Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1535 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1535 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a TUNISI( TUNISIA) il 10/03/1985
avverso la sentenza del 20/12/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronuncia con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di tentato omicidio ai danni di NOME COGNOME (capo a) e della contravvenzione di porto senza giustificato motivo del coltello multiuso utilizzato per commettere l’azione omicidiaria (capo b) e, per l’effetto, lo aveva condannato, esclusa la recidiva e riconosciuta la continuazione tra le violazioni, alla pena di anni 5 mesi 1 di reclusione.
Secondo la ricostruzione dei giudici del merito, NOME COGNOME nel corso di un’accesa discussione, aveva colpito ,la vittima con il coltello, dotato di una lama di sei centimetri, gridandogli “ti ammazzo, ti ammazzo” e gli aveva procurato due ferite penetranti in regione sottomammaria sinistra, con lesioni giudicate guaribili in trenta giorni, non riuscendo nell’intento di cagionare la morte di NOME COGNOME perché costretto ad interrompere l’aggressione per procurarsi la fuga.
Ricorre per cassazione – a mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME NOME COGNOME articolando cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.2. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 111, commi 3 e 4 Cost. nonché 6, par. 3, Convenzione Edu.
La Corte territoriale, disattendendo i principi enunciati nelle sentenze della Corte Edu e nella giurisprudenza di legittimità analiticamente richiamate, ha posto a fondamento della decisione le dichiarazioni della persona offesa /nonostante la loro inutilizzabilità per essersi la stessa resa volontariamente irreperibile, anche sottraendosi all’incidente probatorio richiesto dal Pubblico ministero. Non assume alcun rilievo la scelta dell’imputato di essere giudicato nelle forme del rit abbreviato allo stato degli atti.
2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato di tentato omicidio e in ordine all’esclusione della riqualificazione del fatto in lesio personali.
La Corte di appello, nel qualificare la condotta dell’imputato come tentato omicidio, peraltro con valutazioni non pienamente conformi con quelle della pronuncia di primo grado, ha disatteso le linee guida fissate dalla giurisprudenza di legittimità in subiecta materia.
Quanto agli elementi oggettivi della idoneità e direzione non equivoca della condotta, anziché seguire un percorso argomentativo fondato sugli elementi fattuali acquisiti, ha continuato a incentrare il ragionamento probatorio sulle
valutazioni di tipo probabilistico ed astratto compiute dal consulente medico legale del pubblico ministero. In tal modo, ha finito per ignorare il dato pacifico che la persona offesa, in conseguenza dell’aggressione, non aveva mai corso un reale pericolo di vita, elemento indispensabile per la configurabilità del tentato omicidio, tanto da essere necessario ai fini dell’integrazione del meno grave reato di lesioni aggravate sensi dell’art. 583, comma 1, n. l) cod. pen.
Quanto all’animus necandi, ha attribuito in punto di valutazione di attendibilità della persona offesa, in contrasto con gli orientamenti giurisprudenziali più consolidati sia in sede di legittimità che di merito, valore decisivo alle dichiarazion di NOME COGNOME nonostante sia ipotizzabile un suo forte rancore personale nei confronti dell’imputato che logicamente spiega come mai sia stato l’unico, tra i soggetti presenti nel corso dell’aggressione, a riportare le espressioni dell’imputato ritenute dimostrative della intenzione omicidiaria.
Nessuna attenzione è stata dedicata alla questione della compatibilità con il dolo omicidiario della scelta dell’imputato dl non approfittare della posizione di forza acquisita durante la colluttazione, anche grazie alla corporatura più robusta, per portare a termine l’azione ritenuta omicicliaria.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’esclusione della scriminante di cui all’art. 55 cod. pen.
La Corte distrettuale ha reso una motivazione contraddittoria ed incompleta, ignorando le emergenze processuali evidenziate dalla difesa per ritenere accertata la circostanza che tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME si era sviluppata una violenta lite, connotata dalla reciprocità delle aggressioni. La situazione di incertezza, comunque, giustificava ampiamente il riconoscimento della invocata scriminante in applicazione del principio in dubio pro reo.
2.4. Con il quarto motivo denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche .
La Corte territoriale ha erroneamente ritenuto generica ed immotivata la richiesta difensiva di riconoscimento del beneficio. Essa, invece, era fondata sulle risultanze della consulenza tecnica, che aveva escluso l’espo.sizione della vittima ad un reale e concreto pericolo di vita, evidenziando che NOME COGNOME si era presentato al Pronto soccorso vigile e cosciente.
Sono stati valorizzati i precedenti penali dell’imputato, che, tuttavia, sono risalenti nel tempo e riferiti a reati non omogenei a quelli oggetto del procedimento, quindi del tutto inidonei a rivelare una propensione dell’imputato alla reiterazione di specifici illeciti. Non assume alcun rilievo l’assenza di interven risarcitori posto che la vittima si era sin dall’immediatezza reso irreperibile rendendoli materialmente non realizzabili.
