Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4903 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4903 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 13/07/1981
avverso l’ordinanza del 06/09/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 settembre 2024 il Tribunale del riesame di Brescia, procedendo ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato il ricorso pres da NOME COGNOME avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagi preliminari del Tribunale della stessa città, il 2 agosto 2024, gli ha appli misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di tentato omi e porto in luogo pubblico di arma clandestina.
La vicenda nell’ambito della quale sono stati emessi i menzionat provvedimenti è scaturita dal ferimento, risalente alla sera del 27 marzo 2024 avvenuto in Cividate al Piano (Bg), di NOME COGNOME raggiunto ad un bracc ed una gamba da alcuni colpi di arma da fuoco esplosi da un soggetto che, recatos in compagnia di altra persona, travisata da un passamontagna, all’appuntamento fissato dalla vittima, interessata ad acquistare una partita di sos stupefacente, tentò, stando al racconto della persona offesa, di sfonda finestrino dell’autovettura a bordo della quale El Haouati era giunto in loco e, preso atto della pronta reazione di quest’ultimo, non esitò, anche perché incitato a voce dal complice, ad aprire il fuoco.
Giudice per le indagini preliminari e Tribunale del riesame hanno stimato l sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME COGNOME indi quale autore materiale della condotta criminosa, sulla base delle dichiarazioni d vittima, che hanno ritenuto, nel complesso, credibili e, in specie, dell dell’individuazione fotografica e della successiva ricognizione, effettuata forme dell’incidente probatorio, e dei riscontri costituiti dalla presenza di La in orario compatibile con la sua partecipazione al delitto, attestata: dai t telefonici; dalle celle via via agganciate; dalle immagini registrate dalle telec presenti sul tragitto seguito dal veicolo a lui in uso, nel territorio di Ci Piano; dalla scarsa coerenza ed attendibilità delle giustificazioni of dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia.
Il Tribunale del riesame ha, quindi, mutuato le conclusioni raggiunte d Giudice per le indagini preliminari in ordine alla qualificazione giuridica condotta in termini di tentato omicidio, supportata dalla tipologia di impiegata, dall’esplosione di ben tredici colpi, dalla prossimità tra lo sparato vittima, dalla peculiare genesi dell’agguato, preceduto dall’offerta, tr l’applicativo Whatsapp, di un quantitativo di sostanza stupefacente, elementi c attestano, nel loro complesso, l’idoneità e l’univocità della condo costituiscono, unitamente all’esortazione del compartecipe («spara, spara.. sintomo di volontà omicidiaria.
Nella stessa direzione militano, continua il Tribunale del riesame, la zona, buia ed isolata, che è stato teatro dell’aggressione, le espressioni utilizzate dagli autori negli istanti immediatamente precedenti al fatto ed il contesto illecito nel quale è verosimilmente sorto il proposito criminoso, circostanze che evidenziano un’intenzione marcatamente violenta ed uno scopo di carattere ritorsivo ed appaiono, dunque, compatibili con una condotta diretta a cagionare l’evento morte.
Il Tribunale del riesame ha, infine, reputato che la violenza dell’azione e l’insidiosità del pretesto adoperato per attirare la vittima sul luogo del delitto rappresentino spia di un pericolo di recidiva tanto intenso, a dispetto dell’inquadramento dell’indagato nelle forze armate, da imporre il mantenimento della misura cautelare di massimo rigore, dovendosi temere che La Bella, se sottoposto a regime meno afflittivo, approfitti della relativa libertà di movimento per rendersi protagonista di nuove, gravi imprese criminose.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione vertente su quattro motivi, dei quali si darà atto, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3.1. Con il primo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sul rilievo che il Tribunale del riesame ha condiviso con il Giudice per le indagini preliminari il giudizio di attendibilità dell’individuazione fotografica e della ricognizione operata dalla vittima che, invece, è, a suo modo di vedere, inficiata dalle contraddizioni in cui NOME COGNOME è incorso e da tangibili irregolarità procedurali.
