Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26566 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26566 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BRINDISI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO di LECCE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO COGNOME che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO‘avvocato AVV_NOTAIO COGNOME del foro di BRINDISI in difesa di COGNOME NOME conclude insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce ha riformato la condanna, resa dal Tribunale di Brindisi, in data 17 ottobre 2022, nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati ascrittigli, riducendo la pena irrogata in quella di anni cinque mesi e due di reclusione, con la sostituzione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella legale, con l’interdizione per anni cinque dai pubblici uffici.
1.1. Il primo giudice aveva condannato COGNOME alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, relazione ai reati ascrittigli (capo a): artt. 588, comma primo e secondo cod. pen.; capo b): artt. 61 n. 1, 56, 81 comma secondo, 575 cod. pen.) esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. per il capo b) e la recidiva, ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati.
Il giudizio di primo grado si è svolto nelle forme del rito abbreviato condizionato, disposto con ordinanza del 9 maggio 2022, ammissione subordinata all’escussione di un consulente tecnico di parte nonché del maresciallo COGNOME, rispettivamente consulente e testimone a prova contraria indicato dal Pubblico ministero.
Attraverso le registrazioni dei sistemi di sorveglianza la vicenda veniva ricostruita, con riferimento all’acclarato verificarsi dell’esplosione di colpi pistola TARGA_VEICOLO, nel senso che intorno alle 03:55 del giorno 5 luglio 2020, in INDIRIZZO un’autovettura marca Fiat Punto si accostava ad una Fiat Croma di colore grigio, di proprietà di NOME COGNOME, condotta da NOME COGNOME, con a bordo NOME COGNOME, auto che, a sua volta, si era fermata in sosta pochi minuti prima.
In quella circostanza si era acclarato, attraverso le indagini, che NOME COGNOME aveva iniziato a dialogare con i passeggeri della Fiat Croma e che alle 03:59, poco dopo l’uscita di NOME COGNOME dalla Fiat Croma, erano partiti cinque colpi di arma da fuoco, uno dei quali aveva colpito la Fiat Uno condotta da NOME COGNOME. Questi, essendo a bordo del veicolo colpito, aveva immediatamente reso la propria ricostruzione dell’accaduto ai militari giunti sul posto dopo la segnalazione dell’avvenuta esplosione di colpi di arma da fuoco.
La sentenza di condanna si fonda anche sulle intercettazioni, disposte nel corso delle indagini, valorizzando la conversazione n. 609 del giorno 8 luglio 2020, tre giorni dopo il fatto, in cui NOME COGNOME, parlando con un amico, descriveva gli eventi perché appresi direttamente dalla sorella NOME.
Le indagini svolte, secondo quanto ricostruito dalla pronuncia di primo grado, inoltre, consentivano di acclarare che, circa tre ore prima dell’episodio, si era verificata una rissa contestata al capo a) della rubrica, sviluppatasi in una
prima fase alle 01:00 nei pressi di INDIRIZZO e, in una seconda fase, alle 01:38 nei pressi del ristorante RAGIONE_SOCIALE, rissa indicata come movente dei colpi di arma da fuoco successivamente esplosi.
COGNOME viene identificato come uno dei partecipanti alla rissa nonché come colui che ebbe a esplodere i colpi di arma da fuoco; tanto in base alle dichiarazioni di NOME COGNOME, rese in data 16 dicembre del 2020, dichiarazioni eteroaccusatorie considerate attendibili dal Tribunale.
1.2.La sentenza di appello si sofferma sulla qualificazione delle dichiarazioni rese dal COGNOME e sul regime di utilizzabilità delle stesse, tenuto conto del rito speciale prescelto, nonché circa la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie (cfr. p. 6 e ss.).
Inoltre, i giudici di secondo grado condividono la qualificazione della condotta e la ricostruzione del movente del tentato omicidio, anche a fronte delle intercettazioni disposte.
Infine, la sentenza di secondo grado evidenzia le ragioni per le quali (cfr. p. 13) condivide la qualificazione della condotta del reato di cui al capo b) come tentato omicidio, valorizzando le conclusioni cui era giunto il teste NOME COGNOME, disattendendo quelle del consulente balistico, tecnico di parte, ritenendo idonea l’azione dello sparatore, visto il punto in cui COGNOME era risultato posizionato.
Quanto alla configurabilità della rissa, questa, per i giudici di secondo grado, restava provata dalla ricostruzione dei verbalizzanti certi dell’identificazione di COGNOME quale partecipe, non in base ai fotogrammi indicati come non nitidi dalla difesa.
