Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1829 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CROTONE il 02/09/1972
avverso la sentenza del 22/04/2024 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere B. COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale di questa Corte, P. COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha riformato la condanna resa, in data 15 novembre 2023, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Crotone nei confronti di NOME COGNOME riqualificando il reato di cui al capo A della rubrica nell’ipotesi di tentato omicidio aggravato, con rideterminazione della pena irrogata in anni sei, mesi otto e giorni venti di reclusione, nonché con rideterminazione delle pene accessorie e conferma nel resto del provvedimento impugnato.
Il primo giudice aveva condannato l’imputato in relazione ai reati ascrittigli (capo A: artt. 61 n.1 e 5, 56, 575 , 99 cod. pen.; capo B: art. 385 cod. pen.; C) art. 4 legge n. 110 del 1975) riqualificato il reato di cui al capo A in lesio aggravate ex artt. 582, 585 cod. pen., esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 e quella di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., riconosciuto il vincolo continuazione, alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, con la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Avverso la sentenza indicata l’imputato ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME denunciando, attraverso i motivi di seguito riassunti, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. p due vizi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia manifesta illogicità della motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A.
I fendenti che hanno causato la lesione alla persona offesa, NOME COGNOME sono stati inferti nel corso di una colluttazione.
La Corte di appello ha ritenuto l’idoneità della condotta e la destinazione univoca dell’azione rispetto all’evento morte, con ragionamento manifestamente illogico e, comunque, travisando le prove.
La Corte territoriale, secondo il ricorrente, ha valorizzato unicamente le dichiarazioni rilasciate dal testimone NOME COGNOME attraverso le quali ha ritenuto di considerare inattendibile la versione dell’imputato resa nel corso dell’udienza.
Tuttavia, a parere del ricorrente, la Corte di appello ha omesso di valutare che il Giudice di primo grado aveva ritenuto la riqualificazione del fatto in lesioni personali sulla scorta di un ragionamento più ampio, considerando il quadro complessivo in cui il reato era maturato.
Il primo giudice, infatti, aveva rilevato che non era stato possibile accertare i motivi della lite, dato che sul punto le versioni dei protagonisti della vicenda restavano divergenti.
Si fa riferimento alle sommarie informazioni resa da Sisca, in data 4 febbraio 2023 e quelle rese da Togo, la persona offesa, in pari data.
COGNOME ha descritto atteggiamenti molesti dell’imputato all’interno del bar, il rifiuto, da parte sua, di pagare il conto delle consumazioni, nonché le reiterate minacce da questi poste in essere.
Togo, invece, ha descritto un’aggressione improvvisa e imprevedibile e ha specificato che Proietto aveva pagato regolarmente il conto.
A fronte di tali dichiarazioni, la sentenza della Corte di appello sarebbe illogica nella parte in cui fonda il convincimento sulla scorta delle dichiarazioni del teste COGNOME omettendo di valutare le contraddizioni tra queste e quelle resa dalla persona offesa, ponendo in essere una valutazione probatoria monca e contraddittoria, nella parte in cui valorizza che la stessa persona offesa, quella sera, ignorava quale fosse la ragione dell’aggressione per non essere mai intercorsa alcuna discussione con l’imputato.
Invece, si osserva che il teste COGNOME ha parlato almeno di una discussione, precedente all’aggressione subita da Togo.
Di qui, la denunciata illogicità della sentenza perché il contesto, in cui viene collocata la condotta, è descritto dalla Corte di appello unicamente in base alle dichiarazioni di Sisca, valutate senza considerare le incongruenze già evidenziate dal primo giudice.
Il Giudice di primo grado, invece, aveva ritenuto la condotta non idonea a provocare l’evento morte non essendo stato accertato che tale evento non si sarebbe verificato comunque, per cause indipendenti dalla volontà dell’imputato e apparendo ragionevole che Proietto aveva agito non volendo cagionare la morte ma un evento meno grave, sicché era stata ritenuta non univoca la direzione degli atti a cagionare il decesso della persona offesa.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge in relazione al riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 61 n. 1 e 5 cod. pen., violazione degli artt. 581 e 597 cod. proc. pen.
