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Tentato omicidio: la Cassazione conferma la custodia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato accusato di tentato omicidio, confermando la misura della custodia cautelare in carcere. Il caso riguarda un agguato in cui la vittima è stata raggiunta da numerosi colpi di arma da fuoco. La Corte ha stabilito che l’intenzione di uccidere (‘animus necandi’) si desume da elementi oggettivi, come il numero di colpi esplosi e la natura dell’arma, rendendo irrilevante che la vittima sia sopravvissuta grazie alla sua pronta reazione. La decisione sottolinea come, in sede di legittimità, non si possa riesaminare il merito dei fatti, ma solo la logicità e correttezza giuridica della motivazione del giudice precedente.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato Omicidio: Quando Sparare 13 Colpi Significa Voler Uccidere

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla qualificazione giuridica del tentato omicidio, distinguendolo da reati meno gravi come le lesioni personali aggravate. La pronuncia analizza come l’intenzione di uccidere, nota come animus necandi, debba essere valutata sulla base di elementi oggettivi e non solo sull’esito finale dell’azione criminosa. Questo caso, nato da un agguato fallito, dimostra che la sopravvivenza della vittima non esclude automaticamente l’intenzione omicida dell’aggressore.

I Fatti: Un Appuntamento Trappola

La vicenda ha origine da un violento agguato avvenuto di sera, in una zona isolata. La vittima era stata attirata sul posto con il pretesto di acquistare una partita di sostanze stupefacenti. Giunto all’appuntamento, l’uomo è stato affrontato da due soggetti, uno dei quali travisato con un passamontagna. Dopo un tentativo di sfondare il finestrino dell’auto, e incitato dal complice, l’aggressore ha esploso ben tredici colpi di arma da fuoco verso la vittima, colpendola al braccio e a una gamba. Nonostante le ferite, la vittima è riuscita a fuggire.
Le indagini, basate principalmente sul riconoscimento fotografico e sulla successiva ricognizione formale effettuata dalla persona offesa, hanno portato all’identificazione dell’imputato come autore materiale della sparatoria. A supporto di ciò, sono stati raccolti ulteriori elementi come i tabulati telefonici, l’analisi delle celle telefoniche e le immagini delle telecamere di sorveglianza, che collocavano l’imputato e il suo veicolo in un orario e luogo compatibili con il delitto.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Sulla base dei gravi indizi di colpevolezza, sia il Giudice per le Indagini Preliminari che, in un secondo momento, il Tribunale del Riesame, hanno disposto e confermato la misura della custodia cautelare in carcere per l’imputato. La difesa ha presentato ricorso per cassazione, contestando principalmente due aspetti: l’attendibilità del riconoscimento effettuato dalla vittima, ritenuto viziato da irregolarità procedurali, e la qualificazione del fatto come tentato omicidio. Secondo la tesi difensiva, il fatto che l’aggressore avesse colpito parti non vitali del corpo dimostrerebbe una finalità intimidatoria piuttosto che omicida.

L’Analisi della Cassazione sul tentato omicidio

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato. Il punto centrale della decisione riguarda la corretta qualificazione del reato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: per accertare la sussistenza del tentato omicidio, l’elemento determinante è l’idoneità dell’azione a causare la morte, valutata ex ante, ovvero con riferimento alla situazione esistente al momento del compimento degli atti.
Nel caso specifico, diversi elementi oggettivi deponevano inequivocabilmente per l’intenzione di uccidere:

* La micidialità dell’arma: l’uso di una pistola.
* Il numero di colpi: ben tredici colpi esplosi.
* Le circostanze dell’azione: un agguato premeditato, avvenuto a distanza ravvicinata.
* Il contesto: l’esortazione del complice a ‘sparare’.

Questi fattori, nel loro complesso, dimostrano in modo univoco che l’azione era diretta a provocare la morte della vittima.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che la sua funzione non è quella di riesaminare i fatti, ma di verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato. In questo caso, il Tribunale del Riesame aveva fornito una motivazione ampia, coerente e priva di vizi logici, valorizzando correttamente tutti gli indizi a carico dell’imputato.
In particolare, la Corte ha smontato la tesi difensiva secondo cui i colpi a parti non vitali escluderebbero l’ animus necandi. L’insuccesso dell’azione omicida, si legge in sentenza, non è dipeso da una scelta dell’aggressore, ma esclusivamente dalla pronta reazione della vittima, che con la sua fuga è riuscita a sottrarsi alla furia omicida. L’esplosione di tredici colpi di pistola rende palese che l’obiettivo non era ferire, ma uccidere.
Infine, la Cassazione ha confermato anche la necessità della misura cautelare più afflittiva, la custodia in carcere, data l’estrema violenza e l’insidiosità della condotta, elementi che rivelano un elevato pericolo di recidiva.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale in materia di tentato omicidio: la volontà di uccidere si accerta analizzando le caratteristiche oggettive dell’azione e non il suo risultato finale. L’uso di un’arma letale, unito a un numero elevato di colpi sparati a breve distanza, costituisce una prova logica dell’ animus necandi. La sopravvivenza della vittima, se dovuta a fattori indipendenti dalla volontà dell’aggressore come una reazione difensiva, non è sufficiente a derubricare il reato in una fattispecie meno grave. La decisione serve da monito sulla serietà con cui l’ordinamento giuridico valuta gli atti diretti a togliere la vita, anche quando, fortunatamente, non raggiungono il loro tragico scopo.

Come si stabilisce l’intenzione di uccidere (animus necandi) in un caso di tentato omicidio?
L’intenzione di uccidere si accerta sulla base di elementi oggettivi e delle circostanze dell’azione. La sentenza evidenzia come fattori determinanti siano la tipologia di arma usata (micidiale), l’elevato numero di colpi esplosi (tredici in questo caso), la breve distanza tra aggressore e vittima e il contesto generale dell’agguato. Questi elementi, valutati nel loro complesso, devono indicare in modo non equivoco che l’azione era idonea e diretta a causare la morte.

Il fatto che la vittima sia stata colpita in parti non vitali del corpo esclude il tentato omicidio?
No. La Corte ha chiarito che l’insuccesso dell’azione omicida e il fatto che siano state attinte zone non vitali non escludono il tentato omicidio se ciò è dipeso da fattori indipendenti dalla volontà dell’aggressore, come la reazione e la fuga della vittima. L’intenzione si valuta al momento dell’azione (prognosi ex ante), non in base all’esito fortuito.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nel valutare gli indizi di colpevolezza per una misura cautelare?
Il ruolo della Corte di Cassazione è limitato al controllo di legittimità. Ciò significa che non può riesaminare nel merito i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice precedente. Il suo compito è verificare che la motivazione del provvedimento impugnato sia esente da violazioni di legge o da vizi logici manifesti e contraddittori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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