2.Propone tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite dei difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, affidandosi a due motivi di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.11 primo motivo denuncia vizio di motivazione con riferimento alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME circa la prova dell’identificazione dell’imputato.
La presenza di COGNOME emerge solo a seguito delle dichiarazioni di COGNOME, di cui all’annotazione di servizio del 28 ottobre 2020 e successivamente rese nell’interrogatorio del 16 dicembre 2020.
Si tratta di dichiarazioni che sono state ritenute, dai provvedimenti di merito, confermate dalla captazione ambientale del 28 ottobre 2020 tra NOME e NOME COGNOME che / nell’occasione / avrebbero manifestato la necessità di informare tale NOME, perché oggetto delle indagini da parte delle Forze dell’ordine.
La motivazione sarebbe illogica e contraddittoria in relazione alla differenza sostanziale tra le dichiarazioni di COGNOME, come annotate dal luogotenente COGNOME in occasione della perquisizione del 28 ottobre 2020, e quelle rese, successivamente, in sede di interrogatorio il 16 dicembre del 2020.
Tale rilievo, già svolto con i motivi di appello, è stato “liquidato” dalla Corte territoriale con una motivazione che reputa dette differenze non significative tenuto conto del contenuto “grossolano” dell’annotazione di servizio arrivando a sostenerne, comunque, la compatibilità con quelle risultanti dall’interrogatorio reso successivamente.
La difesa, invece, evidenzia che si tratta di dichiarazioni tra loro in insanabile contrasto.
Il dichiarante l davanti al luogotenente NOME COGNOME aveva affermato di aver visto direttamente COGNOME sparare da gradini dell’abitazione posta alla INDIRIZZO, mentre, nel corso del suo interrogatorio, aveva riferito di aver appreso solo successivamente e dalla confessione dello stesso COGNOME la dinamica dei fatti.
Ancora contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata sarebbe nella parte relativa alla ritenuta rilevanza dell’intercettazione del 28 ottobre del 2020 citata.
La preoccupazione di avvisare tale NOME non riguarda entrambi gli interlocutori ma solo il COGNOME. NOME, infatti, per il ricorrente, non facev riferimento a detta necessità né appariva preoccupato. Solo NOME faceva riferimento a questa necessità evidentemente perché consapevole che nel corso della sua perquisizione aveva accusato il NOME (quindi COGNOMECOGNOME. Di qui l’evidente intento calunniatorio del dichiarante, consapevole di essere indagato in prima persona e potenzialmente interessato a sviare le indagini da sé stesso e da persone a lui vicine.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione, violazione degli artt. 125, comma 3, 192 cod. proc. pen. in relazione al capo b), inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56, 575 cod. pen., nonché circa la mancata riqualificazione della condotta contestata in quella di cui agli artt. 56, 582, 707 cod. pen.
La Corte di appello condivide la ricostruzione del giudice di primo grado che ha ritenuto sussistente l’idoneità dell’azione e la volontà omicidiaria.
Tale conclusione contrasta, per il ricorrente, con le risultanze del consulente balistico della difesa.
Si riportano a pagina 5 e ss. del ricorso i contenuti dell’atto di appello svolto sul punto (p. 24-35 dell’atto di appello) dall’AVV_NOTAIO nonché dall’AVV_NOTAIO (cfr. p. 12 e ss. del ricorso) e si sostiene che nessuna delle specifiche doglianze riportate è stata valutata dalla Corte di appello.
Questa, si sarebbe limitata a elencare le doglianze difensive rinviando alla lettura di queste e facendo proprie le motivazioni della sentenza di primo grado ritenute, genericamente, più convincenti e rispondenti ai fatti.
Nulla motiverebbe la Corte sui rilievi critici riguardanti la notevole distanza tra il punto di sparo e il bersaglio, pari a circa 45-50 metri, sull’accertat presenza di molteplici ostacoli, tra il punto di sparo e il bersaglio, come confermato anche dal teste del pubblico ministero COGNOMECOGNOME
Elementi, secondo la difesa, decisivi per la ricostruzione della volontà omicidiaria in capo all’imputato e circa l’idoneità dell’azione al raggiungimento dello scopo.
Apparente e, comunque, contraddittoria poi sarebbe la motivazione di entrambe le sentenze di merito laddove hanno escluso la tesi difensiva del colpo di rimbalzo e dell’ostruzione della visuale dello sparatore.