Deduce, al riguardo, che, a fronte di obiezioni precise e calzanti, il collegio bresciano ha omesso di profondere il dovuto impegno motivazionale e si è limitato all’acritica ricezione degli argomenti già spesi dal giudice procedente, in tal modo confezionando un’ordinanza affetta da motivazione apparente, perché carente dell’esposizione dell’iter logico-giuridico sotteso alla conferma della misura custodiale.
3.2. Con il secondo motivo, eccepisce vizio di motivazione con riferimento alle anomale modalità di esecuzione dell’individuazione fotografica e della ricognizione di persona – avuto riguardo, specificamente, alla scelta dei soggetti inseriti nel fascicolo fotografico sottoposto in visione alla vittima, tutti stranieri (co l’eccezione, ovviamente, del solo COGNOME) – che hanno inciso sull’attendibilità del riconoscimento, ulteriormente sminuita dalle contraddizioni nelle dichiarazioni della persona offesa, delle quali il Tribunale del riesame ha offerto un’interpretazione logicamente insostenibile.
3.3. Con il terzo motivo, COGNOME si duole, in chiave sia di violazione di legge che di vizio di motivazione, delle conclusioni raggiunte dal Tribunale del riesame
in punto di esigenze cautelari, ancorate ad un giudizio di attualità e concretezza stereotipato ed esclusivamente affidato, in ultimo, alla gravità del reato e dimentico, per contro, dei suoi buoni trascorsi e dell’appartenenza alle forze armate.
Ascrive, in particolare, al collegio bresciano di non avere spiegato perché il pericolo di recidiva non può essere prevenuto mediante l’applicazione di misure meno afflittive della custodia in carcere.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, compiuta senza considerare che l’aggressore ha deliberatamente attinto parti non vitali del corpo della vittima e che lo stesso movente dell’azione rimanda ad una finalità intimidatoria piuttosto che omicida.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, con atto del 23 novembre 2024, la declaratoria di inammissibilità del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato e, pertanto, passibile di rigetto. ,
In via preliminare, è opportuno ricordare che, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: in particolare, il controllo di legittimità non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori.
Di conseguenza, non possono ritenersi ammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono, in realtà, nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito: ove sia, dunque, denunciato il vizio di motivazione del provvedimento cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, la Corte di legittimità deve controllare essenzialmente se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare il vaglio delle risultanze probatorie (sull’argomento, cfr. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv.
215828; Sez. 1, n. 50466 del 15/06/2017, Matar, non massimata; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha compiutamente illustrato, con motivazione ampia ed esaustiva, le ragioni che lo hanno indotto a ritenere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME COGNOME in relazione ai reati oggetto di provvisorio addebito.
A tal fine, ha valorizzato una pluralità di elementi – analiticamente richiamati, sopra, nell’esposizione del fatto – che, sinergicamente considerati, convincono sia dell’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa che dell’idoneità delle residue emergenze istruttorie a supportare, allo stato, l’impostazione accusatoria.
Al cospetto di un percorso argomentativo alieno da fratture razionali ed aderente alle emergenze istruttorie, il ricorrente articola obiezioni di stampo eminentemente confutativo che, nell’accreditare una diversa esegesi delle singole evidenze fattuali, non riescono ad enucleare, nel provvedimento impugnato, specifici profili di illogicità, tantomeno manifesta, o di contraddittorietà e, quindi, non valgono ad eccitare l’esercizio del potere censorio del giudice di legittimità, confinato – nella sede cautelare – nei limiti sopra indicati.
