Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3078 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3078 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 11/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza dell’il luglio 2023 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza cautelare di applicazione della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in relazione ai reati di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen. e 2 4 e 7 I 1967 n. 895 commessi in Napoli la notte tra il 4 ed il 5 settembre 2022.
In particolare, il ricorrente è stato ritenuto gravemente indiziato di aver tentato di uccidere NOME COGNOME, sparando due colpi di pistola ad altezza d’uomo all’indirizzo della vittima, che veniva attinta da un colpo alla gamba sinistra subendo la frattura del perone, nonché della detenzione e porto abusivo dell’arma con cui era stato commesso il delitto avvenuto a Napoli in INDIRIZZO.
Il delitto era avvenuto a causa di una precedente lite intercorsa tra i congiunti di indagato e vittima.
Il Tribunale ha ritenuto corretta l’identificazione dell’indagato come autore del reato, in quanto i fotogrammi estratti dalla telecamera di sicurezza di un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE lo riprendevano bene sia in viso che nel corpo, consentivano di notare occhiali, barba, tatuaggi, e confrontarli con le foto dei cartellini segnaletici e dell fotografie immesse dallo stesso soggetto sui sociali network. Peraltro, lo scooter con cui l’autore del reato era scappato dalla scena del crimine era stato già usato da COGNOME. L’identificazione sarebbe supportata anche dal movente perché l’indagato è cugino dei gemelli COGNOME, che poche ore prima avevano avuto una lite con tale COGNOME, fidanzato della figlia di COGNOME; dalle intercettazioni in carcere emerge, inoltre, l’astio tra i due nuclei familiari, anche preesistente a tale episodio.
Il Tribunale ha qualificato il fatto come tentato omicidio, nello stesso senso della ordinanza cautelare, in quanto lo sparo è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza di una pizzeria del centro di Napoli, e da esse emerge che la persona che ha sparato, dopo aver indietreggiato, si è posto con le gambe divaricate, ha esploso un colpo verso il basso finito a terra e ne ha sparato un altro con il braccio disteso in posizione orizzontale, e parallelo alla sede stradale, tale colpo colpiva COGNOME all’altezza del polpaccio.
Il Tribunale ha aggiunto che la vittima si è spostata all’indietro operando una rotazione del corpo che ha evitato che il colpo attingesse organi vitali.
Il Tribunale ha ritenuto l’esistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza in quanto le modalità della condotta rivelavano assoluta spregiudicatezza ed allarmante personalità dell’autore del reato, atteso che lo stesso si presentava ad un incontro chiarificatore armato di pistola carica pronta all’uso, che aveva utilizzato freddamente in un luogo pubblico agendo a volto scoperto in una zona affollata di persone e potendo contare sull’aiuto di soggetti che avevano messo a disposizione lo scooter per fuggire, il che ne dimostrava l’inserimento in pericolosi contesti criminali; inoltre l’indagato era stato raggiunto in date recenti anche da altri due titoli cautelari per gravi delitti commessi con uso di armi.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento all’identificazione dell’indagato quale autore dei reati, in quanto all’identificazione dell’indagato si è arrivati, in realtà, attrave informazioni confidenziali raccolte dai militari; le telecamere di sicurezza non
offrono nessuna certezza che l’autore del reato sia stato Camnnarota perché l’abbigliamento o gli accessori indossati dal soggetto immortalato sono elementi meramente congetturali; ciò che è decisivo è che dall’immagine delle telecamere di sicurezza non sia possibile vedere le caratteristiche somatiche di chi spara, stante la scarsa risoluzione delle riprese; né è possibile identificare il viso di colu che ha sparato nel suo percorso di fuga, che è stato ripreso da altre telecamere di sicurezza di altri esercizi commerciali, infatti da esse si riescono a riconoscere soltanto gli occhiali da vista indossati ed i tatuaggi sull’avambraccio destro ma non il viso dell’autore del reato, perchè ci sono