Secondo la Corte di appello, con riferimento al colpo di rimbalzo, si fa rinvio alla sentenza di primo grado arrivando a sostenere che le considerazioni del Tribunale non sarebbero state né smentite né censurate da argomenti difensivi.
Entrambi gli appelli, invece, censurano specificamente la logica argomentativa del Tribunale.
La difesa aveva censurato, senza ricevere risposta, l’ingiustificabile disparità di valutazione da parte del medesimo Tribunale tra le dichiarazioni rese dal maresciallo COGNOME e le dichiarazioni del consulente tecnico di parte della difesa.
Il maresciallo COGNOME è considerato attendibile dal Tribunale nonostante la dichiarata mancanza di competenze in materia balistica, le lacune del suo narrato e l’assenza di ogni attività avente valenza tecnico-scientifica a riscontro delle sue dichiarazioni.
Per contro, il consulente tecnico di parte sminuisce la valenza di queste dichiarazioni e la validità scientifica dei calcoli effettuati.
Entrambi i provvedimenti di merito non spiegano perché le dichiarazioni del consulente tecnico di parte, corroborate da puntuali calcoli balistici nonché da una ricostruzione fotografica dello stato dei luoghi, siano dotate di minor pregio rispetto alle dichiarazioni del teste del pubblico ministero. Per le due sentenze dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria sarebbero sufficienti per escludere l’ipotesi del colpo di rimbalzo e per poter ritenere che la traiettoria era perfettamente parallela, escludendo anche la tesi della visuale ostruita.
Tale conclusione, però, contrasta con evidenze scientifiche riscontrabili dalla consulenza tecnica di parte.
Secondo il Tribunale e la Corte di appello, per relationem, le dichiarazioni del maresciallo COGNOME sarebbero confermate da una fotografia, di cui a p. 23 della comunicazione di notizia di reato del 2 febbraio del 2021, dalla quale si evincerebbe la visuale libera dello sparatore rispetto al bersaglio.
Entrambe le impugnazioni, però, contestavano le dichiarazioni del teste di accusa con riferimento a tale corrispondenza,’ in particolare si sottolineava che il punto segnalato nella comunicazione di notizia di reato citata, come luogo dove erano ferme le due autovetture, è traslato di diversi metri indietro rispetto a quello in cui si trova il negozio Technology, allegando, a conferma di questa considerazione, fotografie scattate dagli stessi investigatori.
La Corte d’appello, su tale specifico punto, non si è pronunciatk ritenendo aprioristicamente più attendibile la prospettazione del maresciallo COGNOMECOGNOME
Quanto all’esistenza dell’animus necandi si richiama giurisprudenza di legittimità secondo la quale la prova del dolo, nell’ipotesi di tentato omicidio in assenza di ammissioni dell’imputato /ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a esprimere il fine perseguito dall’agente.
La ricostruzione dei giudici di merito volta a suffragare l’ipotesi dell’attentato omicidiario è smentita da elementi inequivocabili e dall’integrazione probatoria espletata che impediscono di ritenere provato il fatto come qualificato dall’accusa o comunque l’animus necandi in capo all’imputato.
La Corte di appello non ha considerato la distanza notevolissima dall’obiettivo, la scarsa visibilità, trattandosi di orario notturno, la presenza d ostacoli quali alberi, la posizione meno visibile dell’obiettivo reale degli spari, l’evidente errore cui si è pervenuti nel colpire un’auto diversa, in marcia, oltre a segni degli altri colpi sulla parte laterale e sull’entrata di un fabbricato posto d fronte al presunto luogo di esplosione.
Si tratta di elementi più che sufficienti per confutare la ricostruzione del fatto e, in particolare, la qualificazione dello stesso come tentativo di omicidio.
Privo di ogni pregio, quindi, appare il rilievo relativo alla traiettoria dei col esplosi ad altezza d’uomo senza considerare gli altri numerosi elementi segnalati dalla difesa.
Peraltro, nel caso di tentato omicidio, la Corte di Cassazione ha affermato che non sussiste tale configurazione per la condotta non idonea quando l’agente, che aveva in precedenza minacciato la vittima di gravi conseguenze, ha dapprima nuovamente minacciato la stessa, indirizzandole contro, da significativa distanza, un’arma da fuoco idonea e funzionante tanto da indurla a darsi alla fuga volgendo le spalle all’aggressore e, quindi, esploso ripetuti colpi di pistola, senza che sia stata accertata la direzione di essi verso il corpo della persona, a nulla rilevando per ritenere l’idoneità della condotta il successivo inseguimento della stessa all’interno del luogo dove aveva trovato riparo (Sez. 1, n. 14695 del 2017).
