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Tentato omicidio: intenzione conta più del danno

La Corte di Cassazione ha confermato una misura cautelare per tentato omicidio, estorsione e altri reati. Il caso riguarda un’aggressione in un locale notturno dove un addetto alla sicurezza è stato ferito da un colpo di pistola. La difesa sosteneva che non ci fosse l’intenzione di uccidere, dato che la ferita non era mortale. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che per configurare il tentato omicidio sono determinanti l’idoneità dell’azione a causare la morte e la direzione dei colpi verso zone vitali, a prescindere dall’esito effettivo.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tentato omicidio: l’intenzione di uccidere prevale sulla gravità delle ferite

Quando un’aggressione armata si trasforma in tentato omicidio? La risposta non risiede sempre e solo nella gravità delle lesioni riportate dalla vittima. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del diritto penale: per determinare l’intenzione di uccidere (animus necandi), sono cruciali la natura dell’arma usata e la direzione dei colpi, anche se l’esito non è letale. Questo caso, nato da una violenta lite in un locale notturno, offre spunti essenziali per comprendere i confini tra lesioni aggravate e l’atto di tentare di togliere la vita a una persona.

I Fatti: Una Notte di Violenza in Riviera

La vicenda si svolge in una località balneare durante una serata estiva. Un gruppo di circa quindici persone entra in un beach club senza prenotazione, pretende di consumare bevande senza pagare e si scontra con un addetto alla sicurezza. La situazione degenera rapidamente: l’addetto viene prima minacciato e poi ferito da un colpo di pistola alla gamba sinistra, esploso da uno degli aggressori. Quest’ultimo tenta poi di sparare di nuovo, questa volta al volto della vittima, ma l’arma si inceppa. L’aggressione prosegue con un pestaggio da parte del gruppo, interrotto solo dall’imminente arrivo delle forze dell’ordine.

I Motivi del Ricorso: La Difesa Contesta le Accuse

L’indagato, raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre argomenti principali:

1. Errata identificazione: La difesa ha sostenuto che il riconoscimento fotografico da parte della vittima fosse inattendibile, in quanto influenzato dalla visione preliminare di alcune foto prese da profili social.
2. Assenza di tentato omicidio: Secondo il ricorrente, l’azione non era idonea a uccidere. Il colpo era stato diretto al ginocchio, una zona non vitale, e le lesioni erano state giudicate lievi, tanto che la vittima era stata dimessa dall’ospedale il giorno stesso.
3. Insussistenza dell’estorsione: La violenza era stata diretta contro l’addetto alla sicurezza e non contro i titolari del locale. Poiché il dipendente non aveva potere di disposizione sul patrimonio dell’azienda, non si poteva configurare il reato di estorsione.

La Decisione della Corte sul tentato omicidio e Altri Reati

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, confermando la solidità dell’impianto accusatorio e la correttezza delle valutazioni dei giudici precedenti. Vediamo in dettaglio le argomentazioni della Suprema Corte.

La Qualificazione del Tentato Omicidio

Il punto centrale della sentenza riguarda la qualificazione del reato come tentato omicidio. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato: l’intento omicida (animus necandi) si desume da elementi oggettivi e non solo dall’esito dell’azione. I giudici hanno considerato decisivi i seguenti fattori:
L’arma utilizzata: una pistola, strumento intrinsecamente letale.
La direzione dei colpi: il primo colpo alla coscia, sede di importanti vasi sanguigni come l’arteria femorale, e il successivo tentativo, fallito solo per un malfunzionamento dell’arma, di sparare al volto della vittima.

Questi elementi, valutati nel loro insieme, sono stati ritenuti inequivocabilmente indicativi della volontà di uccidere, rendendo irrilevante sia la lieve entità delle lesioni effettivamente riportate, sia il fatto che la vittima non sia mai stata in pericolo di vita.