delle ombre che impediscono la comparazione tra le immagini ed impediscono di arrivare ad un giudizio di inconfutabile corrispondenza tra il soggetto immortalato e COGNOME; la stessa circostanza evidenziata nell’ordinanza impugnata che COGNOME pochi giorni prima del fatto sarebbe stato ripreso dal sistema cattura targhe del Comune di Napoli alla guida dello stesso scooter con cui l’autore del reato è scappato dalla scena del crimine è puramente congetturale, perché tutto ciò che ha ripreso il sistema targhe è un soggetto ignoto abbigliato in modo identico all’autore della sparatoria e dotato di una formazione fisica similare a costui, ma non c’è nessuna certezza che si tratti proprio dell’indagato; non sono rilevanti neanche i giudizi formulati dal Tribunale sul movente, e cioè che COGNOME è cugino dei gemelli COGNOME che sono stati protagonisti della lite con il fidanzato della figlia della vittima, perché le intercettazioni in carcere, che a giudizio del Tribunale dovrebbero confortare tale movente, in realtà non dicono nulla sul punto, ed anzi ad ascoltarle non emerge nessun astio degli interlocutori nei confronti di COGNOME.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio anziché come lesioni aggravate, in quanto il Tribunale ha attribuito rilievo decisivo alla posizione assunta da chi ha sparato, in realtà rilievo decisivo avrebbe dovuto essere attribuito alla posizione dell’arma che questi impugna ed alla direzione dei colpi, colui che ha sparato, infatti puntava l’arma verso il basso; nonostante avesse il braccio disteso in posizione orizzontale parallelo alla sede stradale, come scritto la ordinanza, la mano con cui egli impugna l’arma era rivolta verso il basso; infatti il foro d’ingresso del proiettile ne corpo della vittima è collocato a 42 cm. dal suolo mentre il foro di uscita è collocato a 34 cm. dal suolo; la circostanza che chi ha sparato avesse impugnato l’arma in direzione verso il basso trova, pertanto, una COGNOME convergenza negli esiti dell’attività di polizia scientifica; inoltre, la vittima si è portata all’osp COGNOME COGNOME COGNOME autonomia a bordo del proprio scooter non necessitando di alcun tipo di soccorso, ha riportato una ferita al perone della gamba sinistra, quindi non
in organi vitali; se chi ha sparato avesse inteso davvero uccidere la vittima sarebbe stato sicuramente in grado di farlo; la circostanza che l’autore del reato si sia dato immediatamente alla fuga smentisce il proposito omicidiario perché avrebbe potuto esplodere ulteriori corpi in zone vitali; il Tribunale ha sbagliato anche ad attribuire rilievo alla conversazione intercettata nel carcere di Secondigliano, che contiene frasi estremamente generiche sulla direzione dei proiettili; il Tribunale ha anche errato nel ritenere che il secondo colpo esploso attinge solo la gamba della vittima perché costui è indietreggiato e si sarebbe posizionato di lato, i due colpi in realtà venivano esplosi nell’arco di un secondo per cui è impossibile ipotizzare che, dopo l’esplosione del primo, chi ha sparato abbia modificato la traiettoria di sparo, e poi in ogni caso i due soggetti si trovavano sullo stesso piano stradale, l’indietreggiare di qualche passo della vittima non avrebbe portato un mutamento della traiettoria del proiettile; senza questo passo indietro il proiettile avrebbe colpito COGNOME in un punto leggermente più in alto ma sicuramente non in una zona del corpo sede di organi vitali; inoltre, la vittima in data 26 ottobre 2022 ha rilasciato dichiarazioni da cui emerge che egli ha cominciato a indietreggiare già prima che chi ha sparato esplodesse il primo colpo e che al momento degli spari egli si è solo limitato a girarsi.
Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione nella valutazione delle esigenze cautelari, in quanto l’ordinanza avrebbe dovuto motivare l’esistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza attesa la avvenuta rinnovazione ex art. 309, comma 10, cod. proc. pen. ed invece le esigenze cautelari sono state desunte soprattutto dal titolo di reato nonché dal M.A.E. emesso nello stesso periodo dalla autorità francese, ma si tratta di un procedimento per cui COGNOME deve essere ancora giudicato, e comunque si tratta di vicende autonome che non possono incidere negativamente sulle esigenze cautelari.