La Corte di appello, invece, ha ritenuto decisiva la mera circostanza che il colpo sia stato indirizzato ad altezza d’uomo, senza però motivare sulla direzione alla figura dello stesso colpo, né considerare l’evidente posizione laterale dello sparatore, rispetto al presunto bersaglio, essendo incontestato che i gradini dove furono esplosi i colpi di pistola si trovavano in posizione laterale rispetto a bersaglio e distanti circa 50 metri. Oltre al fatto che la visibilità, compromessa dall’ora notturna, risultava anche ostruita da numerosi ostacoli frapposti tra lo sparatore e il bersaglio (quali muratura, scale, alberature, ringhiera). Si sostiene che, di conseguenza, non si può ricostruire con certezza la direzione univoca dell’unico colpo che poi ha colpito la Fiat.
La dinamica confusa, emersa dagli atti di indagine, unitamente all’integrazione probatoria espletata, è dimostrativa della mera volontà dell’imputato di esplodere colpi di arma da fuoco. Per le difese non appare, dunque, dimostrata l’idoneità dell’azione all’offesa del bene della vita.
Si richiama giurisprudenza di legittimità relativa alla necessità, ai fini della sussistenza della volontà omicida, che i colpi di arma da fuoco debbano essere sparati in direzione di parti vitali del corpo e che, perché ciò si realizzi, non è sufficiente che i colpi siano esplosi ad altezza d’uomo ma è necessario che gli stessi siano esplosi in direzione della figura e non lateralmente rispetto ad essa (Sez. 1, n. 7122 del 21/07/1993).
3.1 difensori hanno fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione orale ex art. 23, comma 8, del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato.
Quindi all’esito della discussione le parti presenti all’odierna udienza hanno concluso nel senso riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
LI1 ricorso è infondato.
2.11 primo motivo è inammissibile.
La censura è reiterativa del gravame, cui la Corte territoriale ha risposto con ragionamento non manifestamente illogico.
Il Collegio rileva che il ricorrente contesta una contraddizione interna tra due atti, formati nelle indagini preliminari che è, comunque, affrontata e risolta, con ragionamento lineare e non manifestamente illogico, a p. 11 della sentenza di secondo grado.
La critica prospettata, peraltro, non si confronta con il complesso della motivazione resa dai giudici di appello in ordine all’attendibilità del dichiarante COGNOME (p. 6 e ss.).
Del resto, si osserva che nemmeno COGNOME coinvolge nella sparatoria COGNOME e, quindi, l’intento calunniatorio che la difesa tecnica prospetta, collegandolo all’esigenza di coprire sé stesso o persone vicine, non può avere altra valenza se non quella di una mera congettura.
Inoltre, la sentenza ricostruisce diversamente il contenuto dell’annotazione di servizio che la difesa asserisce essere in contrasto con le dichiarazioni successive di NOME, nel senso che non riporterebbe, testualmente, parole del dichiarante NOME circa la sua presenza al momento in cui COGNOME aveva esploso i colpi (cfr. p. 12).
2.2.11 secondo motivo è infondato.
La critica, per una parte, prospetta censure inammissibili.
La tecnica di redazione del ricorso, laddove si trascrivono, integralmente, brani dell’atto di appello deducendo carenza di motivazione rispetto a dette censure, non appare in linea con l’indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo la quale la sostanziale riproposizione dei motivi di appello conduce all’aspecificità del ricorso.
Tale situazione va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel succitato vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (cfr. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, COGNOME, Rv. 221693).
Per altro verso, poi, si prospetta la questione della prevalenza della prova testimoniale su quella tecnico-balistica, introdotta dalla difesa a mezzo del consulente di parte, che il ricorrente richiama perché prova scientifica.
Su tale punto, tuttavia, il Collegio intende dare continuità all’indirizzo interpretativo secondo il quale (cfr. Sez. 2, n. 15248 del 24/01/2020, Grimani, Rv. 279062 – 01) il giudice, se ha indicato esaurientemente le ragioni del proprio convincimento, non è tenuto a rispondere in motivazione a tutti i rilievi del consulente tecnico della difesa, in quanto la consulenza tecnica costituisce solo un contributo tecnico a sostegno della parte e non un mezzo di prova che il giudice deve necessariamente prendere in esame in modo autonomo.