2.5.Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla ritenuta non eccessività della pena applicata.
Le doglianze difensive sono state rigettate con argomentazioni sovrapponibili a quelle contenute nella sentenza appellata, peraltro fondate su un’erronea interpretazione del compendio probatorio, senza alcun confronto con l’atto di impugnazione
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutte le censure dedotte, in larga parte reiterative dei motivi di appello, non si sottraggono alla declaratoria di inammissibilità.
Il primo motivo, relativo all’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da persona offesa resasi volontariamente irreperibile, è manifestamente infondato.
Il ricorrente ripropone una questione più volte affrontata dalla giurisprudenza di legittimità e risolta con una soluzione, condivisa dal Collegio, che esclude in radice la configurabilità della patologia processuale eccepita.
Più pronunce, muovendo dalla particolare natura del giudizio abbreviato – in cui è la scelta dell’imputato di accedervi ad attribuire agli atti dell’indagi preliminare un valore probatorio del quale sono fisiologicamenl:e sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie – hanno avuto modo di chiarire che in tale giudizio speciale non è applicabile la regola di valutazione fissata dall’art. 111, comma 4, Cost., dall’art. 6 della Convenzione Edu e, per il dibattimento, dall’art. 526, comma 1 bis, cod. proc. pen., in forza della quale la colpevolezza dell’imputato non può essere affermata in base a dichiarazioni rese da persona volontariamente sottrattasi all’interrogatorio da parte dello stesso imputato o del suo difensore. Ne segue che sono pienamente utilizzabili le dichiarazioni di natura testimoniale rese in fase di indagini preliminari da persona in seguito resasi irreperibile e non esaminata nell’ambito dell’incidente probatorio; siffatto regime è pienamente conforme alle deroghe previste dell’art. 111, comma 5, Cost. e non condiziona la valutazione di attendibilità soggettiva dei dichiaranti, che rimane sottoposta agli ordinari criteri, nel caso di specie correttamente utilizzati dalla corte territoriale (Sez. 2, n. 27885 del 23/06,/2022, COGNOME, Rv. 283633 – 01 Sez. 6, n. 1052 del 12/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265950 Sez. 3, n. 7432 del 15/01/2002, Deda, Rv. 221489,).
Per di più, come evidenziato dalla Corte territoriale, l’imputato non si è opposto alla rinuncia del Pubblico ministero a coltivare l’incidente probatorio per l’impossibilità di procedere alla notifica nei confronti della persona offesa dell’avviso di fissazione dell’udienza e nulla ha osservato in sede di proposizione della richiesta di definizione del procedimento allo stato degli atti.
Il secondo ed il terzo motivo, relativo agli elementi costitutivi del tentat omicidio, alla qualificazione del fatto come lesioni personali e all’eccesso colposo in legittima difesa, sono in larga parte versati in fatto; pur formalmente strutturat come denuncia dei vizi di cui all’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., finiscon per sollecitare apprezzamenti riservati al giudice del merito. Nel resto le censure pongono questioni giuridiche manifestamente infondate.
2.1. La sentenza impugnata, sulla scorta di precisi elementi fattuali desunti dal compendio probatorio (pagg. 8 e 9), analiticamente richiamati, ha escluso la fondatezza della ricostruzione difensiva secondo cui NOME COGNOME aveva agito, non per uccidere NOME COGNOME,ma per difendersi, essendosi sentito minacciato. Al riguardo, ha osservato che non solo la persona offesa – peraltro dimostratasi del tutto disinteressata ad accusare ingiustamente l’imputato o ad aggravarne la posizione al punto da non avere sporto querela e a rendersi irreperibile – ma nessuno dei testimoni ha attribuito a COGNOME il compimento di un’azione aggressiva.
Ha, viceversa, ritenuto accertato, sulla scorta delle dichiarazioni rese da tutti i testimoni e dai riscontri provenienti dall’attività investigativa nonché dal risultanze della consulenza medico legale, che NOME COGNOME nel corso del litigio verbale con NOME COGNOME aveva intrapreso, di sua iniziativa, la colluttazione fisica, colpendo il rivale con il coltello che aveva con sé, senza che alcuna condotta della persona offesa lo avesse messo o fatto sentire in pericolo .
Sulla scorta di tale ricostruzione in fatto, la Corte territoriale ha correttamente escluso la configurabilità, sul piano giuridico, dell’eccesso colposo in legittima difesa.
E’ pacifico, infatti, che l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa – nel caso in esame l’assenza della necessità di contrastare o rimuovere il pericolo attuale di un’aggressione mediante una reazione proporzionata ed adeguata – impedisce di ravvisare l’eccesso colposo, che si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati (ex plurimis più di recente Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Domenico Rv. 279344 – 02).