La Corte di secondo grado ha ritenuto di riconoscere le circostanze aggravanti che erano state escluse dal primo giudice, dei futili motivi e della minorata difesa. Tuttavia, il Pubblico ministero si era limitato a impugnare la sentenza in relazione alla riqualificazione del fatto, senza nulla addurre circa l’esclusione delle circostanze aggravanti: sicché la Corte di appello opera il ribaltamento in violazione degli artt. 597 e 581 del codice di rito.
In questo caso si sarebbe violata la preclusione derivante dall’effetto devolutivo dell’appello che è limitato ai punti della decisione che sono stati oggetto di gravame.
Al Giudice di secondo grado non è impedito di esaminare anche i punti non espressamente indicati nei motivi, perché l’esame deve essere esteso a detti punti quando questi siano connessi con vincolo di carattere essenziale a quelli specificamente impugnati. Tuttavia, tale connessione non ricorre tra la determinazione della misura della pena e la decisione sull’esistenza di una qualsiasi circostanza aggravante o attenuante.
Inoltre, non vi sarebbe connessione tra la determinazione della misura della pena e la decisione in punto di responsabilità penale, in base al principio devolutivo che caratterizza il giudizio di appello. Per cui deve escludersi che l’impugnazione, in punto responsabilità, possa ritenersi comprensiva anche della doglianza che concerne il trattamento sanzionatorio.
L’Avvocato generale di questa Corte, P. Gaeta, ha concluso con requisitoria scritta, ai sensi degli artt. 614, 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, in assenza di richiesta di trattazione in pubblica udienza nel termine di legge, chiedendo il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Va premesso che l’imputato è stato chiamato a giudizio per rispondere del delitto di tentato omicidio aggravato dai futili motivi e dalla minoranza difesa commesso ai danni di NOME COGNOME con la recidiva reiterata, oltre che in relazione ai reati di evasione e di porto ingiustificato di un coltello.
Il primo giudice, all’esito di rito abbreviato, ha riqualificato il reato di cu capo A, in quello di lesioni personali aggravate, ai sensi degli artt. 81, 582, 585 cod. pen., escludendo le circostanze aggravanti di cui all’art. 61 n. 1 e 5 cod. pen., riconosciuto il vincolo della continuazione.
Il Giudice di secondo grado, invece, in accoglimento della impugnazione della parte pubblica, previa riqualificazione del reato di cui al capo A nell’ipotesi d tentato omicidio aggravato, ha riconosciuto anche le circostanze aggravanti di cui all’art. 61 n. 1 e 5 cod. pen. come originariamente contestato.
Va precisato, quindi, che la sentenza di secondo grado ha operato un ribaltamento della prima pronuncia che non è relativo ad un’assoluzione, ma si riferisce a una condanna già resa dal Giudice per le indagini preliminari, attribuendo al fatto una diversa, più grave, qualificazione giuridica, senza fondare detto ribaltamento, però, su una diversa valutazione dell’attendibilità dei
dichiaranti che hanno reso affermazioni nel corso delle indagini preliminari o nel celebrato rito abbreviato.
Infatti, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Pubblico ministero, il giudice di secondo grado ha validato l’originaria impostazione della pubblica accusa, recepita nel decreto di cui all’art. 429 del codice di rito, quanto all qualificazione giuridica del fatto; sicché l’imputato è stato condannato per il medesimo fatto storico-giuridico, per il quale è stato sottoposto a processo nel senso che il fatto, ritenuto nella sentenza di secondo grado, nella sua dimensione naturalistica, è identico a quello oggetto di contestazione con una qualificazione giuridica che è tornata alla fattispecie ipotizzata dal pubblico ministero, ponendosi in rapporto di maggiore gravità rispetto al reato ritenuto dal primo giudice.
Si tratta di operazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale è sempre consentito al giudice attribuire la corretta qualificazione del fatto descritto dell’imputazione, senza che ciò incida sull’autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero che rileva, esclusivamente, sotto il diverso profilo dell’immutabilità della formazione del fatto, inteso come accadimento materiale (Sez. U, n. 16 del 19 giugno 1996, COGNOME, Rv. 205617).
È noto, poi, che opera il divieto di reformatio in peius ex art. 597 del codice di rito nel senso che anche quando l’impugnante è solo l’imputato il giudice può dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non irroghi una pena più severa (Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, Rv. 284025 – 01; Sez. 3, n. 1275 del 09/10/2020, dep. 2021, Rv. 280578 – 01).