3. La difesa dell’indagato ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, dedicato all’identificazione di COGNOME come autore dei reati contestati, è manifestamente infondato.
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Il motivo deduce che le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza non offrono nessuna certezza che l’autore del reato sia stato COGNOME perché da esse si desumono soltanto l’abbigliamento e gli accessori indossati dal soggetto, ma non le caratteristiche somatiche di chi spara o di chi fugge a bordo dello scooter.
L’argomento è manifestamente infondato.
A differenza di quanto sostiene il ricorso, infatti, l’ordinanza evidenzia che “dal video estratto dalla telecamera dell’RAGIONE_SOCIALE che ha ripreso la fuga del reo a bordo dello scooter si rileva nitidamente il volto del soggetto, che poi abbassa il viso forse per non essere ripreso dalla telecamera al minuto 7.36.14 del secondo video della cartella salvata nel cd trasmesso dal pubblico ministero, così da poterlo comparare con le effigi fotografiche del Cannmarota in atti (cartellino foto segnaletico e fotografie estratte da facebook)”.
Il Tribunale, quindi, ha ritenuto che i fotogrammi consentano l’identificazione certa dell’indagato; il ricorso sostiene, invece, che essi permettano di identificare solo una persona vagamente somigliante allo stesso, ma, a sostegno dell’asserito travisamento della prova, non allega l’atto che dovrebbe permettere di verificare la sussistenza o meno del travisamento.
In particolare, in una situazione in cui l’ordinanza impugnata sostiene che il viso dell’indagato sia ben visibile nel fotogramma del minuto 7.36.14 del secondo video della cartella salvata nel cd trasmesso dal pubblico ministero, ed il ricorso sostiene che i fotogrammi non consentano di vederne il viso con certezza, il ricorso, per il rispetto del requisito dell’autosufficienza (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, rv. 256723), avrebbe dovuto allegare il fotogramma del minuto 7.36.14 del secondo video della cartella salvata nel cd trasmesso dal pubblico ministero per consentire di apprezzare l’eventuale travisamento.
Non essendo riuscito il ricorso a disarticolare la parte della motivazione dell’ordinanza che ritiene ben visibile il viso dell’indagato nei fotogrammi delle telecamere che lo riprendono nel corso della via di fuga, diventano manifestamente infondati anche gli ulteriori argomenti spesi nel motivo sulla circostanza che pochi giorni prima del fatto sarebbe stato ripreso, alla guida dello stesso scooter con cui l’autore del reato è scappato dalla scena del crimine, non COGNOME, ma solo una persona che può avere la stessa corporatura di COGNOME, o che dalle intercettazioni in carcere non emerga, in realtà, nessun astio degli interlocutori nei confronti di COGNOME. Tali argomenti, infatti, oltre ad essere introdotti anch’essi in difetto del requisito dell’autosufficienza, attaccano passaggi secondari, e meramente di conferma, della individuazione del ricorrente
come autore del reato, talchè la loro eventuale caduta non farebbe comunque venire meno l’ordinanza impugnata.
Il secondo motivo, dedicato alla qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio, è infondato.
Il ricorso deduce che, nel qualificare il fatto, il Tribunale ha attribuito rili decisivo al braccio orizzontale, e parallelo al suolo, di colui che ha sparato, mentre avrebbe dovuto guardare non il braccio, ma la mano di questa persona, che puntava l’arma verso il basso; a sostegno evidenzia che il foro d’ingresso del proiettile nel corpo della vittima è collocato a 42 cm. dal suolo mentre il foro di uscita è collocato a 34 cm. dal suolo.
L’argomento è inammissibile perché introdotto in giudizio anch’esso in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, atteso che il ricorrente non allega al ricorso né inserisce in esso il fotogramma da cui si dovrebbe ricavare che la mano di chi ha sparato era rivolta verso il basso, né la relazione medica o di polizia giudiziaria da cui emergono i fori di ingresso e di uscita del proiettile nel corpo della vittima.
Il ricorso deduce, a sostegno della riqualificazione, che la vittima si è portata all’ospedale COGNOME in COGNOME autonomia a bordo del proprio scooter non necessitando di alcun tipo di soccorso, perchè ha riportato una ferita al perone della gamba sinistra, quindi non in organi vitali.