Nel caso al vaglio, si osserva che effettivamente il rito abbreviato prescelto era stato condizionato proprio all’acquisizione della consulenza tecnica di parte e all’esame di COGNOME, teste del Pubblico ministero introdotto a prova contraria e, comunque, la parte finale del secondo motivo introduce un tema significativo, quello della presunta contraddittorietà e illogicità della motivazione sulla idoneità della condotta e sull’animus necandi, in considerazione della distanza dalla vettura, dell’orario in cui si collocano i fatti e scarsa visibilità, nonché quella del posizione sparatore e della presenza di ostacoli tra sparatore e vittima.
Inoltre, si contesta il rinvio per relationem, sul punto, alla sentenza di primo grado.
In merito, il Collegio osserva in diritto, che alcuna censura può muoversi al rinvio, per alcune parti descrittive, per relationem operato ad integrali brani della sentenza di primo grado. Detto rinvio è limitato, infatti, per necessità di sintesi, alla ricostruzione delle singole vicende e fa riferimento ad atti, in massima parte riportati per esteso, legittimamente compresi nel fascicolo processuale, nonché noti alle parti private, tanto che in alcun modo può ritenersi compresso il diritto di difesa.
In ogni caso, deve rilevarsi che il giudice di primo grado, come quello di appello, non si sono sottratti all’indicazione dei dati fattuali, emergenti dalle risultanze d’indagini, nonché a esplicitare l’esito dell’esame di atti e del percorso logico – argomentativo seguito.
Si rimarca che le intercettazioni esaminate, secondo i giudici di appello, avevano consentito di acclarare che destinatario dei colpi esplosi era NOME COGNOME, anche per la somiglianza con il passeggero della vettura Croma, seduto accanto a NOME COGNOME.
Su tale ultimo punto, poi, la sentenza rimarca che la versione difensiva che voleva il movente ricostruito in contrasto con le risultanze di fatto e, in particolare, con i fotogrammi acquisiti (dai quali era emerso che NOME COGNOME, al momento dell’esplosione dei colpi, si trovava fuori alla vettura), non trovava conforto nella complessiva dinamica dei fatti, come descritta dalla pronuncia di primo grado (cfr. p. 5) richiamata dai giudici di secondo grado.
La sentenza di appello condivide, in base all’esito degli accertamenti, la ricostruzione del primo giudice secondo NOME quale il colpo che aveva raggiunto la Fiat Punto di NOME non aveva attraversato l’abitacolo solo perché si era bloccato nella zona rigida della carrozzeria, escludendo, per le ragioni esposte con motivazione immune da vizi di ogni tipo (cfr. p. 14) che si fosse trattato di un colpo di rimbalzo.
Dunque, la Corte di appello ha concluso nel senso che si è trattato di più colpi, esplosi ad altezza d’uomo, in esatta direzione delle persone posizionate dentro e fuori il veicolo, quanto meno con riferimento al colpo che aveva
raggiunto il lunotto posteriore della Fiat Punto di NOME, espressione dell’animus necandi oltre che dell’idoneità dell’azione.
Quanto alla motivazione del primo giudice, si rileva che questa è puntuale su tali elementi e spiega, con giustificazioni esaurienti e logiche, le ragioni per le quali si reputa più conforme alla ricostruzione del teste del pubblico ministero COGNOME la dinamica dei fatti, tale da inquadrare la condotta nel delitto di tentato omicidio (cfr. p. 10 e ss.).
Il teste, introdotto a prova contraria, secondo il provvedimento di merito, ha spiegato di aver individuato nell’abitazione sita in INDIRIZZO, al INDIRIZZO, il luogo da cui sarebbero partiti i colpi in questione e ,9(descrive il luogo come una casa abbandonata, alla quale si accede tramite tre gradini, oggetto di fotografia inserita nella comunicazione di notizia di reato del 2 febbraio 2021.
Secondo la ricostruzione di COGNOME, come riportata nella sentenza di primo grado, COGNOME aveva sparato una volta posto sul gradino più alto, poiché da lì avrebbe avuto una posizione migliore per colpire ( tenuto conto che il bersaglio era la Fiat Croma condotta dalla COGNOME, ferma in INDIRIZZO, strada inclinata in salita rispetto alla INDIRIZZO.