Validità del Riconoscimento e Configurazione dell’Estorsione

Anche gli altri motivi di ricorso sono stati rigettati. La Corte ha stabilito che un’identificazione informale non inficia la validità del successivo riconoscimento formale, che va valutato dal giudice come una qualsiasi altra dichiarazione. Per quanto riguarda l’estorsione, i giudici hanno chiarito che il reato si configura anche quando la violenza è rivolta a una persona diversa dal titolare del patrimonio (in questo caso, l’addetto alla sicurezza), se tale azione è idonea a coartare la volontà di quest’ultimo. Poiché il dipendente era stato incaricato di riscuotere i pagamenti, la violenza contro di lui era un mezzo diretto per costringere i proprietari a rinunciare al loro profitto.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati. Per il tentato omicidio, la valutazione deve essere effettuata ‘ex ante’, cioè basandosi sulla situazione così come si presentava all’agente al momento dell’azione. Ciò che conta è la potenziale offensività della condotta e non il risultato fortuito. L’uso di una pistola e il puntamento verso parti del corpo universalmente riconosciute come vitali sono indicatori potenti dell’intenzione di commettere un omicidio. Il fatto che l’arma si sia inceppata è un evento imprevedibile e indipendente dalla volontà dell’aggressore, che non diminuisce la gravità del suo intento iniziale.

Per l’estorsione, la Corte applica un’interpretazione che tutela il patrimonio in senso ampio. La violenza contro un incaricato (il ‘longa manus’ del proprietario) è giuridicamente equiparata alla violenza contro il proprietario stesso, quando lo scopo è ottenere un ingiusto profitto. Questo principio è essenziale per proteggere le attività commerciali da minacce e violenze che, pur colpendo i dipendenti, mirano a danneggiare l’impresa.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza che nel delitto di tentato omicidio l’elemento psicologico, ossia l’intenzione di uccidere, è sovrano e deve essere ricostruito attraverso l’analisi oggettiva della condotta dell’aggressore. La potenziale letalità dell’azione, dimostrata dall’uso di un’arma e dalla scelta dei bersagli, è sufficiente a configurare il reato, anche se la sorte o un guasto tecnico impediscono il tragico epilogo. Un monito chiaro che distingue la gravità di un’azione pianificata per uccidere da un’aggressione che, seppur violenta, non ne ha l’intento.

Quando un’aggressione con arma da fuoco si qualifica come tentato omicidio e non come semplici lesioni?
Si qualifica come tentato omicidio quando gli elementi oggettivi dell’azione dimostrano l’intenzione di uccidere (‘animus necandi’). Secondo la Corte, sono decisivi fattori come l’uso di un’arma potenzialmente letale (una pistola), la direzione del colpo verso zone vitali o potenzialmente tali (come la coscia, sede dell’arteria femorale, e il volto) e il tentativo di sparare più volte. L’esito non letale o la lieve entità delle ferite non sono sufficienti a escludere questa qualificazione.

Un riconoscimento fotografico è valido se alla vittima sono state mostrate foto dell’indagato prese dai social media prima dell’atto formale?
Sì. La Corte ha stabilito che un’individuazione informale, anche se avvenuta tramite foto da social network, non invalida un successivo riconoscimento formale. L’atto di riconoscimento è considerato una dichiarazione, la cui attendibilità viene valutata dal giudice nel contesto di tutte le prove disponibili, come la coerenza del racconto della vittima.

Si può essere accusati di estorsione se la violenza è usata contro un dipendente (come un addetto alla sicurezza) e non contro il proprietario del bene?
Sì, il reato di estorsione si configura anche in questo caso. La Corte ha chiarito che la violenza o la minaccia possono essere dirette a una persona diversa dal titolare del patrimonio, a condizione che tale condotta sia idonea a influenzare e costringere la volontà di quest’ultimo. La violenza contro il dipendente incaricato di ottenere il pagamento è un mezzo diretto per coartare la volontà dei proprietari e ottenere un ingiusto profitto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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