2.2. Quanto agli estremi, soggettivi ed oggettivi, della contestata fattispecie di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen., la Corte distrettuale li ha desunti, seguendo un percorso argomentativo tutt’altro che illogico, da una congerie di elementi fattuali, sintomatici, nel loro complesso, dell’idoneità degli atti a cagionare la morte, della loro direzione non equivoca verso tale evento lesivo nonché del dolo omicidiario.
In questa prospettiva, la Corte distrettuale ha evidenziato che NOME COGNOME aveva utilizzato un’arma micidiale, un coltello a serramanico con la lama di 6 centimetri, dotato di buona capacità di penetrazione, ed aveva sferrato verso la vittima, di corporatura magra e disarmata, una pluralità di colpi, bkèti inflitti con
notevole forza, tanto da penetrare per almeno 2,6, centimetri e provocare lesioni rilevanti in una zona anatomiche dove sono presenti organi vitali, a cominciare dal cuore. Tale organo, come sottolineato dal consulente medico legale, era certamente raggiungibile con il tipo di coltello usato, in grado di perforare la superficie cutanea oltre i 2 centimetri e causare, tenuto conto della forza impressa ai colpi, una lesione cardiaca e, quindi, il decesso in pochi minuti. Infine, l’odiern ricorrente aveva interrotto l’aggressione solo perché bloccato, con difficoltà, dagli astanti
Per di più, NOME COGNOME nel corso dell’aggressione, aveva manifestato espressamente l’intenzione di uccidere NOME COGNOME pronunciando a voce alta ripetutamente l’espressione, sentita nitidamente dalla persona offesa “ti ammazzo, ti ammazzo”. Frase, osservano i giudici di appello, perfettamente coerente con le caratteristiche dell’azione violenta posta in essere contestualmente.
2.3. La condotta così ricostruita in fatto è stata sussunta correttamente nella fattispecie incriminatrice del tentato omicidio in sintonia con l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità in base alla quale, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ai fini dell’accertamento dell'”animus necandi” e, quindi, per tracciare la linea di confine tra i reati di tentato omicidio e lesione personale assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata “ex post”, ma con riferimento alla situazione che si presentava “ex ante” all’imputato, al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso. Nel compiere tale valutazione occorre avere riguardo alla potenzialità dell’azione lesiva de:sumibile dalla sede corporea attinta, dalle caratteristiche dell’arma impiegata, nonché dalle concrete modalità dell’aggressione (Sez. 1, n. 24173 del 05/04/2022, NOMECOGNOME Rv. 283390 – 01; Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012 – 01).
Ineccepibilmente, la Corte di appello ha riferito l’idoneità degli atti all’insiem complessivo dell’attività posta in essere dal soggetto, tenendo conto di tutte le modalità e circostanze effettive di essa nell’ambito della situazione contingente (Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 277032 – 02; Sez. 1, n. 41127 del 12/04/2018, Renda, non mass.; Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, COGNOME, Rv. 256991 – 01) e non ha fatto ricorso ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone. In quest’ottica, è stato precisato che si configura un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 co pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che
l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuar il proposito criminoso (Sez. 1, n. 12639 del 16/01/2019, NOME COGNOME Rv. 275326 – 01; Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 272810 – 01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L. M., Rv. 264567 – 01).
Né ai fini della qualificazione più favorevole all’imputato milita l’asserita scarsa entità delle lesioni provocate alla persona offesa, che non è circostanza idonetad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto un simile risultato può essere rapportabile anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa (Sez. 1, Sentenza n. 52043 del 10/06/2014, Vaghi, Rv. 261702 – 01). Per escludere il dolo, d’altra parte, non rileva che la vittima sia stata attinta d colpi dell’aggressore e abbia subito un “vulnus” della propria integrità psico-fisica, essendo sufficiente, a tal fine, che l’azione offensiva, con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento del compimento degli atti, sia stata attuata in modo da conseguire l’effetto avuto di mira (Sez. 1, n. 20601 del 17/03/2023, D., Rv. 284722 – 02).
Il quarto ed il quinto motivo, relativo alle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria dlela pena, sono generici, meramente reiterativi delle doglianze espresse nell’atto di appello ed aspecifici.
Il ricorrente si duole dell’omessa considerazione di elementi prospettati come favorevoli al riconoscimento dell’invocato beneficio di cui all’art. 62-bis cod. pen. e alla determinazione di una pena meno afflittiva. Si tratta, tuttavia tdi elementi che i giudici del merito, nell’esercizio del potere discrezionale attribut dall’ordinamento, hanno con valutazioni conformi, giustific:atamente ritenuto recessivi rispetto a quelli di segno contrario, rappresentati dalla gravità del reato, dall’intensità del dolo, dalla elevata capacità a delinquere dell’imputato, desunta dai precedenti penali e dall’assenza di intenti riparatori e risarcitori.
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 12 ottobre 2023 Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presid nte