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L’argomento è infondato, perché il dolo del reato diìórnicidio deve essere ricavato dalle circostanze esistenti ex ante, e non ex post; che la vittima sia stata o meno in pericolo di vita è, a tal fine, del tutto irrilevante (Sez. 1, Sentenza n 20601 del 17/03/2023, D., Rv. 284722: in tema di tentato omicidio, per escludere il dolo non rileva che la vittima sia stata attinta dai colpi dell’aggressore e abbia subito un “vulnus” della propria integrità psico-fisica, essendo sufficiente, a tal fine, che l’azione offensiva, con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti, sia stata attuata in modo da conseguire l’effetto avuto di mira; conforme Sez. 1, Sentenza n. 52043 del 10/06/2014, COGNOME, Rv. 261702)
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Il ricorso deduce ancora che, per le circostanze complessive dell’azione, se chi ha sparato avesse inteso davvero uccidere la vittima, sarebbe stato sicuramente in grado di farlo, ma la giurisprudenza di legittimità ritiene che non sia decisivo che l’agente, pur avendo davanti a sé la vittima a pochi metri, avrebbe potuto colpirla in un punto più idoneo a cagionarne con certezza la morte (Sez. 1, Sentenza n. 45332 del 02/07/2019, Pesce, Rv. 277151: La mancata inflizione di più coltellate non esclude la sussistenza della volontà omicida, qualora sia accertato che, per le modalità operative e per l’arma impiegata, l’azione sia stata
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idonea a causare la morte della vittima e tale evento non si sia verificato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente), dovendo sempre essere valutato il contesto complessivo dell’azione.
Il ricorso deduce che il Tribunale ha errato nel ritenere che il secondo colpo esploso attinge solo la gamba della vittima perché costui è indietreggiato ed effettua il movimento di rotazione; secondo il ricorso, i due colpi in realtà venivano esplosi nell’arco di un secondo per cui è impossibile ipotizzare che dopo l’esplosione del primo lo sparatore abbia modificato la traiettoria di sparo, anzi la stessa vittima riferisce che aveva cominciato ad indietreggiare prima del primo sparo, e poi in ogni caso i due soggetti si trovavano sullo stesso piano stradale l’indietreggiare di qualche passo della vittima non avrebbe comunque potuto portare un mutamento decisivo della traiettoria del proiettile.
L’argomento proposto nel ricorso attinge alla questione centrale di questo processo in punto di qualificazione giuridica del fatto, ovvero se COGNOME sia stato colpito alla gamba per la precisa volontà di COGNOME di mirare in quel punto del corpo o per la concitazione di una scena in cui tanto autore del reato che vittima si stavano muovendo, e che quindi non era sotto la completa signoria dell’autore del reato.
L’argomento, che nel giudizio di merito potrebbe essere approfondito anche attraverso un’istruttoria ulteriore rispetto a quella della fase cautelare, anche – se ritenuto necessario – con eventuale perizia sulla dinamica dell’azione, è, comunque, infondato, perché, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 2, Sentenza n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628).
La motivazione dell’ordinanza impugnata resiste alle censure di illlogicità della motivazione anche sotto quest’ultimo profilo dedotto, perché affronta la questione della possibilità che COGNOME abbia sparato volontariamente alla parte bassa delle gambe, e la risolve in senso negativo attraverso una ricostruzione del fatto che passa anche attraverso il movimento della vittima, che indietreggia ed effettua una rotazione del corpo, che è tanto naturale per difendersi da un’arma da sparo che viene puntata contro, oltre che supportato nella sua sussistenza dalle
emergenze probatorie, da non comportare vizi logici nella ricostruzione della dinamica del delitto.
Il motivo è, pertanto, complessivamente infondato.
3. Il terzo motivo è infondato.
Il ricorso deduce che l’ordinanza non avrebbe motivato le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., che avrebbe tratto essenzialmente dalla gravità del fatto.
