Tentato omicidio: quando usare l’auto come arma integra il reato
Il tentato omicidio è un reato grave che si configura quando un soggetto compie atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di un’altra persona, senza che l’evento si verifichi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, riguardante un tentativo di investimento, chiarendo come si valuta l’intenzione omicida anche quando la velocità del veicolo non appare, a prima vista, letale.
I fatti di causa
La vicenda trae origine da una lite avvenuta in una località di mare. A seguito del diverbio, sedato dall’intervento di terze persone, l’imputato si allontanava per poi ritornare a bordo della sua autovettura. Una volta avvistata la persona offesa, l’uomo effettuava una repentina inversione a U, saliva sul marciapiede opposto al suo senso di marcia e dirigeva il veicolo contro la vittima, che si trovava di spalle. Grazie alla sua prontezza di riflessi, la vittima riusciva a schivare l’impatto, che fermava la corsa del veicolo. Per questi fatti, l’imputato veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di sette anni di reclusione per tentato omicidio.
L’analisi del tentato omicidio e il ricorso in Cassazione
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la motivazione della sentenza d’appello fosse carente. In particolare, si contestava la ricostruzione dei fatti e la valutazione dell’intenzione di uccidere. Secondo la tesi difensiva, la velocità del veicolo, registrata da un dispositivo satellitare installato a bordo, non era così elevata da poter essere considerata idonea a provocare la morte. Si chiedeva, inoltre, una rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per un nuovo accertamento peritale sulla velocità.
La decisione della Corte sul tentato omicidio
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici supremi hanno chiarito che il ricorso non può trasformarsi in una richiesta di rivalutazione del merito della vicenda, compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. Il ruolo della Cassazione è verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata.
Le motivazioni
La Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello completa, logica e persuasiva. I giudici di merito non si sono limitati a considerare la sola velocità registrata dal dispositivo satellitare. Hanno invece condotto un apprezzamento complessivo di tutti gli elementi acquisiti, basando la loro decisione su un solido ragionamento indiziario.
L’univocità degli atti, diretta a causare la morte della vittima, è stata desunta da una serie concatenata di comportamenti:
1. La lite pregressa: L’esistenza di un conflitto precedente ha fornito il movente.
2. Il ritorno sul posto: L’imputato non si è allontanato definitivamente, ma è tornato sul luogo della lite armato della propria autovettura.
3. La manovra deliberata: L’inversione a U, eseguita non appena avvistata la vittima, e la successiva invasione del marciapiede indicano una chiara volontà di puntare la persona offesa.
4. L’effetto sorpresa: L’azione è stata condotta approfittando del fatto che la vittima era di spalle, aumentandone la pericolosità.
L’idoneità della manovra a realizzare l’intento lesivo, secondo la Corte, non deriva solo dalla velocità, ma anche dall’accelerazione improvvisa e dalla sorpresa, elementi che hanno messo in grave pericolo non solo la vittima designata, ma anche altri testimoni presenti. Di conseguenza, anche la richiesta di una nuova perizia sulla velocità è stata legittimamente respinta, poiché la decisione si fondava già su elementi sufficienti per una compiuta valutazione della responsabilità.
Le conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di tentato omicidio: per accertare il dolo, ovvero l’intenzione di uccidere, il giudice deve valutare l’intera condotta dell’agente e il contesto in cui si è svolta. L’utilizzo di un’automobile come arma, dirigendola deliberatamente verso una persona sul marciapiede, costituisce un atto di per sé idoneo a uccidere, a prescindere dalla velocità finale registrata. La valutazione complessiva degli indizi, se gravi, precisi e concordanti, è sufficiente a fondare una sentenza di condanna.
Una bassa velocità del veicolo può escludere il reato di tentato omicidio in caso di investimento?
No. Secondo la Corte, la volontà di uccidere non si desume solo dalla velocità, ma dall’intera dinamica dell’azione. Manovre come salire su un marciapiede per colpire una persona di sorpresa possono dimostrare l’intento omicida anche se la velocità non è elevata.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti del processo?
No. Il giudizio in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può riesaminare le prove o fornire una diversa ricostruzione dei fatti, ma solo verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non violi la legge.