Nel caso di specie, il Pubblico ministero ha proposto impugnazione avverso la sentenza di condanna, in relazione alla qualificazione del fatto sub capo A operata dal primo Giudice; quindi, quello di secondo grado aveva il potere di dare al fatto una definizione giuridica più grave, entro la competenza del giudice di primo grado e, anche di aumentare l’entità della pena ex art. 597, comma 2, lett. a) cod. proc. pen.
Tale operazione non si pone in contrasto con gli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea, in quanto la nuova definizione del reato era nota e, comunque, prevedibile per l’imputato, né risulta che questa abbia determinato, in concreto, una lesione del diritto di difesa, derivante da profili d novità che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, ricorrente COGNOME, Rv. 264438).
Ove, poi, il ribaltamento non riguardi un’originaria sentenza di assoluzione ma la riqualificazione del fatto in un reato più grave, corrispondente a quello contestato, frutto di una diversa valutazione della medesima prova dichiarativa, il giudice è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, soltanto laddove
questa definizione giuridica del fatto scaturisca da una mutata valutazione delle prove (Sez. U, ricorrente COGNOME, Rv. 272430).
Orbene, si osserva che il difensore assume che da contraddizioni tra i dichiaranti, COGNOME (teste) e COGNOMEpersona offesa), inerenti alla fase precedente all’aggressione del Togo e, dunque, alle dichiarazioni da questi soggetti rese circa il momento immediatamente precedente all’azione delittuosa, asseritamente ignorate dal Giudice di secondo grado rispetto a quanto esposto nella prima pronuncia, deriverebbe un errore valutativo, da parte della Corte di appello, sulla qualificazione della condotta dell’imputato.
Si tratta, tuttavia, di considerazione che non può essere decisiva nel senso di elidere la piena convergenza di tutte le circostanze che la Corte di appello, con motivazione puntuale, adeguata e razionale, valorizza ai fini della qualificazione della condotta cui è pervenuta.
Invero, il Giudice di secondo grado segnala che l’imputato ha approfittato della caduta della vittima, gli ha inferto plurime coltellate e ha attinto zone del corpo attraversate da organi vitali, con arma giudicata come assolutamente idonea a provocare l’evento morte (trattandosi di coltello con lama di 23 cm.) e con colpi plurimi e intensi (cfr. p. 3 della sentenza di appello), tutti elementi ritenuti, c ragionamento non manifestamente illogico ed esauriente, espressione di dolo alternativo diretto a provocare l’evento morte della vittima.
Si tratta di motivazione che, peraltro, è ineccepibile perché si confronta anche con il contenuto della sentenza di primo grado, finendo per introdurre argomenti assolutamente decisivi e dirimenti rispetto alla diversa qualificazione cui era giunto il giudice di primo grado (cfr. p. 2 e 3).
Va, infatti, rilevato che, ai fini della qualificazione della condotta qual tentativo di omicidio invece che di lesioni personali, la giurisprudenza di legittimità afferma in modo costante che, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’animus necandi, è noto che assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post, ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili (tra le altre, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012-01; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339 – 01; Sez. 1, n. 3185 del 10/02/2000, COGNOME, Rv. 215511 – 01; Sez. 1, n. 7906 del 24/03/1988, COGNOME, Rv. 178825 – 01). La valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta, dunque, attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corp attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (ez. 1,
n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Rv. 275012; Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 2009, Rv. 243370).
1.2 Il secondo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Nell’atto di appello della parte pubblica viene segnalato che la richiesta dell’impugnante attiene alla riforma della sentenza di primo grado, con affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine al capo di imputazione di cui al capo A, come rubricato. Quindi, l’appello si riferiva al fatto, come contestato dal Pubblico ministero, secondo la contestazione originaria formulata ai sensi degli artt. 56, 575, 61 n. 1 e 5 cod. pen. sia pure riscontrandosi un evidente errore materiale nel petitum (ove si fa riferimento alle circostanze aggravanti di cui all’art. 61 n. 5 e n. 7 (in luogo di n. 1), con un richiamo al fatto come rubricato che appare del tutto univoco.
Alcuna deduzione, quanto al vizio di motivazione sulle circostanze aggravanti, viene svolto dalla difesa e, dunque, su questo aspetto come rilevato dal rappresentante della pubblica accusa nella requisitoria scritta fatta per venire a questa Corte, non è possibile intervenire nella presente sede.
Deriva da quanto sin qui esposto, il rigetto del ricorso e la condanna alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Pr siden e