Il motivo è infondato, perché la giurisprudenza di legittimità ritiene che l’eccezionalità delle esigenze cautelari debba essere individuata nella “consistenza del pericolo per la collettività” (Sez. 1, Sentenza n. 28002 del 16/03/2016, Annunziata, Rv. 267662: le eccezionali esigenze cautelari, che consentono nelle ipotesi previste dall’art. 309, comma decimo, cod. proc. pen., di rinnovare la misura cautelare, non richiedono un “quid pluris” rispetto alla situazione precedente, né la necessità di elementi nuovi sopravvenuti; tuttavia, non coincidono con una normale situazione di pericolosità, identificandosi piuttosto in una esposizione al pericolo per la collettività di tale consistenza da non risultare compensabile se non con l’imposizione di una misura coercitiva. Fattispecie in materia di omicidio, nella quale la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione del provvedimento impugnato, che aveva specificamente e dettagliatamente individuato le eccezionali esigenze nell’estrema gravità dei fatti commessi, nell’efferatezza della condotta e nella pervicacia dell’indagato, che si era procurato una pistola e aveva ucciso la vittima, violando, peraltro, una misura cautelare meno afflittiva, cui era già sottoposto per atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa).
La “consistenza del pericolo per la collettività” comporta che nella motivazione dell’ordinanza cautelare trovi spazio anche la valutazione sui beni giuridici tutelati (Sez. 1, Sentenza n. 806 del 15/11/2022, dep. 2023, Avventurato, Rv. 284039: “le eccezionali esigenze cautelari che, nei casi di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., consentono di rinnovare la misura cautelare che abbia perso efficacia non richiedono un “quid pluris” rispetto alla situazione precedente, né la necessità di elementi nuovi o sopravvenuti, pur se non coincidono con una normale situazione di pericolosità, ma si identificano, piuttosto, in un’esposizione al pericolo per la collettività di consistenza tale da non risultare superabile se non con l’emissione di una misura coercitiva. In motivazione, la Corte ha precisato che l’eccezionalità delle esigenze cautelari deve essere desunta non dall’accentuazione della prognosi di pericolosità, ma dal particolare rilievo dei beni giuridici da tutelare, con riferimento alla gravità dei fatti commessi o della capacità criminale del soggetto sottoposto a misura”).
Pertanto, l’eccezionalità delle esigenze cautelari può essere desunta dal rilievo eccezionale dei beni giuridici tutelati mediante la applicazione della ordinanza cautelare, che è ricavato anche attraverso il riferimento alla gravità dei fatti commessi, o alla capacità criminale del soggetto sottoposto a misura.
In presenza di una contestazione per tentato omicidio le esigenze di tutela della collettività espresse dalla formula del pericolo di reiterazione del reato assumono, infatti, una intensità tale da poter senz’altro essere considerate eccezionali nell’accezione di cui al comma 10 dell’art. 309 citato. Allo stesso modo le esigenze di tutela della collettività espresse dalla formula del pericolo di reiterazione del reato assumono una intensità eccezionale qualora il soggetto sottoposto a misura sia una persona dalla consistente capacità criminale, ricavata, ancora una volta, dalla gravità del fatto che gli viene attribuito o anche da precedenti condotte criminali.
Nel caso in esame, il Tribunale del riesame motiva l’eccezionalità delle esigenze cautelari in modo conforme a tale indirizzo della giurisprudenza di legittimità, evidenziando da un lato la gravità del fatto e dall’altro la consistente capacità criminale del soggetto sottoposto a misura, che in modo logico ricava anche dagli ulteriori titoli cautelari da cui lo stesso è stato raggiunto nello stesso periodo, senza che possa rilevare l’argomento speso in ricorso dell’essere ancora pendenti i giudizi cui si riferiscono tali titoli (Sez. 1, Sentenza n. 51030 del 06/06/2017, COGNOME, Rv. 271405), o della autonomia di tali giudizi rispetto a quello oggetto dell’ordinanza cautelare, posto che la decisione sulle esigenze cautelari comporta una valutazione non solo del fatto, ma della personalità complessiva del soggetto (Sez. 3, Sentenza n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891).
In definitiva, il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14 dicembre 2023
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