneamente dal Tribunale, ma era rimasto fermo per cinque minuti e, se avesse avuto davvero volontà di uccidere, avrebbe potuto colpire ancora NOME; l’atteggiamento pacato che, come riferito da persona informata, COGNOME aveva serbato quando, prima dell’accoltellamento, aveva saputo per telefono che NOME aveva dato uno
schiaffo al figlio dello stesso COGNOME. Il ricorrente afferma, inoltre, che no sussistono esigenze cautelari.
A seguito della presentazione delle conclusioni del Procuratore generale presso questa Corte, la difesa di NOME COGNOME ha depositato repliche con le quali insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, volto a criticare le valutazioni del Tribunale inerenti a sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, è manifestamente infondato, quindi inammissibile.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, in tema di misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti all’adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976 01).
È stato precisato che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 – 01).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di gravame e motivatamente respinti, laddove manchi un confronto critico con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, limitandosi il ricorrente, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816, del 22/03/2019, Rv. 276970 – 01).
È stato anche precisato che il controllo del giudice di legittimità si dispiega in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione e alla resistenza logica del ragionamento del giudice
di merito, mentre è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, nonché l’autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, rispetto a quelli adottati giudice del merito (ex multis: Sez. 6, n. 22256 dei 26.4.2006, Rv. 234148; Sez. 6, n. 47204 del 7.10.2015, Rv. 265482).
1.2. In tema di distinzione tra il reato di lesione personale e quello di tentato omicidio, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva, desumibili dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata nonché dalle modalità dell’atto lesivo (Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, Rv. 283390-01). Ha altresì stabilito che, in tema di delitto tentato, l’accertamento dell’idoneità degli atti deve essere compiuto dal giudice di merito secondo il criterio della prognosi postuma, con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni prevedibili del caso (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Rv. 277032-02).
È stato precisato, inoltre, che l’accertamento deve essere condotto desumendo il dolo da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente (Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, Rv. 257208-01).
Peraltro, è stato affermato che il dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, è compatibile con il tentativo (Sez. 1, n. 43250 del 13/04/2018, Rv. 274402-01; Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259465-01).
In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro è immune dai vizi lamentati e che le doglianze difensive non colgono nel segno ma sono inammissibili, come anticipato.
Nei limiti propri di un giudizio inerente alle questioni cautelari, le deduzion difensive sono inidonee a superare la coerente ricostruzione fornita dal giudice del riesame, che, sugli aspetti centrali del fatto, illustra numerosi elementi indiziari modo privo di errori logici ed espone con chiarezza le ragioni in base alle quali ha ritenuto gli elementi sintomatici dell’intento omicidiario.
Per contro, i vizi denunciati dal ricorrente riguardano elementi non decisivi. Il ricorrente, infatti, censura singoli segmenti dell’intero compendio motivazionale e propone una diversa ricostruzione dei fatti di causa, così avanzando una richiesta
di un rinnovamento – inammissibile in questa sede di legittimità – del giudizio già compiuto in sede di merito.
In particolare, la difesa svolge censure soprattutto avverso le valutazioni inerenti alla qualificazione del fatto in relazione al numero dei colpi, alle parti corpo attinte e all’atteggiamento dell’aggressore prima e dopo l’accoltellamento, ma in realtà l’ordinanza impugnata basa le proprie valutazioni inerenti alla qualificazione del fatto su numerosi elementi dai quali si trae complessivamente, pur nell’ipotesi in cui si sottraggano quelli posti in discussione dal ricorrente, quadro indiziario grave a carico dell’indagato in ordine al reato di tentato omicidio, almeno entro i limiti compatibili con la fase in corso.
Anche con riguardo alle esigenze cautelari e al giudizio sulla scelta della misura applicata, il Tribunale ha reso ampi e congrui ragionamenti per giustificare il rigetto delle tesi difensive in proposito e per sostenere le affermazioni in bas alle quali sussistono esigenze cautelari, avuto riguardo al concreto e attuale rischio di commissione di comportamenti simili da parte dell’indagato, e la custodia in carcere è l’unica misura che possa soddisfare dette esigenze.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e conseguentemente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore alla Cassa delle ammende.
La cancelleria curerà la trasmissione del presente provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato è ristretto, ai sensi dell’art. 94, co 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 9 gennaio 2024.