Perché i giudici d’appello possono rifiutare una richiesta di nuove perizie?
I giudici possono rigettare una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria (come una nuova perizia) quando ritengono che gli elementi già acquisiti nel processo siano sufficienti per decidere. Il rigetto è legittimo se la motivazione della sentenza si basa su un quadro probatorio completo e adeguato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22800 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22800 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
EsamiNOME il ricorso proposto avverso la sentenza del 6 novembre 2023, con la quale la Corte di appello di Roma confermava la decisione impugnata, con cui NOME COGNOME era stato condanNOME alla pena di sette anni di reclusione e alle sanzioni accessorie, per il reato di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen., perché, in località Torvajanica il 02/04/2016, alla guida della sua autovettura Ford Ka, targata TARGA_VEICOLO, aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad investire e uccidere NOME NOME, consistiti nel fare una inversione di marcia con manovra ad U e nel salire repentinamente sul marciapiede opposto al suo senso di marcia, dove si trovava la persona offesa.
Esaminata la memoria difensiva in data 02/05/2024, nella quale il ricorrente ha insistito nei motivi di ricorso ribadendo che la motivazione della sentenza impugnata era del tutto carente sulla ricostruzione del fatto e sulla necessità di rinnovazione istruttoria e segnalando che il Procuratore Generale presso la Corte territoriale aveva richiesto l’accoglimento dell’appello;
Ritenuto che con il primo motivo si chiede il riesame nel merito della vicenda processuale, che risulta vagliato con completezza dalla Corte di appello di Roma nel rispetto delle regole della logica e delle risultanze processuali (tra le altre, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227 – 01), nulla rilevando – constatato ciò – che la decisione del giudice di secondo grado sia stata difforme dalle richieste del Procuratore Generale territoriale; in base a dati certi con stringente e persuasivo ragionamento indiziario la sentenza impugnata non si è limitata a valutare le risultanze del rilevamento del dispositivo satellitare Unibox Top, installato a bordo di COGNOME, e la misura della velocità registrata al momento dell’impatto (velocità che, ad avviso della difesa, non sarebbe così elevata da potersi considerare idonea a produrre l’evento), ma svolge un apprezzamento complessivo degli elementi acquisiti; in particolare ha ricavato l’univocità degli atti dal comportamento tenuto da COGNOME prima della manovra con la quale lanciò l’autovettura verso la persona offesa (egli aveva avuto una lite con la persona offesa, sedata dall’intervento di terzi, si era allontaNOME e poi era ritorNOME sul posto con l’autovettura, aveva effettuato l’inversione a U repentinamente appena aveva visto la persona offesa, aveva poi mosso l’autovettura verso di lui, approfittando del fatto che egli in quel momento era di spalle, e per colpirlo aveva condotto il veicolo fin sul marciapiede, prima che la persona offesa riuscisse a scansarsi e il mezzo fosse fermato da un impatto); ha poi ricava’m l’idoneità della manovra a realizzare l’intento lesivo non solo dalla velocità rilevabile con strumenti tecnici ma dall’accelerazione e dalla sorpresa con la quale sia la persona offesa sia diversi altri testi presenti si erano visti giungere addosso l’autovettura c
convergenti e univoche sono state logicamente apprezzate le dichiarazioni dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME, il primo dei quali aveva rischiato pure di essere investito e riteneva di essersi salvato per il pronto intervento del COGNOME);
che alla luce di queste considerazioni anche il motivo inerente l’asseritamente immotivato rigetto della richiesta di procedere ad ulteriore accertamento peritale sulla velocità dell’autovettura è inammissibile, visto che «il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità» (sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, Rv. 280589 – 01);
che rimane travolto dall’inammissibilità anche il terzo motivo inerente la recidiva, che, sull’assunto dell’insussistenza di prova certa dell’intenzione in capo al COGNOME di cagionare la morte della persona offesa, propone un’alternativa valutazione dei dati esaminati dalla Corte distrettuale per valutare la personalità dell’imputato, non consentito con il ricorso per cassazione.
Per queste ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 maggio 2024
Il Consigliere estensore