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Tentato omicidio: la distinzione con le lesioni

La Corte di Cassazione conferma la qualificazione di tentato omicidio per un uomo che ha accoltellato un conoscente dopo una lite. La sentenza chiarisce i criteri per distinguere questo reato dalle lesioni personali, focalizzandosi sull’idoneità dell’azione a causare la morte e sull’intento dell’aggressore, desunto da elementi oggettivi come l’arma usata e le parti del corpo colpite.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio o Lesioni? La Cassazione Traccia la Linea di Confine

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto penale: la distinzione tra il delitto di lesioni personali e il più grave reato di tentato omicidio. Attraverso l’analisi di un caso di accoltellamento, la Suprema Corte ribadisce i principi fondamentali per interpretare l’intenzione dell’aggressore e la natura dell’azione criminale. La decisione offre spunti essenziali per comprendere come la giustizia valuti gli elementi oggettivi di un’aggressione per qualificarla giuridicamente.

La Vicenda: Dalla Lite all’Accoltellamento

I fatti traggono origine da un alterco apparentemente banale. Un uomo, venuto a sapere telefonicamente che un conoscente aveva rimproverato suo figlio, decide di farsi giustizia da sé. Raggiunge la vittima, la minaccia di morte e le sferra alcuni fendenti con un coltello dalla lama di circa 10 centimetri. I colpi attingono la vittima al torace e alla schiena, causando ferite nella regione sottoscapolare, nell’emicostato posteriore e una lesione al polo inferiore della milza. L’aggressione si interrompe solo grazie alle urla della moglie della vittima e di alcuni passanti, che spingono l’aggressore ad allontanarsi. A seguito dei fatti, il Giudice per le Indagini Preliminari dispone la custodia in carcere per l’indagato, qualificando il gesto come tentato omicidio.

La Difesa dell’Indagato: Solo Lesioni, Non un Tentativo di Uccidere

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso, contestando la qualificazione del fatto. Secondo la tesi difensiva, non si sarebbe trattato di un tentato omicidio, ma di semplici lesioni. Gli argomenti a sostegno di questa tesi erano diversi:

* Numero dei colpi: Solo due, e non “plurimi” come erroneamente indicato dal Tribunale del Riesame.
* Parti del corpo colpite: Il fianco e la regione scapolare, zone ritenute non vitali dalla difesa.
* Comportamento post-delitto: L’aggressore non si sarebbe allontanato subito, ma sarebbe rimasto sul posto per alcuni minuti, desistendo dall’azione. Se avesse voluto uccidere, avrebbe potuto continuare a colpire.

In sostanza, la difesa mirava a dimostrare l’assenza di una reale volontà omicida (il cosiddetto animus necandi), tentando di ricondurre l’episodio nell’alveo delle lesioni personali.

La Decisione della Cassazione sul Tentato Omicidio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione del Tribunale del Riesame. La Suprema Corte ha innanzitutto ribadito i limiti del proprio giudizio: non può riesaminare i fatti come un terzo grado di merito, ma deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione del provvedimento impugnato.

Gli Indizi dell’Intento Omicidiario

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente identificato una serie di elementi oggettivi che, valutati nel loro insieme, costituivano gravi indizi di un tentato omicidio. Questi elementi includono:

1. L’arma utilizzata: Un coltello con una lama di 10 cm, strumento intrinsecamente idoneo a uccidere.
2. Le zone del corpo attinte: Il torace e la schiena, aree che ospitano organi vitali. La lesione alla milza è una prova concreta della potenzialità letale dei colpi.
3. La dinamica dell’azione: I fendenti sferrati contro parti vitali del corpo dimostrano un’azione non mirata a un semplice ferimento, ma compatibile con l’intenzione di causare la morte.

La Corte ha specificato che la distinzione tra i due reati si basa proprio sull’atteggiamento psicologico dell’agente e sulla differente potenzialità dell’azione lesiva, desumibili da questi indicatori oggettivi.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che, per configurare il tentato omicidio, l’accertamento sull’idoneità degli atti deve essere compiuto secondo il criterio della “prognosi postuma”. Il giudice deve cioè mettersi nei panni dell’imputato al momento dell’azione e valutare se, in base alle condizioni prevedibili, gli atti compiuti fossero idonei a cagionare la morte. Nel caso di specie, l’uso di un’arma letale contro il tronco della vittima rendeva l’azione intrinsecamente capace di uccidere, indipendentemente dal fatto che l’evento morte non si sia poi verificato. La Corte ha sottolineato come le argomentazioni della difesa, incentrate su singoli aspetti (il numero di colpi, la presunta desistenza), non fossero in grado di smontare il quadro indiziario complessivo, che appariva logico e coerente. Le tesi difensive, secondo i giudici, si risolvevano in una richiesta di rilettura dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: la qualificazione di un’aggressione come tentato omicidio non dipende esclusivamente dall’esito finale, ma da una valutazione complessiva degli elementi fattuali che rivelano l’intenzione dell’agente. La natura dell’arma, la direzione e la violenza dei colpi, e le parti del corpo colpite sono tutti elementi sintomatici che permettono al giudice di inferire la volontà omicida, anche in forma di dolo alternativo (l’agente prevede e accetta indifferentemente sia la morte che il semplice ferimento della vittima). Questa pronuncia riafferma il ruolo della Corte di Cassazione come giudice della legittimità e non del fatto, e offre un chiaro vademecum sui criteri oggettivi che orientano la difficile distinzione tra lesioni e tentato omicidio.

Come si distingue il tentato omicidio dalla lesione personale?
La distinzione si basa principalmente sull’atteggiamento psicologico dell’aggressore e sulla potenziale letalità della sua azione. Gli elementi chiave analizzati dai giudici sono il tipo di arma usata, le parti del corpo colpite (se vitali o meno) e le modalità concrete dell’aggressione.

Il fatto che l’aggressore si sia fermato dopo aver inferto i colpi esclude il tentato omicidio?
Non necessariamente. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che gli atti iniziali (accoltellamento in zone vitali con un’arma idonea a uccidere) fossero già sufficienti a configurare il tentativo. La successiva interruzione dell’azione, dovuta peraltro a fattori esterni come le urla dei presenti, non è stata considerata una desistenza volontaria in grado di escludere il reato.

Può la Corte di Cassazione riesaminare i fatti di un caso?
No, la Corte di Cassazione non è un giudice di merito e non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove. Il suo compito è verificare che la decisione del giudice precedente sia stata presa nel rispetto della legge e con una motivazione logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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