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Tentato omicidio: la Cassazione chiarisce i criteri

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato in custodia cautelare per tentato omicidio. La sentenza chiarisce che sparare un colpo di pistola verso una persona integra il tentato omicidio, poiché l’azione è di per sé idonea a uccidere, a prescindere dal fatto che la vittima sia stata colpita solo a una gamba. La Corte ha inoltre ribadito la validità dell’identificazione tramite video e la legittimità delle esigenze cautelari eccezionali per reati così gravi.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio: quando sparare è reato anche se si colpisce la gamba

La distinzione tra lesioni aggravate e tentato omicidio è una delle questioni più complesse e dibattute nel diritto penale. Un recente intervento della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3078 del 2024, offre chiarimenti fondamentali su come valutare l’intenzione di uccidere, specialmente nei casi in cui l’azione non produce l’esito letale. La Corte ha stabilito che l’idoneità dell’arma e la direzione del colpo verso la persona sono sufficienti a configurare il reato più grave, a prescindere dalla zona del corpo effettivamente colpita.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un grave episodio avvenuto in una piazza di Napoli, dove un uomo è stato raggiunto da due colpi di pistola. Uno dei proiettili lo ha colpito alla gamba sinistra, causandogli la frattura del perone. Le indagini, basate anche su filmati di videosorveglianza, hanno portato all’identificazione di un sospettato, posto in custodia cautelare in carcere con l’accusa di tentato omicidio e porto abusivo d’arma.

Il Tribunale del Riesame aveva confermato la misura cautelare, ritenendo solidi gli indizi a carico dell’indagato. L’identificazione era stata supportata da fotogrammi chiari, dal riconoscimento di tatuaggi e occhiali, e da un movente riconducibile a precedenti dissidi tra i nuclei familiari dell’aggressore e della vittima.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Errata identificazione: Secondo il ricorrente, le immagini delle telecamere non erano sufficientemente chiare per un’identificazione certa, e gli altri elementi erano puramente congetturali.
2. Qualificazione del reato: La difesa sosteneva che il fatto dovesse essere qualificato come lesioni aggravate e non come tentato omicidio. A supporto di questa tesi, evidenziava che l’aggressore aveva sparato verso il basso, colpendo la vittima a soli 42 cm da terra, una zona non vitale. Inoltre, la vittima si era recata autonomamente in ospedale.
3. Mancata motivazione delle esigenze cautelari: Si contestava che la decisione di mantenere la custodia in carcere fosse basata solo sulla gravità del reato, senza una motivazione adeguata sulla sua eccezionale rilevanza.

Le motivazioni sul tentato omicidio e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato. I giudici hanno chiarito punti cruciali sia di diritto processuale che sostanziale.

In primo luogo, riguardo all’identificazione, la Corte ha sottolineato la violazione del principio di autosufficienza del ricorso: la difesa lamentava la scarsa qualità dei video senza però allegare i fotogrammi contestati, impedendo di fatto alla Corte di valutare la fondatezza della censura. Il Tribunale aveva invece logicamente motivato come un frame specifico permettesse un chiaro riconoscimento.

Il punto centrale della sentenza riguarda la qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’intenzione omicida (dolo) deve essere valutata sulla base delle circostanze esistenti al momento dell’azione (ex ante) e non sulla base dell’esito (ex post). In altre parole, il fatto che la vittima sia sopravvissuta o sia stata colpita in una parte non vitale del corpo è irrilevante per escludere il dolo di omicidio. L’azione di esplodere un colpo di pistola ad altezza uomo, o comunque in direzione della persona, è di per sé un atto idoneo a cagionare la morte. La potenzialità letale dell’arma e dell’azione è l’elemento decisivo.

La Corte ha inoltre specificato che non è determinante che l’aggressore, pur potendo, non abbia sparato altri colpi per assicurarsi della morte della vittima. La volontà omicida può sussistere anche quando l’azione, idonea a uccidere, non si conclude per cause indipendenti dalla volontà di chi agisce, come un movimento della vittima o un errore di mira.

Infine, per quanto riguarda le esigenze cautelari, i giudici hanno confermato che per reati di eccezionale gravità come il tentato omicidio, il pericolo per la collettività assume un’intensità tale da giustificare misure cautelari di massima sicurezza. La valutazione si basa non solo sul fatto specifico, ma anche sulla personalità e sulla capacità criminale complessiva del soggetto, desumibile anche da altri procedimenti a suo carico.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza i criteri per distinguere il tentato omicidio dalle lesioni aggravate. La valutazione non si ferma all’analisi del danno fisico prodotto, ma si concentra sulla natura e sulla potenzialità dell’azione commessa. Sparare verso una persona con un’arma da fuoco è un atto che porta con sé una intrinseca capacità di uccidere, e come tale viene qualificato dal punto di vista giuridico. La decisione serve da monito: l’intenzione di uccidere non si misura dal risultato, ma dalla pericolosità del gesto compiuto.

Quando uno sparo alla gamba viene considerato tentato omicidio e non lesioni?
Quando l’azione di sparare con un’arma da fuoco verso una persona è di per sé idonea a causare la morte, a prescindere dal punto esatto colpito. La valutazione si basa sull’intenzione e sulla pericolosità dell’azione al momento in cui viene compiuta (ex ante), non sul risultato finale.

Cosa significa il principio di ‘autosufficienza del ricorso’ in Cassazione?
Significa che chi presenta un ricorso deve includere tutti gli elementi necessari (come specifici atti o prove, ad esempio un fotogramma di un video) per permettere alla Corte di decidere. Se si contesta l’interpretazione di una prova, quella prova deve essere allegata, altrimenti la Corte non può valutarla.

In quali casi si possono applicare esigenze cautelari di ‘eccezionale rilevanza’?
In casi di reati molto gravi, come il tentato omicidio, dove il pericolo per la collettività è così elevato da non poter essere gestito con misure meno restrittive della detenzione in carcere. La gravità del fatto e la capacità criminale del soggetto sono elementi chiave per questa valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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