Tanto, specificamente, con riferimento:
alla incompleta ricostruzione, da parte di COGNOME, dell’antefatto dell’agguato da lui patito che, ha spiegato il Tribunale del riesame, discende, con ogni probabilità, dal coinvolgimento del dichiarante in attività illecita ma che, nondimeno, non inficia la credibilità del suo racconto, precipuamente nella parte in cui individua in NOME COGNOME l’esecutore materiale della violenta aggressione;
alla descrizione che COGNOME ha fatto dello sparatore, silente in ordine alla cicatrice visibile sul volto dell’odierno ricorrente, che il Tribunale del riesame ha giustificato con la peculiarità del contesto (di sera ed al buio) in cui i due si sono trovati faccia a faccia, per di più per pochi secondi, per poi aggiungere che il segno risulta, nelle immagini più recenti, assai meno evidente rispetto a quanto emerge dalla fotografia scattata in occasione dell’incidente che provocò la ferita;
alla scelta, in sede sia di individuazione fotografica che di ricognizione personale, di soggetti facilmente distinguibili da COGNOME, profilo che il Tribunale del riesame ha stimato, in concreto, irrilevante, stante la pregnanza degli altri indizi raccolti a carico del ricorrente, connessi alla presenza del cellulare e della vettura a lui in uso nell’area di Cividate al
Piano ed in orario coincidente con quello dell’agguato, oltre che alla totale inverosimiglianza dell’alibi fornito.
Parimenti incensurabile è il ragionamento seguito dal Tribunale del riesame in ordine alla qualificazione giuridica della condotta, che si palesa pienamente sintonica con il pacifico indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di omicidio tentato, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell'”animus necandi” assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata “ex post” ma con riferimento alla situazione che si presentava “ex ante” all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso» (Sez. 1, n. 11928 del 29/01/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012 – 01).
Per quanto concerne, invero, l’idoneità ed univocità degli atti ed il requisito psicologico che ha connotato l’azione illecita, i giudici lombardi hanno tratto argomento, in perfetta coerenza con gli enunciati ermeneutici che governano l’istituto del delitto tentato, dalla micidialità dell’arma impiegata nell’aggressione, dall’elevato numero dei colpi esplosi e dalle circostanze di fatto che hanno preceduto ed accompagnato l’azione, concorrendo a connotarla in termini tali da convincere dell’avere NOME Bella ed il correo agito con dolo diretto, ovvero al fine di provocare la morte della vittima, obiettivo non conseguito per la pronta reazione di NOME COGNOME il quale, benché ferito a braccio e gamba, riuscì a sottrarsi alla furia omicida dell’indagato.
Priva di pregio si palesa pertanto, sotto questo aspetto, l’obiezione difensiva che fa leva sull’essere stata la vittima attinta in zone non vitali; stando, infatti alla ricostruzione, esente da vizi logici di sorta, operata dal Tribunale del riesame, l’insuccesso dell’azione omicida deve essere ricollegato alla resistenza ed alla fuga della persona offesa anziché ad autonoma decisione dell’autore materiale di un’aggressione che, si ribadisce, si concretizzò nell’esplosione di tredici colpi di pistola.
Ugualmente infondata è la censura afferente alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza e proporzionalità della misura della custodia in carcere, tema che il Tribunale del riesame ha affrontato in modo ineccepibile, enunciando gli elementi di fatto che fondano il rischio di recidiva e quelli che inducono ad una prognosi negativa per il caso di sottoposizione dell’indagato a misura meno afflittiva, il cui rispetto sarebbe affidato, almeno in parte, allo stesso destinatario il quale, con il ricorso, si limita a riproporre argomenti – quali quelli relativi alla modestia del suo curriculum criminale ed alla pregressa carriera militare – che il collegio bresciano ha debitamente vagliato, pervenendo, tuttavia,
ad avallare, in forza di un apparato motivazione scevro, ancora una volta, da fratture razionali, la decisione del Giudice per le indagini preliminari.
Il Tribunale del riesame ha, in particolare, ritenuto che il pericolo di reiterazione della condotta criminosa sia tanto intenso da lasciar temere che COGNOME, se sottoposto ad una misura meno restrittiva, ivi compresa quella degli arresti domiciliari, non esiterebbe a rendersi protagonista di nuove imprese criminose: giudizio, questo, che, in quanto espressione della valutazione discrezionale del giudice della . cautela, non manifestamente illogica né contraddittoria, sfugge alle censure del ricorrente, che appaiono, anche in questo caso, di stampo essenzialmente rivalutativo.
5. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 13/12/2024.