Si precisa, tra l’altro, che a tale conclusione il teste era giunto attraverso il rinvenimento, in data 5 luglio 2020 cioè il giorno del tentato omicidio, di segni di vari proiettili nei pressi di una rampa di scale sita proprio in INDIRIZZO e posta frontalmente rispetto al INDIRIZZO di INDIRIZZO, da cui i proiettili sarebbero provenuti. Due proiettili avevano raggiunto il muro di contenimento di una scalinata e un altro aveva attinto la struttura in ferro sovrapposta a tale scalinata.
Il Tribunale osserva, inoltre, che il rilievo fotografico riproducente lo stato dei luoghi, scattato ponendosi al terzo gradino della casa abbandonata allegato al foglio 23 della comunicazione di notizia di reato, dimostra in maniera chiara la posizione in cui era la Fiat Punto del COGNOME, poi effettivamente colpita, al momento in cui era stata raggiunta dal proiettile e le condizioni di visibilità.
Del resto, si conclude in questo senso anche per quanto riguarda la Fiat Croma di COGNOME, perché le due vetture sono descritte come affiancate e tali risultano da una fotografia riportata a pagina 94 dell’allegato alla comunicazione di notizia di reato.
I bossoli dei proiettili esplosi, poi, sono descritti come rinvenuti all’incroci tra INDIRIZZO e INDIRIZZO e non è superfluo precisare che i giudici di merito specificano che il INDIRIZZO di INDIRIZZO si colloca a pochi metri dall’incrocio con INDIRIZZO. I bossoli sono indicati come recuperati, con ragionamento immune da illogicità manifesta, nei pressi del suddetto incrocio e non proprio in corrispondenza del INDIRIZZO perché, una volta caduti, sono indicati come spostati
a causa del transito delle vetture tanto è vero che il loro rinvenimento è avvenuto soltanto il 05 luglio 2020 alle 06:30 del mattino.
Infine, il proiettile esploso da COGNOME che aveva raggiunto la Fiat Punto di NOME, secondo la sentenza di primo grado, non aveva attraversato l’abitacolo solo perché bloccato dalla zona rigida della carrozzeria sovrastante il lunotto posteriore (cfr. p. 11 e ss. dove si confuta, specificamente, la consulenza tecnica della difesa).
Del resto, le censure prospettate trascurano i dati, estremamente significativi in termini di decisività, del numero dei colpi esplosf5 (risultano i numero di cinque anche se solo uno ha raggiunto la Fiat Punto di COGNOME) e del movente.
Secondo il dichiarante COGNOME, infatti, l’imputato aveva appoggiato i COGNOME nella rissa avvenuta poco prima del tentato omicidio, contro i COGNOME.
Si tratta di motivazione del tutto in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale (Sez. 1, n. 7574 del 14/06/1993, S., Rv. 194782 – 01) per l’individuazione dell’elemento psicologico del reato in genere e dei delitti contro la persona in particolare, occorre assumere come elemento sintomatico della sua esistenza quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità semantica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente. Tali dati possono emergere, nella fattispecie del delitto di tentato omicidio, dalla reiterazione dei colpi esplosi dall’agente, dalla zona corporale della parte offesa attinta dai proiettili, dalla distanza tra offensore ed offeso: elementi tutti che singolarmente e complessivamente presi in considerazione, sono sicuro indice delle finalità perseguite dal reo.
Del resto (Sez. 1, n. 7906 del 24/03/1988, Aiello, Rv. 178825 – 01), per l’individuazione dell’animus sorreggente un comportamento umano all’apparenza indifferentemente volto alla lesione di più beni giuridici, ove non soccorra la confessione del reo, è necessario far ricorso alla valutazione degli elementi obiettivi in cui si sia estrinsecata l’azione. Pertanto, la volontà omicida va desunta dalla micidialità del mezzo usato, dall’eventuale pluralità di colpi, dalla vitalità della zona (del corpo umano) colpita, e da ogni altro utile fattore obiettivo, ritualmente acquisito al processo, mediante indagine valutativa che, ove tradotta in una motivazione adeguata senza omissioni o travisamento, è sottratta al sindacato di legittimità attenendo esclusivamente al merito.
Invero, in tema di omicidio tentato, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’animus necandi è noto che assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata ex post, ma con riferimento alla situazione che si presentava ex ante all’imputato, al momento del
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compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso. (Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Comelli, Rv. 275012-01)
3.Segue il rigetto del ricorso e la condanna dell’imputato al pagamento dell spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso, il 19 marzo 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente