Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9045 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9045 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Cetraro il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, del 26/04/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta rassegnata, ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 137 del 2020 succ. modd., dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale della libertà di Catanzaro ha respinto la richiesta di riesame avanzata, ai sensi dell’art.309 cod. proc. pen., da NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale in data 9 settembre 2022, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia cautelare in carcere (non eseguita per la irreperibilità dell’indagato), in quanto gravemente indiziato dei delitti di tentato omicidio, violazione della legge armi, estorsione, lesioni, tutt aggravati ai sensi del’art.416-bis.1. cod. pen., commessi in Belvedere Marittimo il 26 giugno 2021, confermando integralmente l’ordinanza genetica.
1.1. I fatti oggetto delle imputazioni provvisorie sono stati ricostruiti in entrambi i provvedimenti nei termini appresso indicati; il 26 giugno 2021, alle ore 02:45 circa, in Belvedere Marittimo, sul INDIRIZZO, NOME (addetto alla sicurezza del locale ‘RAGIONE_SOCIALE‘) veniva attinto alla gamba sinistra da un colpo di arma da fuoco esploso a distanza ravvicinata da un uomo poi identificato dalla vittima, a seguito di ricognizione fotografica, in NOME COGNOME.
L’aggressione era avvenuta al culmine di una lite verificatasi tra il ferito ed un gruppo di giovani; in particolare, la persona offesa aveva raccontato che, mentre svolgeva il servizio di sicurezza presso il locale sopra indicato in occasione di un evento musicale accessibile solo con prenotazione, intorno alle ore 02:45 del 26 giugno 2021, era sopraggiunto un gruppo composto da circa quindici uomini, i quali, nonostante non avessero la prenotazione, avevano fatto accesso nel locale con il consenso dei titolari al fine di evitare ‘problemi’. Il gruppo in questione aveva iniziato a prelevare autonomamente tavoli e sedie riposti nei pressi del bagno ed a consumare bevande senza pagare; a quel punto NOME COGNOME, su sollecitazione di uno dei titolari del locale, era intervenuto per indurre i ragazzi a desistere dalla pretesa di non pagare le consumazioni, al che l’COGNOME gli aveva risposto che se lavorava lì era grazie a loro ed aveva chiesto di chiamare NOME COGNOME (l’altro addetto alla sicurezza del locale), il quale era riuscito a ristabil la calma.
Dopo poco il gruppo aveva raggiunto l’uscita invitando il COGNOME ad uscire fuori; la persona offesa si era quindi avvicinata al gruppo e l’COGNOME, dopo avere
messo una mano sul collo della vittima, l’aveva invitata a chiedere scusa ad un ragazzo del gruppo (NOME COGNOME) al quale aveva in precedenza chiesto di pagare le consumazioni. Di fronte al rifiuto del NOME NOME COGNOME, dopo avergli mostrato una pistola che teneva nella tasca sinistra dei pantaloni, lo aveva nuovamente invitato a scusarsi minacciando, in caso contrario, di sparargli. A seguito dell’ulteriore rifiuto della persona offesa, l’indagato aveva estratto nuovamente la pistola, aveva esploso un colpo che aveva raggiunto COGNOME al ginocchio sinistro ed aveva poi rivolto l’arma verso il volto della vittima, cercando nuovamente di sparare, senza però riuscirvi a causa di un malfunzionamento della pistola. Dopo la sparatoria, vi era stato un assalto fisico contro la persona offesa da parte dei componenti del gruppo che avevano iniziato a picchiarla, a tirarle addosso tavoli e sedie ed a colpirla con una bottiglia alla testa. L’aggressione era poi terminata quando si era sparsa la notizia dell’imminente arrivo delle forze dell’ordine che erano state, nel frattempo, allertate.
1.2. Gli accertamenti operati dalla polizia giudiziaria avevano portato al ritrovamento di un bossolo di pistola calibro TARGA_VEICOLO e di tre cartucce integre nei pressi del locale; alla identificazione dei soggetti coinvolti nell’episodio si era giunti per mezzo del riconoscimento fotografico da parte della vittima e della visione di un video girato all’interno del locale al momento dei fatti. Successivamente COGNOME era stato destinatario di ulteriori minacce (in particolare il 24 luglio 2022) e, in sede di audizione, aveva dichiarato di non essere più riuscito a lavorare come addetto alla sicurezza, poiché i titolari dei locali della zona temevano ritorsioni da parte dei soggetti che lui aveva denunciato quali autori dell’aggressione ai suoi danni.
1.3. Il Tribunale di Catanzaro ha confermato integralmente l’ordinanza genetica ritenendo, anzitutto, sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in ordine a tutti i reati oggetto della imputazione provvisoria, tenuto conto delle dichiarazioni della persona offesa, del riconoscimento fotografico effettuato dalla stessa e, quanto al tentato omicidio (capo B della rubrica), dell’esito dei rilievi tecnici eseguiti nell’immediatezza dei fatti.
In particolare, il giudice del riesame cautelare ha escluso che la versione dei fatti resa da COGNOME fosse contraddittoria (a causa di alcune discrasie tra quanto dichiarato nell’immediatezza dei fatti e successivamente) atteso che egli
aveva fornito una ricostruzione dell’accaduto coerente nel suo nucleo essenziale; al riguardo è stato evidenziato che dovevano escludersi plausibili ragioni di mendacio da parte sua per l’assenza di pregressi rapporti tra le parti e per la dettagliata ricostruzione dei fatti, nei loro particolari, ad opera della medesima vittima.
La sua versione, infatti, aveva trovato adeguato riscontro nelle risultanze dei rilievi tecnici eseguiti dagli operanti nell’immediatezza dei fatti, consistiti ne rinvenimento, a circa quaranta metri dall’ingresso del locale, nel raggio di nove metri di un bossolo di calibro 6,35 e a breve distanza di tre cartucce dello stesso tipo; tale rinvenimento supportava, a parere del Tribunale, quanto dichiarato dal COGNOME circa l’esplosione di un colpo che lo aveva attinto alla coscia sinistra e l’espulsione di alcune cartucce a seguito dei reiterato incameramento delle stesse a riprova del tentativo di esplodere ulteriori colpi verso di lui.
Rispetto poi alla ascrivibilità del fatto a NOME COGNOME, gli elementi indiziari sono stati ricavati dalla ricognizione fotografica effettuata dalla vittima, la cui legittimità non poteva essere messa in discussione dalle criticità sottolineate dalla difesa dell’indagato.
Circa la configurabilità, nel caso di specie, del delitto di tentato omicidio essa si ricavava dall’uso di un’arma potenzialmente letale, dalla direzione dei colpi prima verso la coscia e poi in direzione del volto della vittima, anche se questi ultimi non erano esplosi a causa dell’inceppamento della pistola. Per la violazione della legge armi (artt. 2 e 7 1.895/67, capo C) le condotte oggetto della imputazione provvisoria avevano trovato conferma nelle dichiarazioni di COGNOME e nei rilievi effettuati dalla polizia giudiziaria, che aveva rinvenuto sul posto i bossolo ed i proiettili, così come la presupposta detenzione dell’arma in assenza della relativa autorizzazione.
Analogamente la gravità indiziaria per il reato di estorsione e di lesioni pluriaggravate è stata confermata dalla partecipazione, quanto meno morale, dell’COGNOME ai fatti; in particolare, nella pretesa di non pagare le consumazioni e nell’aggressione fisica nei confronti della vittima successivamente all’utilizzo dell’arma. Con riferimento alla aggravante del metodo mafioso il Tribunale ha fatto proprie le relative valutazioni svolte nella ordinanza genetica.
Infine, rispetto alle esigenze cautelari, è stato dato rilievo all’intensit oggettiva e gravità sotto vari profili delle condotte, poste in essere con un’arma e secondo le tipiche modalità mafiose per ragioni di mera tracotanza
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME (tuttora latitante) ha proposto, per mezzo dell’AVV_NOTAIO quale sostituto processuale del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pe insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art.125 del codice di rito in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen. e sostiene che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato rispetto alla idoneità dell’azione ed alla qualificazione giuridica del fatto come tentato omicidio. Al riguardo osserva che la zona attinta dallo sparo (ginocchio sinistro) non è sede di organi vitali e che lesioni riportate dalla vittima non erano gravi tanto che era stata dimessa la sera del 26 giugno 2021.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge ed il vizio di motivazione rispetto alla sua individuazione quale esecutore delle condotte oggetto della imputazione provvisoria; in particolare, egli osserva che il Tribunale sarebbe incorso nei vizi lamentati non avendo tenuto in debito conto del fatto che – prima del riconoscimento fotografico dell’indagato effettuato dalla persona offesa . il giorno 26 giugno 2021 alle ore 11:25 – erano state mostrate a NOME alcune immagini tratte dal profilo ‘Facebook’ di alcuni soggetti cetraresi gravitanti nell’area di Belvedere Marittimo e già noti alle forze dell’ordine, di talché il suddetto riconoscimento non sarebbe stato spontaneo, ma invece frutto della suggestione posta in essere dalla polizia giudiziaria. A conferma della inaffidabilità del riconoscimento vi era poi la circostanza che altri due indagati (NOME COGNOME e NOME COGNOME), riconosciuti dalla vittima come presenti sul posto al momento dei fatti, avevano dimostrato con le indagini difensive di essere altrove e che, per tale ragione, la misura cautelare nei loro confronti era stata revocata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. Con il terzo motivo l’indagato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge ed il vizio di motivazione in
relazione al reato di estorsione (capo A della imputazione provvisoria) poiché le minacce e le violenze erano state poste in essere nei confronti di COGNOME che era un addetto alla sicurezza e non già nei confronti dei titolari del locale, di talché doveva escludersi l’ipotizzata estorsione, atteso che la persona offesa non aveva alcuna influenza sulla attività del locale proprio in considerazione della posizione da lui rivestita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente si osserva che il ricorso in cassazione può essere proposto, come avvenuto nel caso di specie, da un avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore COGNOME dell’imputato che invece non sia cassazionista (in senso conforme Cass. Sez. U., Sentenza n.40517 del 28/4/2016, Rv. 267627, Taysir).
Ciò posto il ricorso, i cui motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati, deve essere respinto.
Invero, quanto al primo motivo, va ricordato che in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limi che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
2.1. Inoltre, al fine dell’adozione della misura cautelare, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
Al riguardo si rileva che il Tribunale di Catanzaro non è incorso nei lamentati vizi atteso che, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha anzitutto ritenuto legittimo il riconoscimento fotografico dell’indagato da parte della persona offesa ed ha osservato che l’informale individuazione effettuata sulla base delle fotografie tratte da ‘Facebook’ (prive, peraltro, delle indicazioni delle generalità dei soggetti raffigurati) non inficiava la validità di quello formale.
Come è noto, infatti, l’individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice (Sez. 5 – , Sentenza n. 23090 del 10/07/2020, Rv. 279437 – 01). Deve poi aggiungersi che il Tribunale ha tratto ulteriore conferma della validità del riconoscimento fotografico anche dalla circostanza che la vittima era stata in grado anche di indicare l’abbigliamento indossato dall’odierno indagato la notte in cui si sono verificati i fatti e che tali dichiarazioni avevano trovato conforto anche nel filmato girato all’interno del locale in occasione dell’episodio per cui si procede.
Analogamente, il Tribunale, sempre in modo non manifestamente illogico, ha escluso la rilevanza della avvenuta revoca della misura cautelare nei confronti di due degli indagati poiché essa era stata disposta unicamente per la assenza dei predetti sul luogo dei fatti la notte della consumazione dei reati e non riguardava, invece, la posizione di NOME COGNOME.
2.2. Ne consegue che il ricorrente, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, in realtà, suggerisce una inammissibile diversa valutazione degli elementi indiziari, coerentemente esaminati dal Tribunale di Napoli rispetto al suo riconoscimento da parte della persona offesa.
Il secondo motivo del ricorso risulta inammissibile poiché anche con esso il ricorrente vorrebbe pervenire ad una differente lettura degli elementi indiziari rispetto a quella, non manifestamente illogica, effettuata dal giudice del riesame
in ordine al tentato omicidio. Al riguardo deve ricordarsi che, come da questa Corte ripetutamente affermato (Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257208; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339), rispetto all’omicidio tentato la prova del c.d. ‘animus necandi’, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito dall’agente; in quest’ottica assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi postuma riferita alla situazione che si presentava all’agente sul momento, in base alle condizioni umanamente prevedibili.
3.1. Da tale corretto approccio ermeneutico il Tribunale di Catanzaro non si è discostato, avendo ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza rispetto all’elemento psicologico contestato sulla base di elementi, quali la potenzialità offensiva dell’arma utilizzata (pistola), la direzione del colpo esploso verso la coscia della vittima (sede di importanti vasi sanguigni come l’arteria femorale) ed il tentativo (non riuscito per un imprevedibile malfunzionamento dell’arma) di sparare più volte verso il volto della persona offesa, elementi tutti ineccepibilmente apprezzati nel ravvisato contesto di dolo omicidiario.
3.2. A ragione, infine, si è escluso che l’entità delle lesioni subite da COGNOME – così come il fatto che questi non si sia trovato in pericolo di vita – fossero circostanze idonee ad influire sulla valutazione della volontà omicida ( Cass. Sez. 1, n. 52043 del 10/6/2014, Vaghi, Rv. 261702).
Infine risulta infondato il terzo motivo del ricorso dovendosi ritenere corretta la qualificazione giuridica del fatto (di cui al capo A della imputazione provvisoria) come estorsione aggravata; come è noto, infatti, integra il delitto di estorsione la condotta dell’agente che rivolga la violenza o la minaccia a persona diversa dal soggetto al quale è richiesto l’atto di disposizione patrimoniale, sempre che la condotta sia idonea ad influire sulla volontà di quest’ultimo. (Sez. 2 – , Sentenza n. 23759 dell’ 11/03/2021, Rv. 281459 – 01). Da ciò consegue che il Tribunale, in modo coerente, ha configurato la sussistenza di elementi indiziari del reato ex art.629 cod. pen. atteso che la persona offesa era stata espressamente incaricata dai titolari del locale di ottenere il pagamento
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delle consumazioni da parte degli indagati, di talché le loro violenze e minacce erano dirette proprio a coartare la volontà dell’addetto alla sicurezza che cercava di ottenere il legittimo corrispettivo.
Il ricorso pertanto deve essere respinto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art.616 cod. proc. pen.; infine non vanno disposti gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. stante la mancata esecuzione della misura cautelare per la latitanza del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2023.